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venerdì 30 ottobre 2009

Il caso Cetraro è davvero chiuso ?

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OROSCOPO
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Il caso Cetraro è davvero chiuso?

Dopo la conferenza stampa della ministra Prestigiacomo e del procuratore nazionale antimafia Grasso, che ha dichiarato «chiuso» il caso della nave affondata davanti le cose calabresi, il Wwf torna a chiedere che su tutta la vicenda delle navi a perdere sia fatta chiarezza oltre ogni dubbio.

«L’esito delle indagini sul relitto di Cetraro annunciate oggi non può oscurare la ricerca della verità sulle navi dei veleni», dice il Presidente onorario del Wwf Italia Fulco Pratesi, che
sottolinea che «bisogna comunque dimenticare che la rilevanza e la gravità dei traffici internazionali illeciti di rifiuti pericolosi e radioattivi, connessi anche al traffico d’armi e alla nascita e al consolidamento di una rete criminale internazionale, hanno riscontri ufficiali dalla metà degli anni ’90. Inoltre dal 2004 è emerso chiaramente che queste attività criminali sono state tollerate se non favorite da apparati dello Stato, che hanno dato mano libera a industriali e armatori per trasformare ampie zone del nostro mare e delle nostre aree costiere, in discariche di veleni tossici e cancerogeni».
La dichiarazione di Pratesi arriva all’indomani della conferenza stampa in cui la ministra dell’ambiente Stefania Prestigiacomo, assieme al procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso ha dichiarato «chiuso» il «caso Cetraro». La ministra e il procuratore hanno detto che il relitto situato a 11 miglia dalla costa tirrenica calabrese, all’altezza di Cetraro, sarebbe quello del piroscafo passeggeri Catania, affondato da un sommergibile tedesco nel 1916. Tuttavia, il video mostrato in conferenza stampa non ha dissipato del tutto i dubbi: il nome della nave, infatti, non è apparso chiaramente visibile e nello squarcio di prua dove nelle riprese effettuate dalla Regione Calabria su indicazione della Procura di Paola apparivano i famigerati fusti, si vede solo un pezzo di macchinario.
Il Wwf Italia, che da tempo lavora sul tema delle navi a perdere, richiama a conferma della sue affermazioni alcuni passi contenuti in documenti ufficiali. Per esempio, nella Relazione conclusiva della Commissione bicamerale sui rifiuti dell’11 marzo 1996, soffermandosi sul «progetto Odm» [Ocean Disposal Management del faccendiere Giorgio Comero] la Commissione segnalava «l’esistenza, documentalmente provata di intense attività di intermediazione poste in essere tra i titolari di queste presunte attività di smaltimento in mare di rifiuti radioattivi e la Somalia […]» sottolineando le coincidenze con il caso Alpi/Hrovatin.
Nella Relazione conclusiva del 25 ottobre 2000, sempre della stessa Commissione bicamerale sui
rifiuti, si sofferma sul fenomeno delle «navi a perdere» rilevando che il preoccupante fenomeno
dei traffici e degli smaltimenti illegali di scorie e rifiuti radioattivi in mare era emerso nell’ambito di alcune inchieste delle procure di Matera, Reggio Calabria e riportando il dato numerico relativo ad affondamenti sospetti di navi verificatisi nei mari italiani: ben 39 risultano i casi per il solo periodo tra il 1979 e il 1995 […] 26 di questi vengono indicati dal Comando generale delle Capitanerie di porto.
Il Wwf ricorda ancora che il Ministro per i rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi il 27 luglio 2004, in risposta a un’interrogazione parlamentare ha dichiarato che «Evidenti segnali di allarme si sono colti in alcune vicende giudiziarie da cui è emersa una chiara sovrapposizione tra queste attività illegali ed il traffico d’armi. […] Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia ed alla illecita gestione degli aiuti della Direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo».
Ce n’è abbastanza, per il Wwf così come per altre associazioni ambientaliste nazionali, nonché per i comitati locali che sabato scorso hanno portato decine di migliaia di persone ad Amantea, in provincia di Cosenza, per chiedere che l’eventuale «chiusura» del caso Cetraro non sia l’alibi per il silenzio.

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mercoledì 28 ottobre 2009

Prestigiacomo sbrigativa sui veleni calabresi

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Prestigiacomo sbrigativa sui veleni calabresi

Silvio Magnozzi

Secondo il ministro dell'ambiente la nave che si trova nelle acque del Tirreno calabrese, individuata grazie alle rivelazioni del pentito Francesco Fonti, «non è la Cunski». Cioè la nave dei veleni. Chi sta facendo le rilevazioni la smentisce «E' presto per dirlo». La procura: «Non ci interessa il nome di quella nave, ma il contenuto»

Il relitto trovato al largo delle coste di Cetraro non corrisponde alla Cunski e, dalle prime analisi ambientali, risulterebbe che al momento fino alla profondità di 300 metri non ci sono alterazioni della radioattività. La comunicazione arriva da una nota del ministero dell’ambiente, che parrebbe confutare almeno parte delle rivelazioni fatte da Francesco Fonti. Ma la situazione è tutt’altro che chiara, e rimangono dei punti fermi le indagini di questi giorni delle procure, i dati sull’esplosione dei tumori nella costa tirrenica e le mappe con le navi smarrite ricostruite da ambientalisti ed esperti.
«Il relitto a largo di Cetraro non corrisponde alla caratteristiche della Cunski – spiega Prestiacomo – Questo quanto emerge dai primi rilevamenti della ‘Mare Oceano’, la nave, inviata dal Ministero, che sta svolgendo gli accertamenti sui fondali del Tirreno. Infatti la morfologia del relitto risulta diversa da quella della Cunski. In particolare è stato rilevato che il cassero della nave affondata si trova nella zona centrale mentre quello della Cunski era a poppa». Il Rov, il robot sottomarino, ha svolto già le misurazioni ed i rilievi fotografici del relitto e le prime analisi ambientali da cui è emerso che fino alla profondità di 300 metri non si rilevano alterazioni della radioattività. «Naturalmente – prosegue Prestigiacomo – questi primi esiti delle ricerche non escludono la possibilità che i fusti contenuti nel relitto possano contenere rifiuti pericolosi o radioattivi e per questo il programma di indagini della nave Mare Oceano proseguirà col prelievo di sedimenti dai fondali, di carotaggi in profondità e col prelievo di campioni dai fusti». Tutte le operazioni continueranno in coordinamento con la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e il Reparto ambientale marino della guardia costiera a disposizione del ministero al comando del capitano di vascello Federico Crescenzi.
«L’accertamento che il relitto in fondo al mare non sia il Cunski e il mancato rilevamento di radioattività fino a 300 metri, che, ribadisco, non esclude la possibilità che si tratti in ogni caso di una ‘nave dei veleni’», ammette il ministro dell’ambiente nella sua nota. Ma poi passa all’attacco e sostiene che la situazione «deve indurre alla prudenza ed alla responsabilità quanti fino ad ora hanno procurato, senza avere riscontri attendibili, paura e allarme sociale, con gravissime ripercussioni economiche per la Calabria. L’impegno del governo nella lotta alle ecomafie continua affinchè sia fatta piena luce sui misteri delle ‘’navi a perdere’, venga appurata la verità e ogni eventuale responsabilità».
«Abbiamo fatto finora solo delle esplorazioni acustiche, ma il Rov non e’ ancora entrato in acqua», dicono invecei responsabili della Geolab, proprietari della nave Mare Oceano, che sta effettuando le ricerche a undici chilometri dalla costa, dove si trova l’imbarcazione. «Il Rov – ha spiegato uno dei responsabili delle ricerche – farà altre esplorazioni acustiche e poi quelle visive. Adesso noi non ci sentiamo di dire con certezza che quella possa o non possa essere la nave Cunsky. Per noi è ancora troppo presto».
il Procuratore Vincenzo Lombardo, della Dda di Catanzaro non pare per nulla rasserenato dalle affermazioni di Prestigiacomo. «Sulla base di alcuni primi dati, quella non sarebbe la nave Cunsky, sono stato informato in questo senso – ha detto Lombardo – Ma questo non risolve il problema: noi vogliamo sapere cosa c’e’ dentro quella nave e dentro quei fusti, e cosa c’è adesso sul fondale e nel mare. Questo è quello che ci interessa. Abbiamo il morto, il delitto: adesso dobbiamo fare accertamenti precisi e analizzare il carico. Il resto non conta». Anche l’assessore all’ambiente della Regione Calabria SIlvio Greco afferma senza mezzi termini: «Non ci interessa il nome della nave, ma il suo contenuto».
L’altra notizia del giorno è che l’Anci nazionale si farà da tramite per organizzare un incontro urgente tra il governo e il comitato dei sindaci dell’alto Tirreno cosentino sulla vicenda. I sindaci hanno anche deciso una nuova giornata di mobilitazione sulla questione ambientale: si svolgerà il prossimo 8 novembre a Cetraro e vedrà la partecipazione di «tutti i sindaci calabresi, ma anche della presidenza della Regione Calabria e dei presidenti delle cinque province». I sindaci confermano le loro richiste al governo: «la dichiarazione dello ‘stato di emergenza’, analogamente a quanto avviene per situazioni di calamita’ naturali’’ e un intervento finalizzato alla rimozione del relitto presente al largo delle acque di Cetraro ed alla definitiva chiarezza sul contenuto dello stesso».
Tra i comitati che hanno manifestato ad Amantea lo scorso 24 ottobre, intanto, si sta pensando a una manifestazione a Roma per chiedere la verità sulle navi. «Quello dei veleni non è affare solo dei calabresi – spiegano i comitati – Verremmo a Roma a dirlo al governo».

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giovedì 22 ottobre 2009

Minga indigena in Colombia

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OROSCOPO
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Minga indigena in Colombia

Marica Di Pierri

Organizzazioni indigene, contadine, degli afrodiscendenti e di diversi settori sociali hanno manifestato in tutta la Colombia per chiedere il rispetto dei diritti umani e la protezione dell'ambiente dalla voracità delle multinazionali e dalla violenza del governo del presidente Uribe.

«Dai grandi fiumi che bagnano il nostro paese, dalle cordigliere con le loro montagne, le loro colline, i loro ghiacciai perenni, dalle valli e dalle pianure, dalle cinture urbane, migliaia di donne e uomini delle campagne, delle montagne, della selva, indigeni con oltre 500 anni di resistenza, afrocolombiani che lottano per la libertà, contadini con la pelle bruciata dal sole e le mani indurite dal lavoro, tutti e tutte con la propria dignità, con la fermezza e la convinzione nel difendere la nostra Madre Terra, nel difendere i nostri territori, nella continua ricerca dell’unità dei popoli del mondo aderiamo e promuoviamo la Minga Globale».
Con queste parole l’8 ottobre è iniziata la Minga colombiana. Conclusasi il 16 ottobre, la Minga ha visto decine di eventi e di mobilitazioni in tutto il territorio nazionale col fine di definire nuove forme di organizzazione e resistenza e per immaginare un’agenda comune di tutte le lotte indigene e contadine colombiane con la speranza di stringere alleanze con tutti i settori sociali.
«Facciamo appello all’umanità: la vita è in pericolo, gli esseri umani sono in pericolo, la terra, il territorio, gli animali, la natura», queste sono le parole di Feliciano Valencia, – membro del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca [Cric] e coordinatore della Minga in Colombia – pronunciate all’arrivo di una delle marce a Cali.
Oltre 30.000 persone, indigeni, campesinos, afrodiscendenti e di differenti settori sociali hanno partecipato alla lunga e diffusa mobilitazione nel paese. Sono state decine le iniziative portate avanti. Nel dipartimento di Tolima, al centro del paese, quattro organizzazioni indigene hanno radunato tremila persone per esigere il rispetto dei diritti indigeni e collettivi. Ma anche la difesa del patrimonio culturale e ambientale.
Il popolo Pijao ha proposto che per la gestione dell’ambiente e delle risorse naturali si crei una Scuola di Formazione ed Educazione sulle tematiche ambientali per stabilire politiche educative che mirino alla conservazione della biodiversità per le generazioni future. Nel Chocò diverse organizzazioni territoriali hanno marciato da Quibdó a Pereira per poi unirsi alla marcia che giungeva dal Cauca. Nel Dipartimento sud occidentale del Cauca si è alzato un grido di pace contro la violenza che insanguina quotidianamente e da decenni questa terra.
A Cali sono arrivati il 13 di ottobre oltre 20.000 indigeni, a cui, durante il lungo cammino, si sono sommati rappresentanti di molti settori sociali della regione, che hanno manifestato anche per la fine del conflitto armato, per la difesa dei diritti umani. Tremila indigeni Embera sono invece giunti nel Municipio di Riosucio, Dipartimento di Caldas. Mentre altre comunità hanno contemporaneamente occupato alcune tenute che rientravano nei territori ancestrali indigeni.
Nella Valle del Cauca più di quattromila indigeni sono ancora oggi davanti al palazzo del governo per denunciare l’impatto delle politiche nazionali e regionali rispetto alla privatizzazione delle risorse naturali e al conflitto armato.
Al centro del paese gli U’wa, dopo le loro lotte contro le industrie petrolifere per difendere i luoghi sacri oggi usurpati da imprese come Ecopetrol, hanno manifestato contro lo sfruttamento petrolifero e minerario. Nel Putumayo 250 delegati del sindacato dei lavoratori campesinos Sintcacfromayo insieme all’Associazione contadina Acsomayo si sono uniti alla marcia indigena.
Il 12 ottobre, in corrispondenza del 517esimo anniversario dell’inizio della colonizzazione europea nelle Americhe, sulle montagne che circondano la capitale colombiana si sono tenute marce e cerimonie di tributo alla terra per celebrare, in questo modo, una giornata dell’orgoglio indigeno. Il 15 ed il 16 ottobre a Bogotà ed in contemporanea a Cali e a Cartagena, la Minga si è chiusa con grandi mobilitazioni e tre congressi, fasi preparatorie del Grande congresso mondiale dei popoli.


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In Calabria toccato il fondale

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In Calabria toccato il fondale

Misteri irrisolti, traffici di rifiuti tossici e di materiale nucleare arrivato fino a Saddam, 'ndrangheta: sono le tessere del puzzle delle «navi a perdere». Al centro, le comunità locali, che finalmente si ribellano e il 24 manifestano ad Amantea

Le «navi dei veleni» sono finite anche sulla prima pagina del Financial Times, che con un’ampia e un’articolata ricostruzione dei fatti arriva fino a Rotondella [Matera], costa ionica della Basilicata, dove negli anni ’60 è stato realizzato un altro pezzo della fallimentare epopea nucleare italiana. Qui c’è l’Impianto trattamento elementi combustibile, meglio noto come Itrec di Trisaia [località del comune di Rotondella], una sorta di impianto di riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato, gestito prima dall’Enea e poi preso in carico dalla Sogin. Nel corso degli anni, l’Itrec è stato al centro di diverse indagini perché sospettato di produzione clandestina e traffico di plutonio e sostanze radioattive, oltre che di violazione dei regolamenti relativi alla custodia di materiale radioattivo. Tra i vari filoni delle inchieste, uno ha riguardato anche il plutonio manovrato dalla ‘ndrangheta e fatto arrivare all’Iraq di Saddam Hussein quando era ancora alleato dell’occidente. Storie e indagini che portano l’autorevole quotidiano economico britannico a parlare dei problemi che questa complicata questione starebbe provocando alla politica di rilancio dell’energia nucleare dell’attuale governo Berlusconi. Viene così offerta un’ulteriore chiave di lettura della vicenda delle «navi a perdere», ignorate per almeno una ventina di anni, nonostante le inchieste di magistrati e le denunce di associazioni ambientaliste e giornalisti.
Dei traffici nucleari che arrivano fino all’Iraq di Saddam, ma anche al Dc9 di Ustica, scrive Paride Leporace sul numero di Carta in edicola dopodomani, dedicato alla «Calabria a perdere». Uno speciale che raccontata, appunto, anni di inchieste indipendenti e di faldoni vaganti fra procure, riguardanti un territorio fuori dal controllo dello Stato [Francesco Cirillo], ma anche la rabbia dei calabresi di oggi, dopo la scoperta del relitto di una nave a largo di Cetraro, contenente con molta probabilità rifiuti tossici e forse anche nucleari. La manifestazione di sabato prossimo, il 24 ad Amantea, in provincia di Cosenza, vuole chiedere conto dei tanti misteri irrisolti e dell’avvelenamento delle coste e del mare calabrese [Claudio Dionesalvi]. Una protesta che coinvolge praticamente tutta la Calabria e anche molto sud, ma che tocca nel vivo soprattutto le comunità colpite dall’emergenza dei rifiuti tossici e delle scorie radioattive. Ieri una cinquantina di sindaci della costa e dell’entroterra cosentino hanno manifestato davanti a palazzo Chigi, a Roma, e poi hanno diffidato il governo affinché «intervenga urgentemente per risolvere la situazione di grave allarme creatasi nella zona del Tirreno cosentino e in tutta la Calabria. Si registra – hanno detto i sindaci – un clima emergenziale tale, in termini di tutela della salute collettiva, da mettere in serio pericolo l’ordine pubblico, già tradizionalmente a rischio per l’alta presenza mafiosa». La loro preoccupazione è tale da chiedere al governo «l’attivazione di tutte le procedure ordinarie e straordinarie, compresa la possibilità di ricorrere al commissariamento di protezione civile». Forse, non è proprio l’idea vincente, ma la tensione è alta. Questa mattina, i pescatori di Cetraro hanno manifestato all’arrivo del sottosegretario all’ambiente, Roberto Menia, in Calabria per un sopralluogo e per incontrare i magistrati della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e gli enti locali coinvolti. I pescatori hanno rappresentato le loro difficoltà, dovute innanzitutto al netto calo delle vendite del pesce pescato in quella zona, «segnato» ormai dall’allarme suscitato dalla presenza della «nave dei veleni». Un «marchio» che sta mettendo in ginocchio le economie locali, aggravando ulteriormente il disagio di popolazioni già provate dalla preoccupazione per la propria salute e per la gravissima compromissione di tutto l’ambiente costiero e marino.

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lunedì 19 ottobre 2009

IO LA BOLLETTA NUCLEARE NON LA VOGLIO!



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IO LA BOLLETTA NUCLEARE NON LA VOGLIO!


Cari cyberattivisti,
Durante il week-end i nostri volontari hanno distribuito davanti agli uffici postali di diverse città italiane le nuove bollette che l’Enel ci presenterà nel 2020, nel caso si riuscisse a riportare il nucleare in Italia: bollette nucleari, costi stellari!

Se teniamo conto, infatti, degli altissimi costi per la realizzazione di nuove centrali, della manutenzione, dello smaltimento delle scorie e degli impianti contaminati, risulta che il costo finale dell’elettricità farà raddoppiare quello delle nostre bollette.

Il nucleare è una pura follia economica, a meno che qualcuno non ti regali la centrale e lo Stato si faccia carico di gestire le scorie radioattive per secoli. Enel e Governo devono smetterla, perciò, di prendere in giro il Paese sostenendo che il nucleare servirà ad abbassare le bollette degli italiani.
Potete contribuire anche voi alla nostra campagna anti-nucleare in poche semplici mosse:

1. Scaricate qui la bolletta nucleare e stampatene una copia

2. Scattatevi una foto con la bolletta in evidenza

3. Caricate la foto sul gruppo Flickr “La bolletta nucleare non la voglio”

Pubblicate la bolletta sui vostri blog, diffondete il messaggio su Facebook e i Social network, scattate una foto anche ai vostri amici. "Mettiamoci la faccia” per dire No al Nucleare!



È solo grazie al sostegno di singole persone come voi che abbiamo le risorse per portare avanti tutte le nostre campagne.

Grazie mille e a presto!

Francesco Tedesco
Responsabile campagna Energia e Clima

www.geenpeace.it
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giovedì 15 ottobre 2009

Il muro di gomma in Calabria. Un'altra nave a Vibo?

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OROSCOPO
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Il muro di gomma in Calabria. Un'altra nave a Vibo?

Giuliano Santoro

Nonostante le grandi testate nazionali abbiano smesso di occuparsene, il mistero delle scorie affondate nei mari calabresi si intensifica giorno dopo giorno. Così, insieme alle strane manovre di insabbiamento di alcune procure e alla strategia del silenzio del governo nazionale, spuntano altri relitti...

Si infittisce il mistero attorno alle navi dei veleni affondate nei mari di Calabria, mentre le mobilitazioni e la rabbia montano di giorno in giorno. Ieri per la prima volta i pescatori di Cetraro, il comune di fronte al quale giace il relitto trovato grazie alle rivelazioni del pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti. I sindaci del Tirreno cosentino hanno costituito un «comitato permanente» che ha convocato i deputati e senatori eletti nella regione per martedì 20 ottobre a Roma «al fine di adempiere alla diffida con la quale i sindaci intimano al governo nazionale a rimuovere il relitto ritrovato a largo di Cetraro e coordinare azioni comuni che incalzino il Governo».
La notizia di oggi, però, arriva dal Quotidiano della Calabria, che la pubblica in esclusiva: è stato scoperto un altro relitto nel Vibonese. In seguito alle molte segnalazioni, scrive il giornale, «tra le tante verifiche compiute avrebbe dato esito positivo quella compiuta al largo della costa vibonese dove, con l’ausilio di un sonar, sarebbe stato individuato un altro relitto. Sugli esiti degli accertamenti viene mantenuto il massimo riservo e sono stati informati la magistratura e l’assessorato regionale all’ambiente».
«Il relitto potrebbe essere quello della Mikigan» afferma Legambiente sulla base della cartina della Oceanic Disposal Management Inc., «società creata dall’imprenditore Giorgio Comerio, per l’affondamento programmato di scorie radioattive nei fondali marini», agli atti della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti. La nave era stata affondata il 31 ottobre 1986 dopo essere partita dal porto di Massa Carrara con un suo carico protetto da granulato di marmo. Sempre dal porto toscano era partita la Rigel, poi affondata con analoghe caratteristiche nel 1987 a largo di Capo Spartivento.
Un altro giornale locale, «il Quotidiano della Basilicata», avrebbe offerto numerose rivelazioni sconcertanti, questa volta sull’aspetto giudiziario. Secondo il direttore Paride Leporace, il pentito Fonti vuole deporre ancora ma si starebbe verificando di nuovo uno scontro tra procure, come era avvenuto tempo fa a proposito delle indagini Luigi De Magistris. Il procuratore di Catanzaro, Vincenzo Lombardo ha affermato ad un’agenzia di stampa: «Non abbiamo certezza sul fatto che quella scoperta a Cetraro sia davvero la nave Cunsky, come riferito dal pentito Francesco Fonti». Ha replicato l’assessore all’ambiente calabrese, Silvio Greco: «Non c’interessa il nome ma il contenuto di quella nave, ci interessa la bonifica». Oggi Greco ja cercato di placare gli allarmismi ma ha tenuto la barra dritta sulla richiesta di bonifica: «Al largo della costa calabrese ci sono almeno 150 relitti risalenti all’ultimo conflitto mondiale – ha affermato l’assessore da Bruxelles – Non si può parlare di rifiuti tossici se non si hanno prima i riscontri scientifici. Non mi risulta che siano a disposizione sonar in grado di rilevare la presenza di navi affondate in quella zona. Fino a quando non avremo riscontri scientifici, rischiamo solo di fare allarmismo». Diverso, aggiunge Greco, è il caso della nave localizzata al largo di Cetraro. «Quella è una situazione realmente preoccupante, perché abbiamo i filmati del relitto – prosegue l’assessore – Occorre che la nave, che si chiami Cunsky come dice il pentito o in un altro modo, sia rimossa e la zona bonificata. Per il resto bisogna stare calmi, perché in Calabria ormai c’è la psicosi. Ieri mi hanno allertato perché qualcuno aveva segnalato la presenza di un bidone al largo di Diamante, poi si è verificato che si trattava di una boa». «Pochi mettono in evidenza che Francesco Fonti è gravemente ammalato – scrive Leporace – Chi ha avuto la possibilità di parlare con lui ci riferisce di un uomo deluso che è solito ripetere ‘non vogliono usare la logica. Vadano in fondo a quel mare. Basta recuperare un solo bidone per accertare la verità’».
Leporace racconta del muro di gomma delle istituzioni, che sarebbe stato bucato dal procuratore di Paola Bruno Giordano e dalla «variabile impazzita» di un assessore regionale all’ambiente esperto di mare e una società privata che con fondi pubblici ha trovato il relitto al largo di Cetraro. «Quel giorno carabinieri e guardia costiera erano in grande tensione per quelle ricerche. Uno stato di allerta generale senza muovere un dito per partecipare allo scandaglio delle acque», afferma ancora Leporace nella sua inchiesta.

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mercoledì 14 ottobre 2009

NOBEL ALTERNATIVO AL NOSTRO ATTIVISTA CONGOLESE




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NOBEL ALTERNATIVO AL NOSTRO ATTIVISTA CONGOLESE

Cari cyberattivisti,

con entusiasmo vi comunichiamo che una persona del nostro staff - René Ngongo - ha vinto il Right Livelihood Award 2009, considerato il "Premio Nobel Alternativo". René lavora con Greenpeace dal 2008 ed è il consigliere politico del nostro ufficio in Africa: è stato premiato per il suo impegno nella protezione delle foreste e della giustizia sociale nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).

Nel 1996 Renè ha fondato l’OCEAN (Organisation Concertee des Ecologistes et Amis de la Nature) per dare voce e infrastrutture alla società civile congolese nella lotta contro la distruzione delle foreste. La collaborazione di OCEAN con Greenpeace è cominciata nel 2004 e successivamente Renè è stato scelto per gestire l’apertura del nostro primo ufficio a Kinshasa. Da allora ha continuato a fare pressioni su governi e organizzazioni internazionali per garantire trasparenza in materia di riforme forestali. Il bacino del Congo ospita la seconda foresta pluviale più grande al mondo, dopo l'Amazzonia.

"La ricca biodiversità delle nostre foreste potrebbe benissimo aiutare noi e i nostri figli ad adattarsi ai cambiamenti climatici, speriamo che questo premio possa contribuire a una maggiore attenzione al problema" così Renè ha commentato il premio.

I Premi Nobel Alternativi saranno consegnati a Stoccolma, in Svezia, il 2 dicembre 2009, pochi giorni prima della consegna dei Nobel, il 10 dicembre, e solo tre giorni prima dell'inizio dei negoziati delle Nazioni Unite a Copenhagen, fondamentali per affrontare la questione climatica.

Mentre ci auguriamo che il Presidente Obama trasformi il suo Nobel per la pace in azioni concrete per la protezione del clima al Summit di Copenhagen, persone come Renè Ngongo da tempo lavorano sodo per dare un futuro al Pianeta: sono loro i veri leader ed è bello sapere che almeno un autentico eroe del clima sarà premiato a dicembre, in Scandinavia.

Saluti e a presto,

Alessandro Gianni
Direttore delle Campagne


PS: Come saprai, Greenpeace è indipendente e realizza le sue campagne solo grazie all’aiuto di singole persone come te. Se non lo sei già, diventa un sostenitore di Greenpeace! Sostieni questa e altre campagne in difesa del pianeta

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martedì 13 ottobre 2009

La proposta di Sezano. Per l'acqua nell'agenda di Copenhagen




La proposta di Sezano. Per l'acqua nell'agenda di Copenhagen

Pubblichiamo di seguito «la proposta di Sezano», appello per l’inclusione dell’acqua nell’agenda dei negoziati sul clima in vista della conferenza di Copenhagen, a dicembre. E' stato promosso da rappresentanti di numerose confessioni religiose e tradizioni morali, perché per tutte «l’acqua è sacra come sacra è la vita». Per aderire, lapropostadisezano@gmail.com

La proposta di Sezano: per l’acqua nell’agenda dei negoziati di Copenhagen sul cambiamento climatico. Iniziativa di cittadini appartenenti a diverse religioni e tradizioni morali

. Get cash from your website. Sign up as affiliate. . Noi, cittadini abitanti in Italia, espressione di credenze religiose e tradizioni morali diverse, accomunati dalla condivisione del grande valore del diritto universale ad una vita umanamente e socialmente dignitosa per tutti, nel rispetto del grande patrimonio comune costituito dall’insieme di tutte le specie viventi, convinti che è venuto il tempo, per l’Umanità, di concretizzare il «buon vivere insieme» a livello globale e planetario, condividendo, a tal fine, la consapevolezza che l’acqua rappresenta oggi il campo di vita più critico e più strutturante del divenire dell’Umanità, chiediamo che la problematica dell’acqua sia inclusa, in quanto tale, nell’agenda dei negoziati della Conferenza di Copenhagen [Cop 15].
Il più grande negoziato mondiale in corso sul divenire dell’Umanità e della vita del pianeta non può essere centrato soltanto sui problemi energetici. Per più di tre miliardi di esseri umani il problema principale oggi è l’alimentazione, l’accesso all’acqua, la salute. Un accordo sul clima deve includere anche l’acqua, la terra, la salute.
Chiediamo che il «Trattato di Copenhagen» approvi il principio di dare il via ai lavori di definizione e di approvazione di un Protocollo mondiale sull’Acqua da definire nel periodo 2010-2012. Le basi scientifiche e tecniche necessarie per tale Protocollo esistono grazie all’immenso lavoro compiuto dalle Agenzie delle Nazioni unite nel corso degli ultimi 30 anni sul piano delle conoscenze, delle analisi, dei dati, degli strumenti di misurazione e di valutazione, esperienze concrete.
Chiediamo che la Conferenza di Copenhagen riconosca l’urgenza di un Patto mondiale per l’Acqua da porre sotto l’egida delle Nazioni unite, concretizzato nel Protocollo, sottolineando a tal fine la necessità per la Comunità internazionale di disporre di uno strumento efficace di azione e di cooperazione mondiale quale una «United Nations Water Authority», dotata di autonomia nei confronti dei grandi interessi economici, finanziari e commerciali privati e dei paesi più forti nel campo dell’acqua.

I promotori, in ordine alfabetico:

RELIGIONE BUDDHISTA – SRI LANKA
PIYADASSI Thero, monaco, responsabile del Centro buddista, Verona
THIRAMUNI DE ZOYSA Atula, presidente Ass. Centro buddista, Verona
ZAMPIERO Franz Seiun, tempio tenryuzanji [Veneto, Trentino, Alto-Adige]

RELIGIONE CRISTIANA
Chiesa Anglicana
GRIFFITHS Michael, Firenze

Chiesa Apostolica Italiana
AFFUSO Mario, pastore – Firenze

Chiesa Cattolica romana
BONTEMPI Marco, Università di Firenze – Firenze
CACIOLI Enzo, Azione Cattolica Diocesi di Fiesole – Firenze
GARUGLIERI Mauro, Consigliere nazionale Azione Cattolica Italiana – Firenze.
LALOLI Sandro, prete, Seminario Regionale, Bologna
LIBANTI Paola, Monastero del Bene Comune – Verona, Sezano
MAZZER Alessandro, Monastero del Bene Comune – Verona, Sezano
MONTRESOR Marianita, Segretariato Attività Ecumeniche – Verona
NICOLETTO Silvano, prete stimma tino – Verona, Sezano
PASSONI Argia, ministra nazionale, OFS Minori – Roma
PECCHIOLI Gabriele, Presidente dell’Opera Giorgio la Pira – Firenze
PETRELLA Riccardo, Università del Bene Comune – Verona, Sezano
PIERONI Giovanni, Diocesi di Firenze – Firenze
TANI Piero, Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale – Firenze
VERMIGLI Antonio, Rete Radie Resch, Quarrata – Pistoia
ZANOTELLI Alex, missionario comboniano, Napoli

Chiesa Luterana
VOGT Kerstin, pastora, comunità di Verona – Gardone
VOGT Thomas, pastore, comunità di Verona – Gardone

Chiesa Metodista
MANOCCHIO Mirella, pastora, Udine

Chiesa Valdese
MASELLI Domenico, presidente, Federazione delle chiese evangeliche in Italia – Roma
TOMASSONE Letizia, pastora, vice-presidente Federazione chiese evangeliche in Italia – La Spezia

Chiesa Ortodossa Russa
ALOE Stefano, rappresentante della Comunità ortodossa russa San Nicola Taumaturgo – Verona
BLATINSKIJ Gheorghij, arciprete – Firenze

RELIGIONE EBRAICA
PIATTELLI Crescenzo, rabbino capo – Verona
MISUL Daniela, presidente comunità ebraica – Firenze

RELIGIONE ISLAMICA
KHOCHTALI Moshen, consiglio islamico Ucoii – Verona
IZZEDDIN Elzir, imam, portavoce nazionale Ucoii – Firenze

RELIGIONE SIKH
BALDEV Joally, presidente Ass. Shri Guru Ravidass Saboa – Cremona
MALL Balbir, presidente Ass. Shri Guru Ravidass Temple – Verona

TRADIZIONE AFRICANA ANIMISTA
PIESSOU Jean Pierre, mediatore interculturale – Verona

TRADIZIONE AFROBRASILIANA
DE JESUS Màrcia Maria, Garda – Verona

TRADIZIONE ANDINA
GUZMAN Wilfredo, Ass. culturale Perù-America Latina, Verona

«La proposta di Sezano» è nata nell’ambito dei corsi organizzati dalla Facoltà dell’Acqua [Università del Bene Comune] e dall’Associazione Monastero del Bene Comune presso l’antico Monastero di Sezano, sulle colline di Verona.
Per aderire inviare una e-mail a lapropostadisezano@gmail.com.
www.lapropostadisezano.it


   
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giovedì 8 ottobre 2009

I «no Api» e gli operai

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I «no Api» e gli operai

Zeno Leoni

Diritto alla salute e all’ambiente o diritto al lavoro? La raffineria di Falconara è il simbolo di un conflitto creato dal profitto e da un’industria arretrata, che inquina, fa ammalare e poi licenzia

Con l’annuncio della cassa integrazione per centoquaranta dipendenti fra turnisti e personale amministrativo e giornaliero, la raffineria Api di Falconara Marittima [Ancona] non è più solamente il simbolo di una battaglia ambientale, del grande male da sconfiggere. Da giovedì 30 settembre, le sorti di quell’eco-mostro italiano che avvelena il nostro habitat da oltre mezzo secolo, si incrocia nuovamente con la vita di molti uomini che ogni mattina si alzano per non essere inghiottiti da una becera «selezione naturale». E che di perdere il posto di lavoro, per quanto logorante esso sia, proprio non possono permetterselo. Così, a poche ore dalla decisione, gli operai si sono riversati in strada per bloccare il traffico, mentre lunedì scorso circa cento di loro si sono di nuovo mobilitati chiudendo l’accesso alla raffineria dalle quattro del mattino fino alle nove e trenta. L’azienda conta circa cinquecento dipendenti con un indotto di 2.000 persone: numeri che rendono l’idea dell’impatto. «E’ un momento difficile legato a basse performance», dice l’amministratore. «E’ colpa di chi ha impedito la costruzione delle due centrali termoelettriche, quelle avrebbero portato lavoro», gli fa eco qualche sindacalista scellerato.
La storia dell’Api comincia cinquantanove anni fa, nel 1950, quando l’impianto battezzato dal ministro dell’industria, Giuseppe Togni, è idoneo a produrre. E da quell’anno, come ricorda in tono celebrativo l’Api, è «un susseguirsi di ampliamenti territoriali». Si producono le nuove benzine Sprint 84/86 e Supersprint 92/94, oltre a distribuire Gpl e bitume. Oggi la raffineria è estesa su 70 ettari e raffina 3,9 milioni di tonnellate di greggio ogni anno grazie a 128 serbatoi. Il tutto corredato da una piattaforma fissa, a 16 chilometri dalla costa; isola con doppio attracco, a 4 chilometri; pontile connesso direttamente alla raffineria. Così la piovra estende sopra a Falconara i suoi tentacoli. Negli anni ‘80 e ‘90 sono i dirigenti territoriali dei Verdi a condurre una forte campagna di mobilitazione contro la centrale e il movimento riesce ad eleggere propri rappresentanti trascinati dall’onda della rabbia popolare. Un impegno pagato a caro prezzo, perché gli sgambetti sia da parte della segreteria nazionale che degli alleati negli enti locali non si contano. La svolta arriva il 25 agosto del ’99: l’esplosione di una pompa spinge Falconara e i comuni limitrofi sull’orlo di un’ecatombe, poi scongiurata. Il bilancio è di due lavoratori morti, centinaia di cittadini in fuga da due quartieri a ridosso della raffineria e dieci persone ricorse a cure mediche.
Comincia una sollevazione senza precedenti, che porta i cittadini a costituirsi parte civile e a ottenere il riconoscimento di parte lesa. Un altro punto di cesura, che ha il sapore di una nuova beffa, è il rinnovo nel 2003 della concessione all’Api, decisione shock decisa in anticipo di cinque anni [sarebbe dovuta avvenire nel 2008] da parte dell’assessore regionale ed esponente di
Rifondazione comunista. «Dal quel momento chiediamo, nel tavolo con i sindacati, di avviare un nuovo percorso – spiega Loris Calcina, dei Comitati di quartiere – che va verso l’energia alternativa, come Api Nòva fa da tempo nel sud Italia con l’eolico. Ci definirono utopistici, e così abbiamo perso sei anni». I test svolti da parte del fronte «no Api» sugli abitanti parlano di un aumento evidente degli attacchi al sistema linfatico, cioè leucemie. Nonostante il rinnovo dell’autorizzazione imponga norme di sicurezza più rigorose, Falconara assiste a una lunga serie di incidenti minori. Il più grave è nel 2007, quando la fuoriuscita in mare di olio combustibile porta al divieto di balneazione lungo il litorale. Un evento inedito. Per il prossimo lunedì, 12 ottobre, è fissato il primo sciopero annunciato, e gli operai incontreranno il sindaco Brandoni. Seguirà la mobilitazione del 19, la settimana successiva.

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mercoledì 7 ottobre 2009

Parma. Il 10 ottobre si festeggia i 25 anni del Mst

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Parma. Il 10 ottobre si festeggia i 25 anni del Mst
L’appuntamento è il 10 Ottobre alle 10,30, nello Spazio Incontri di Piazza Picelli a Parma. Per festeggiare i 25 anni del Movimento sem terra, il Comitato italiano Amig@s MST promuove un seminario su «Sovranità alimentare e sostenibilità, un Confronto tra Brasile e Italia, iniziando dal Po e la Pianura Padana». Introduce Antonio Lupo, del Comitato Italiano Amig@s MST. Rosario Lembo, del Comitato italiano contratto mondiale dell’acqua parlerà de «Il presente ed il futuro del fiume Po», mentre l’esperto ambientale Riccardo Rifici interverrà su «Alla ricerca di un’agricoltura vitale e sostenibile. Considerazioni sullo stato della terra nella Pianura Padana e in Italia». Sono previsti anche gli interventi di Luca Colombo, della Fondazione diritti genetici, Andrea Ferrante dell’Aiab, Cinzia Scaffidi, direttrice del Centro studi di Slow Food , Simone Silva Pereira, della direzione nazionale del Mst brasiliano e Marinella Coreggia, della Coalition for plant-based solutions.

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martedì 6 ottobre 2009

le centrali nucleari sono state bocciate da un referendum

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Nel connubio incestuoso vi metterei anche una grossa fetta del mondo imprenditoriale Italiano ed estero, visto che in Italia per fortuna le centrali nucleari sono state bocciate da un referendum, per ora.
Sul nucleare è in corso una petizione organizzata da "Per il Bene Comune", un'altra credo organizzata da legambiente, ritengo che evitare frammentazioni su queste cose sia improduttivo oltre che stupido, visto che l'ambiente è la casa di tutti.
PBC ha appena lanciato una petizione contro gli Inceneritori http://cambiamoaria.org
Con PBC altre 24 tra comitati, associazioni e persone fisiche, hanno promosso la petizione,
l'auspicio è che altre aderiscano per fare un fronte comune contro gli affari di pochi a scapito della salute di tutti,
con buona pace del Dott. Veronesi, il quale ha dichiarato che il rischio per la salute con l'incenerimento dei rifiuti è pari a zero.
Come abbonati RAI, credo abbiamo il diritto/dovere di chiedere su questo tema che a "Che tempo che fa" venga ospitato un esponente della comunità scientifica,
penso la stragrande maggioranza, che ha idee diverse sull'impatto che la "termovalorizzazione" ha sulla salute.
Medicina Democratica insieme a Medici per l'ambiente oltre ad aderire alla petizione, potrebbero, se non è già stato fatto, anche con il sostegno delle associazioni, chidere alla redazione di Che tempo che fa uno spazio di intervento per completezza di informazione.
Purtroppo nel nostro paese una notizia se non passa in TV è come se non esistesse, quindi credo, visto che l'argomento riguarda la salute,
deve essere raccontato "disinteressatamente", per quello che è!
Si potrebbe intasare la casella di posta della redazione della trasmissione condotta da Fazio con una lettera che chiede completezza di informazione.
Sono un semplice Cittadino dotato di senso civico e soprattutto preoccupato, posso solo oltre a partecipare in modo attivo alla tutela dell'ambiente, proporre idee,nella speranza che se sono sensate, vengno portate avanti da chi ha più visibilità e di conseguenza più possibilità di perseguire lo scopo che le idee si prefiggono, magari chiedendo aiuto anche al "Fatto quotidiano".
Un saluto
Luigi Dell'Arena
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venerdì 2 ottobre 2009

I paesi ricchi devono aiutare quelli poveri a difendersi

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Clima, l'Onu: «I paesi ricchi devono aiutare quelli poveri a difendersi»

Rosa Mordenti

Sisma in Indonesia, tsunami sulle Samoa, tempesta tropicale su Filippine, Vietnam, Cambogia e Laos: le catastrofi del sud est asiatico irrompono a Bangkok, dove sono in cosrso i negoziati di preparazione del summit di Copenaghen sul clima. L'Onu: i paesi poveri devono essere aiutati ad affrontare i cambiamenti climatici. La Banca mondiale ha già fatto i conti

Una catena di catastrofi e disastri naturali che sembra non avere fine sta colpendo i paesi del Pacifico e del sud est asiatico: prima l’alluvione nelle Filippine, poi lo tsunami che ha colpito le Samoa, le Samoa americane e Tonga, ora si contano i morti e i danni causati dal terremoto in Indonesia. E mentre si cerca di capire cosa sia successo nelle isole e negli atolli vicino all’epicentro dello tsunami, che il mare gonfiato dal global warming stava già inghiottendo poco per volta, continua a piovere anche oggi, giovedì, su Vietnam, Cambogia e Laos, a causa dalla tempesta tropicale Ketsana che tra sabato e domenica scorsa ha causato 277 morti e 42 dispersi nelle Filippine. Ma Ketsana in tutto ha provocato, finora, 383, vittime: in Vietnam i morti accertati sono 92, in Cambogia 14.
Se ne discute, e non potrebbe essere altrimenti, ai negoziati sul clima in corso a Bangkok fino al 9 ottobre, in vista del summit di Copenaghen sul clima di dicembre. Il capo della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici [Unfccc] Yvo de Boer, ha detto che «l’elemento chiave per ottenere un accordo a Copenhagen è aumentare il sostegno ai paesi in via di sviluppo, sia nella regione del sud est asiatico che altrove, per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici. Tifoni, inondazioni e fenomeni meteorologici estremi si stanno intensificando – ha aggiunto de Boer – Far fronte a situazioni di emergenza, riducendo i rischi di calamità e aumentando la ‘resistenza climatica’, è una necessità». Sempre a Bangkok, la Banca mondiale ha presentato uno studio commissionato dai governi di Olanda, Gran Bretagna e Svizzera, che prova a fare i conti: per adattarsi ai cambiamenti climatici, e cioè per difendersi da precipitazioni sempre più intense e dall’aumento del livello del mare, i paesi poveri dovrebbero ricevere tra i 75 e i 100 miliardi di dollari ogni anno fino al 2050.
Nelle Filippine, nonostante la fine delle piogge da giorni, la situazione intanto non accenna a migliorare. Gli sfollati sono almeno 700 mila. L’impatto maggiore dell’alluvione è stato nei pressi del fiume Pasing, dove sono state colpite sia le zone residenziali che le baraccopoli, queste ultime quasi spazzate via e dove c’è stato il maggior numero di vittime.
Come aveva riportato l’agenzia missionaria Misna due giorni fa, a causare molti danni nel paese sono state anche le tonnellate di rifiuti lasciate lungo le strade in discariche improvvisate o lungo corsi d’acqua. La presenza di cumuli di immondizia ha di fatto sigillato intere aree impedendo all’acqua piovana di defluire.
Il segretario all’ambiente ed ex-sindaco della città Lito Atienza ha detto che «siamo di fronte a un campanello d’allarme sugli effetti dei cambiamenti climatici» e sui disastri che possono derivarne quando sono combinati con l’urbanizzazione selvaggia. «A essere colpiti sono stati coloro che erano già i più poveri e che ora hanno perso tutto» ha detto alla Misna padre David Domingues, missionario comboniano che si trova a Manila. Il missionario ha spiegato che lungo i corsi d’acqua sorgono molte baraccopoli: «Un fatto che unito all’alta densità abitativa, all’assenza di colline o aree anche di poco elevate e a un sistema fognario inesistente o inadeguato, ha prodotto il risultato ora sotto i nostri occhi».
La Commissione europea ha stanziato 150 mila euro di aiuti urgenti per le vittime dello tsunami nelle isole Samoa nel Pacifico e 4 milioni di euro alle vittime del tifone Ketsana nelle Filippine, in Vietnam, in Cambogia e nel Laos.
Intanto, è scattato l’allarme siccità nelle campagne indiane, alla fine della stagione delle piogge: quello del 2009 è stato il monsone più avaro di acqua negli ultimi 40 anni. In India grandissima parte dei piccoli contadini che costituiscono la stragrande maggioranza degli abitanti delle campagne conta sul monsone per la riserva idrica annuale.

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giovedì 1 ottobre 2009

NUCLEARE: APPELLO AMBIENTALISTA SPINGE LE REGIONI ALLA RIVOLTA

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NUCLEARE: APPELLO AMBIENTALISTA SPINGE LE REGIONI ALLA RIVOLTA

Cari cyberattivisti,
buone notizie dal fronte anti-nucleare! A seguito dell’appello rivolto l’11 settembre da Greenpeace, Legambiente e WWF ai Governatori e a tutti gli assessori competenti, Calabria, Toscana, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Umbria, Puglia, Campania e Basilicata hanno impugnato di fronte alla Corte Costituzionale la Legge 99/2009. Con questa legge, infatti, il Governo cerca di imporre la localizzazione delle centrali, schiacciando le competenze delle Regioni e ignorando le scelte dei cittadini.

Contro la delega nucleare al Governo si è scatenato un vero e proprio “effetto domino”. Una dopo l’altra le Regioni hanno alzato la voce. È quello che volevamo. Una valanga che ha travolto anche le cosiddette “regioni amiche”: nei Consigli Regionali di Sardegna, Veneto e Sicilia, governate dal centrodestra, si vede come la scelta nucleare ha messo in difficoltà la stessa maggioranza.

La Legge 99/2009 è molto pericolosa. Mette completamente fuori gioco le Regioni sulla localizzazione degli impianti nucleari per la produzione dell’energia elettrica, sugli impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento degli impianti nucleari. Tutto questo in contrasto con quanto stabilito dal Titolo V della Costituzione sui poteri concorrenti delle Regioni in materia di Governo del territorio e sul rispetto del principio di leale collaborazione.

Il nucleare è una fonte energetica insicura e costosa. La gestione a lungo termine delle scorie nucleari non è stata risolta da nessun paese e non c’è una tecnologia che non possa essere utilizzata anche per produrre materiali per le bombe atomiche.

Inoltre, il nucleare sottrae tempo e denaro allo sviluppo e utilizzo di fonti rinnovabili ed efficienza energetica. Alternative davvero sicure, energeticamente più rilevanti e con maggiore impatto occupazionale.

Ora che undici Regioni, ovvero il 56 per cento del territorio italiano, hanno detto formalmente “no” al nucleare, il nostro governo ha una sola scelta: fare marcia indietro!

Noi continueremo a batterci contro il nucleare. Speriamo e contiamo sul vostro coinvolgimento. È solo grazie al sostegno di singole persone come voi che abbiamo le risorse per portare avanti tutte le nostre campagne.







Grazie mille e a presto!

Giuseppe Onufrio
Direttore Esecutivo


PS: Spedisci questo messaggio a tutti i tuoi amici interessati a combattere il nucleare.
PS: Come saprai, Greenpeace è indipendente e realizza le sue campagne solo grazie all’aiuto di singole persone come te. Se non lo sei già, diventa un sostenitore di Greenpeace! Sostieni questa e altre campagne in difesa del pianeta


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Navi dei veleni, oggi conferenza stampa Wwf

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Navi dei veleni, oggi conferenza stampa Wwf

«Navi dei veleni: operazione trasparenza» è il tema della conferenza stampa convocata dal Wwf domani, alle 11,30 a Roma, presso la sede dell’associazione [via Po, 25/C]. Vengono ripresentati i dossier, le richieste al governo e alle commissioni bicamerali, e sentite le voci dei protagonisti [magistrati, istituzioni locali, attivisti in prima linea] per capire come uscire dal balletto delle dichiarazioni di intenti, già viste anche in passato, ed entrare subito nella fase «operativa». Le mosse più urgenti per dare risposte concrete all’allarme ambientale provocato dalle «Navi dei veleni», a partire dallo stanziamento di fondi e iniziative straordinarie. Intervengono: Silvio Greco, assessore all’ambiente della Regione Calabria, Francesco Neri, pm di Reggio Calabria, Stefano Leoni, presidente del Wwf Italia, Patrizia Fantilli, responsabile ufficio legislativo Wwf Italia.

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Sardegna cementificata per quattro soldi

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Sardegna cementificata per quattro soldi

«Piano per l’edilizia: Sardegna cementificata per quattro soldi» è il titolo del dibattito pubblico organizzato da I RossoMori e dalle associazioni Gruppo d´intervento giuridico e Amici della terra, venerdì 2 ottobre, alle 17, a Cagliari [Caesar’s hotel in via Darwin]. L’obiettivo è far conoscere ai cittadini le pesanti conseguenze sull’ambiente, sul territorio e sul tessuto economico-sociale della proposta di legge regionale in corso di esame presso il consiglio regionale sul piano per l´edilizia regionale. Per consentire la massima partecipazione al dibattito, sono previsti solo quattro interventi. http://gruppodinterventogiuridico.blog.tiscali.it/.


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Monferrato, processo all'amianto dell'Eternit

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Monferrato, processo all'amianto dell'Eternit

E’ su Il Monferrato on line la notizia che il Tribunale di Torino ha reso noti gli elenchi delle parti lese nell’ambito del processo contro i responsabili della Eternit per le morti e per i danni causati dall’amianto. Il processo prenderà avvio il 10 dicembre. Gli elenchi sono consultabili sul sito del tribunale [www.tribunale.torino.it/in_evidenza.aspx], ma il magistrato Cristina Palmesino ha disposto che siano comunque inviati ai Comuni di Casale Monferrato, Cavagnolo e Rubiera. Tutte le persone interessate dal procedimento possono prendere visione del documento presso palazzo S.Giorgio, sede del Comune di Casale Monferrato [Alessandria].
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