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mercoledì 30 giugno 2010

Troppo grande per fallire. Bp e marea nera. Risvolti economici della catastrofe ecologica

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Voglio sapere di chi è il sedere da prendere a calci, disse qualche giorno fa il presidente Obama a proposito della marea nera.

Balle. Lo sa benissimo anche lui: la Bp, che ha trivellato il pozzo di petrolio fuori controllo, è troppo grande per fallire (esattamente come due anni fa le banche) anche se il valore delle azioni si è più che dimezzato dal fatidico 20 aprile.

Obama non prenderà a pedate nessuno dunque. I grandi manager con le valigie gonfie di dollaroni sono e saranno in salvo.



Invece tante piccole e medie realtà economiche stanno ricevendo molto peggio che semplici pedate. Le attività umane lungo il Golfo del Messico sono letteralmente stritolate dalla catastrofe ecologica. Davanti alla Caritas della Louisiana c’è la fila.

La Bp ha già speso 2,35 miliardi di dollari per (cercare di) contenere il petrolio e ripulire le spiagge: noccioline. Ci sono i 20 miliardi del fondo di garanzia per i danni futuri. In realtà analisti ritengono che il conto totale si avvicinerà ai 100 miliardi di dollari. Salute!

Infatti guardate il grafico relativo all’andamento delle sue azioni in borsa. Lo screenshot è di ieri pomeriggio; cliccandoci sopra si accede alla versione aggiornata. Il pallino rosso è una mia aggiunta sul 20 aprile, quando a Londra il titolo era sui 650 pence. Adesso è sotto i 300.

Sta finendo gambe all’aria, si direbbe. Ma Business Week elenca i motivi per cui Obama non può concedersi il lusso di lasciare andare la Bp per la sua strada: è il maggiore fornitore di petrolio e gas degli Stati Uniti (un miliardo di barili al giorno: non si può mica farne a meno) e ha assicurato agli Usa l’accesso ad alcune risorse petrolifere strategiche nella regione del Mar Caspio, controbilanciando lo strapotere nell’area della Russia.

Dunque Obama dovrà venire a compromessi. I grandi manager possono tirare un sospiro di sollievo: niente calci nel sedere. Per la gente comune però è tutt’altro paio di maniche.

Le attività economiche stanno andando in rovinaattorno al Golfo del Messico intossicato dalla marea nera. Soprattutto in Louisiana, ma anche in Mississippi, Florida (e in parte Alabama) si campa di pesca, turismo, petrolio.

Ora le nuove trivellazioni nel Golfo del Messico sono sono vietate. La pesca è vietata sul 33% delle acque: per adesso. E i turisti hanno le spiagge incatramate.

Alcuni analisti ritengono che un milione di persone possano perdere il lavoroa causa della marea nera. I quattro Stati hanno una popolazione complessiva di circa 30 milioni di persone, lattanti e novantenni inclusi.

Non è il momento migliore per cercarne un nuovo impiego, ne converrete: e negli Stati Uniti forse ancor meno che altrove. Soprattutto i pescatori: persone semplici, che sanno fare solo quel mestiere.

I pensionati, poi. La maggioranza dei fondi pensioni britannici possiede quote Bp. Idem molti fondi pensione negli Usa, fra cui quelli degli Stati di New York, Florida, Illinois… Il reddito di milioni e milioni di anzianirischia seriamente di diminuire a causa delle batoste economiche che la marea nera infligge al colosso petrolifero.

Ed è ancora presto per fare il punto vero della situazione. Nella migliore delle ipotesi il pozzo sarà turato in agosto. Altri dicono non prima di Natale. E, quando finalmente avverrà, il petrolio non sparirà per magia dal mare.

Su Business Week perchè gli Usa non possono girale le spalle alla Pb

Su Washington Post la disperazione in Louisiana per la marea nera

http://www.blogeko.it/2010/troppo-grande-per-fallire-bp-e-marea-nera-risvolti-economici-della-catastrofe-ecologica/




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Marea nera. Usa accettano aiuti da 12 paesi




Gli Stati Uniti accetteranno gli aiuti di 12 paesi per tentare di fermare la fuga di petrolio nel Golfo del Messico e lottare contro le conseguenze della marea nera: lo ha annunciato ieri il dipartimento di Stato. «Gli Stati Uniti accetteranno 22 proposte di aiuto presentate da 12 paesi e organizzazioni internazionali», ha indicato il dipartimento di Stato con un comunicato.
Imbarcazioni ad alta velocità che permettono di recuperare il petrolio in superficie e dighe mobili anti incendio, proposte dal Giappone, fanno parte degli aiuti accettati dagli Stati Uniti, si precisa nel comunicato senza aggiungere ulteriori informazioni. Le autorità americane, al momento, stanno lavorando sulle modalità di consegna di questi aiuti.


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Taranto, sotto inchiesta i vertici dell'Ilva

Fumi, diossina, furani e pcb: le indagini della procura di Taranto sono partite circa due anni fa dopo il ritrovamento di tracce di questi veleni nei formaggi degli allevamenti a ridosso della zona industriale. Sono quattro gli indagati di spicco coinvolti: il patron dell’Ilva Emilio Riva, suo figlio Nicola [da poco più di un mese alla guida dell’acciaieria di famiglia], il direttore dello stabilimento tarantino Luigi Capogrosso e il responsabile dell’agglomerato 2, Angelo Cavallo. Fra i reati contestati, per la prima volta, c’è quello di disastro ambientale. Da mesi, da parte di associazioni cittadine ed ambientaliste, si erano sollevati cori di protesta per le incredibili nuvole di fumo, visibili perfino dai paesi della provincia distanti diversi chilometri, che in particolare di notte si sono alzate dalle ciminiere. Rilievi tecnici curati per l’Arpa, inoltre, avevano scatenato l’allarme dei pcb [policlorobifenili], composti cancerogeni banditi già dagli anni ’70, prodotti non nella combustione, come la diossina, bensì utilizzati nei trasformatori elettrici.


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lunedì 28 giugno 2010

Una barca fatta di bottiglie di plastica

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Questa è una barca costruita con bottiglie di plastica , è stata chiamata Plastiki e in questa foto si trova a San Francisco Bay , per alcune prove in mare.
Il catamarano è di 60 piedi ed è un'invenzione dell' erede bancario e avventuriero britannico David de Rothschild, il cui obiettivo è quello di promuovere in modo più intelligente modi di utilizzare le risorse riciclate.
La barca veleggerà per tutto il Pacifico, e arriverà in Australia per promuovere quello che lui chiama "un modo di vivere per un pianeta migliore 2.0 ".
La barca è stata nominata Plastiki perché è stata in parte ispirata dalla spedizione Kon Thor's Heyderdahl-Tiki (il famoso Kon Tiki). E' costituita da circa 12.000 bottiglie da due litri di acqua di plastica legati insieme con una rete di ritenuta e montato su un telaio di legno in compensato. Ogni flacone è riempito con 12 grammi di ghiaccio secco per renderla più forti. Plastiki sarà completamente attrezzata persino con un piccolo orto sostenibile ed una zona di compostaggio!

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venerdì 25 giugno 2010

Nucleare, il governo non ha ancora vinto, nonostante la Corte

Nucleare, il governo non ha ancora vinto, nonostante la Corte

DI Anna Pacilli


La produzione di energia nucleare è competenza solo statale, dice in soldoni la Corte costituzionale, che ha respinto il ricorso delle Regioni. Ma il discorso non è chiuso, se le Regioni non gettano la spugna e se il Pd non cede alle lusinghe.

La Corte costituzionale ha bocciato il ricorso di undici Regioni contro la parte della legge sullo sviluppo economico [n. 99 del 2009] che ripropone il nucleare in Italia. Calabria, Basilicata, Molise, Campania, Puglia, Umbria, Lazio, Toscana, Marche, Emilia Romagna e Piemonte avevano giudicato illegittima la ripartizione delle competenze contenuta nella legge, che taglia fuori le Regioni [e dunque anche gli enti e le comunità locali] da qualsiasi decisione in materia di produzione elettrica da fonte nucleare sui propri territori. Ma alla Corte, evidentemente, non è bastata la disposizione per cui, in base alla modifica del titolo V della costituzione, l’energia è materia «concorrente» di competenza sia statale che regionale [le motivazioni della bocciatura del ricorso si conosceranno fra qualche settimana].
Attaccano gli ambientalisti: «Il governo ora è solo di fronte alla decisione sul futuro nucleare dell’Italia – dice il Wwf – Dovrà decidere senza il contributo delle Regioni e dei cittadini dalle cui tasche verranno prelevati i soldi per gli enormi costi di costruzione delle centrali e sui quali incomberanno i costi ambientali e i pericoli sanitari». E Legambiente «La quasi totalità delle Regioni italiane, governate dal centrodestra e dal centrosinistra, e la maggior parte dei cittadini non vogliono sentir parlare di ritorno al nucleare».
Intanto, la Corte costituzionale deve pronunciarsi anche in merito all’altro ricorso, presentato contro il decreto legislativo approvato a marzo 2010 [uno dei decreti attuativi della legge n. 99 sullo sviluppo], che fissa i criteri per l’individuazione e la realizzazione dei siti nucleari nel nostro paese. Una norma che, di fatto, continua a escludere dalle decisioni le Regioni e gli enti locali. A ricorrere alla Corte è stata, per esempio, la Regione Puglia, che sul nucleare ha fatto un ulteriore passo, approvando mesi fa una legge ad hoc che esclude la realizzazione di impianti sul proprio territorio. Leggi analoghe sono state approvate da Campania e Basilicata. Questi provvedimenti sono stati impugnati lo scorso febbraio dal governo Berlusconi. Restano dunque in piedi ancora diverse partite legali, né sono esauriti gli strumenti in mano alle Regioni, se lo vogliono. Nel frattempo, l’Idv continua la raccolta delle firme per il referendum, che non pochi considerano rischioso.
Intanto la ministra Stefania Prestigiacomo, soddisfatta del pronunciamento della Corte e in assenza del ministro dello sviluppo economico, prende in carico la promozione del nucleare, dimenticando evidentemente che il suo mandato è la tutela dell’ambiente. E cerca sponda [trovandola] in quella settantina di «personaggi» eletti o di area Pd che, a maggio, hanno scritto al segretario Pier Luigi Bersani per chiedere che il partito riveda le posizioni contrarie al nucleare. Fra le firme Umberto Veronesi, Margherita Hack, Fabrizio Rondolino, Chicco Testa, e i parlamentari Franco Debenedetti, Tiziano Treu, Pietro Ichino, Enrico Morando. Proprio oggi la ministra Prestigiacomo dovrebbe incontrare l’oncologo Veronesi.


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giovedì 24 giugno 2010

Nucleare,La Consulta respinge i ricorsi delle regioni

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Nucleare, Consulta respinge ricorsi regioni     La Corte Costituzionale  ha rigettato i ricorsi sollevati da dieci Regioni sulla legge delega del 2009 sul nucleare, dichiarandoli in parte infondati e in parte inammissibili. A impugnare la legge n. 99 del 2009 che ha conferito al governo la delega per la riapertura degli impianti nucleari in Italia sono state Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Lazio, Calabria, Marche, Emilia Romagna e Molise



Anche il Piemonte aveva fatto ricorso alla Consulta che però la nuova giunta guidata dal leghista Roberto Cota ha deciso di ritirare. Numerosi i profili di illegittimità della legge delega lamentati dalle Regioni.
Al governo è stata contestata soprattutto l'assenza di intesa e raccordo con ciascuna delle Regioni interessate dalla scelta dei siti delle centrali; i criteri e le modalità di esercizio del potere sostituivo dell'esecutivo centrale in caso di mancato accordo; la possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione; la procedura che prevede una autorizzazione unica (e non a livello locale) sulle tipologie di impianti per la produzione di energia nucleare rilasciata previa intesa della Conferenza unificata e dopo delibera del Cipe. I giudici della Consulta, dopo aver ascoltato ieri in udienza pubblica gli avvocati delle Regioni e l'avvocato generale dello Stato per conto del governo, hanno affrontato la questione nella camera di consiglio di oggi pomeriggio. Sarà dalla lettura delle motivazioni della sentenza - scritte dal vicepresidente Ugo De Siervo - che si comprenderà quali siano le competenze che la Consulta ha ritenuto prevalenti nel settore del nucleare alla luce della riforma del titolo V della Costituzione. La tutela dell'ambiente e della salute sono infatti di competenza statale, ma queste devono confrontarsi con le competenze regionali concorrenti in materia di energia e di governo del territorio. Quella di oggi non sarà comunque la parola definitiva della Consulta sul nucleare: oltre che sulla legge delega, i giudici costituzionali dovranno pronunciarsi anche sul decreto delegato del 15 febbario scorso, nel frattempo impugnato da alcune regioni (Emilia Romagna, Toscana e Puglia).
POSSIBILI SITI PER IL RITORNO ALL'ATOMO
Dopo che la Corte Costituzionale ha rigettato i ricorsi sollevati da dieci Regioni sulla legge delega del 2009 sul nucleare, dichiarandoli in parte infondati e in parte inammissibili cade anche l'ultimo ostacolo di rilievo per il ripristino dell'atomo in Italia. Ora, il primo passo necessario ad avviare la fase di ritorno dell'Italia al nucleare sarà quello di scegliere i siti che ospiteranno le centrali. Operazione per la quale, secondo il governo, ci vorranno circa tre anni. I criteri per la scelta sono stati dettagliati più volte: l'European Pressurized Reactor (EPR) di tecnologia francese - quello che sbarcherà in Italia - richiede zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d'acqua senza però il pericolo di inondazioni e, preferibilmente, la lontananza da zone densamente popolate. Non a caso il decreto legislativo varato dal Consiglio dei ministri a dicembre, che mira a indicare le aree che potranno essere scelte dagli operatori per la costruzione delle prossime centrali nucleari, indica una serie di parametri ambientali, fra cui popolazione e fattori socio-economici, qualità dell'aria, risorse idriche, fattori climatici, valore paesaggistico e architettonico-storico. Secondo il decreto, i siti che decideranno di ospitare le centrali potranno ottenere bonus sostanziosi, intorno ai 10 milioni di euro l'anno, destinati sia agli enti locali che ai residenti nelle zone in questione. Fra i nomi che puntualmente ritornano, al di là delle dichiarazioni contrarie di alcuni presidenti di Regione, ci sono quelli già scelti per i precedenti impianti, poi chiusi in seguito al referendum del 1987: Caorso, nel Piacentino, e Trino Vercellese (Vercelli), entrambi collocati nella Pianura Padana e quindi con basso rischio sismico ed alta disponibilità di acqua di fiume. Fra i luoghi più papabili, anche Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, che unisce alla scarsa sismicità la presenza dell'acqua di mare. Secondo altri, fra cui i Verdi e Legambiente, il quarto candidato ideale è Termoli, in provincia di Campobasso, mentre in altre circostanze si è fatto il nome di Porto Tolle, a Rovigo, dove c'é già una centrale a olio combustibile in processo di conversione a carbone pulito. Gli altri nomi che ricorrono più spesso sono Monfalcone (in provincia di Gorizia) Scanzano Jonico (Matera), Palma (Agrigento), Oristano e Chioggia (Venezia).

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lunedì 21 giugno 2010

Ma ci vorrà molto tempo per fermare la marea nera nel Golfo del Messico

Relief well, pozzo di soccorso. Cos’è e perchè ci vorranno altri mesi per fermare la marea nera
 
 
 
 
Le speranze sono affidate ai “relief well“, i pozzi di soccorso. Ma ci vorrà molto tempo per fermare la marea nera nel Golfo del Messico. Fino a Natale addirittura, secondo l’opinione di esperti intervistati dal Guardian.

Ogni giorno si riversano in mare fino a 60.000 barili di petrolio (l’ultima stima ufficiale, ma c’è chi dice di più) : sono circa 9,5 milioni di litri quotidiani. Tre piscine olimpioniche abbondanti. E moltiplicatele per otto mesi.

Per chiudere Macondo, il pozzo Bp che sversa petrolio dal 20 aprile, si stanno scavando due “relief well” .

Il primo sarà ultimato a fine luglio, si era detto all’inizio: e più o meno (con qualche ritardo per via degli uragani) questa resta la previsione. Ma “ultimato” non è ancora sinonimo di efficace. E soprattutto, se davvero l’interno del pozzo è danneggiato, la situazione è complicata davvero. Vediamo.

Il “relief well” è un pozzo che per un primo e lungo tratto viene scavato parallelo a quello che perde: Macondo è situato a 1500 metri circa di profondità sotto il mare e scende sottoterra per altri 5.000 metri circa.

Ad un certo punto la traiettoria del “relief well” piega per incontrare il pozzo che perde. I due scavi devono esattamente congiungersi: fatto questo, attraverso il “relief well”, può essere effettuata sul pozzo danneggiato una manovra tipo top kill, per turarlo una volta per tutte.

Chilometri di lunghezza e poche decine di centimetri di larghezza. La difficoltà di centrare esattamente il vecchio pozzo con il nuovo è evidente. Per quanto la tecnologia aiuti, si procede per tentativi ed errori. Ai primi di agosto potrà appunto cominciare questa fase.

Ne 1979 furono scavati “relief well” anche per bloccare la perdita di petrolio proveniente dal pozzo offshore Ixtoc situato sul lato messicano del Golfo del Messico. I tentativi ed errori presero tre mesi a partire dal completamento dello scavo.

Era trent’anni fa; qualche progresso la tecnologia lo ha fatto. E in effetti il pozzo Ixtoc si trovava su un fondale profondo 150 metri: non 1500 come quello della Bp…

L’anno scorso, per turare il pozzo Montara al largo dell’Australia (raggiungeva la profondità di 2.600 metri circa a partire dal fondale), ci vollero dieci settimane di tentativi ed errori con il “relief well”.

E non solo. Se il senatore Nelson ha ragione, se il rivestimento artificiale all’interno del pozzo Bp si è crepato, la faccenda si complica non poco.

Significa che il petrolio si infiltra attraverso le crepe nelle rocce circostanti, cercando si aprirsi una strada verso l’alto. Possiamo immaginarlo come un albero: il pozzo è il tronco, le infiltrazioni di petrolio attraverso le crepe sono come i rami. “Rami” e “ramoscelli” che si allargano e si innalzano fino a trovare uno sbocco sul fondale.

In questo caso, per bloccare la perdita il “relief well” deve centrare il pozzo Macondo nello spazio compreso fra il più basso dei “rami” e il limite superiore del giacimento. Al confronto, giocare a mosca cieca è uno scherzo.

Altro ingrediente che rende la situazione difficile: lo scavo dei “relief well” dovrà misurarsi con le stesse difficoltà incontrate dalla Bp per scavare il pozzo Macondo. Prima dell’esplosione del 20 aprile aveva dato più volte problemi legati alla presenza di grandi quantità di metano. Quel pozzo è un incubo, è scritto in una mail interna della Bp.

Associated Press ha appurato che la Bp ha redatto i progetti per i “relief well” a tamburo battente, nei giorni convulsi successivi all’incidente del 20 aprile: non contengono praticamente dettagli, scrive l’agenzia, salvo uno.

Sarebbe questo. I progetti sottolineano che in caso di incidente c’è la possibilità di uno sversamento di petrolio in mare ancora più grave.

Sul Guardian il pozzo Bp potrebbe non essere tappato prima di Natale

Su Associated Press via Yahoo! News “relief well, la lezione del 1979

Su Bloomberg il “relief well” per tentativi ed errori

Su Associated Press via Yahoo! News il progetto Bp per il relief well

Sul New York Times la mail interna della Bp che definisce “un incubo” il pozzo Macondo

Su Bloomberg i problemi incontrati dalla Bp durante la trivellazione del pozzo Macondo

Foto Flickr


http://www.blogeko.it/2010/relief-well-pozzi-di-soccorso-cosa-sono-e-perche-ci-vorranno-mesi-per-fermare-la-marea-nera/


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La Corte Costituzionale boccia il decreto sul ritorno al nucleare

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La Corte Costituzionale boccia il decreto sul ritorno al nucleare

In attesa di esaminare domani il ricorso presentato da molte Regioni, la Corte Costituzionale ha bocciato una parte sostanziale del decreto legge che sanciva il ritorno dell’Italia al nucleare. E’ stato disintegrato nel silenzio totale dei maggiori media.

La sentenza è la numero del 9 giugno 2010. Essa ha cancellato, in quanto incostituzionale, il quarto articolo della legge numero 102 del 3 agosto 2009: il ritorno al nucleare, appunto.

Il nodo dell’incostituzionalità, tagliando con l’accetta: si è fatto per l’atomo un provvedimento urgente (un decreto legge, un pacchetto anti-crisi e per lo sviluppo) affidandone l’esecuzione a capitali privati, che sono per natura incerti: è una cosa inconciliabile con l’urgenza stessa.

Il quarto articolo del decreto legge sul nucleare diceva in sostanza tre cose.

Primo, che la costruzione delle centrali nucleari era faccenda urgente e indispensabile. Secondo, che essa sarebbe stata realizzata con capitali privati, o prevalentemente privati. Terzo, che il Governo avrebbe potuto istituire commissari straordinari con poteri esclusivi e totali a proposito dell’ubicazione delle centrali.

La questione della costituzionalità di questo articolo era stata sollevata dalle Regioni Umbria, Toscana, Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento.

La suprema corte ha appunto stabilito che l’urgenza delle centrali nucleari non si concilia con il ricorso ai capitali privati per costruirle: un’azienda investe dove e quando le conviene, non al comando di un decreto legge.

Dice la sentenza: “trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo d’urgenza dovrebbe comportare l’assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere medesime”.

Dunque, se lo Stato non si muove in prima persona, le centrali nucleari non sono poi così urgenti. E di conseguenza “non c’è motivo di sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli interventi”.

Domani, 22 giugno, la Corte Costituzionale si pronuncerà sul ricorso più famoso contro il ritorno al nucleare: quello promosso da 11 Regioni, anche se recentemente il Piemonte di Cota ha fatto dietrofront.

Questo ricorso verte sulla mancata previsione della necessità di un’intesa con le Regioni e gli enti locali a proposito dell’ubicazione delle centrali nucleari.

Su Julie News la Corte Costituzionale boccia il decreto sul ritorno al nucleare

La sentenza della Corte Costituzionale numero del 9 giugno 2010 che boccia il ritorno al nucleare

La legge numero 102, del 3 agosto 2009, conversione del decreto-legge numero 78 che sancisce il ritorno al nucleare

Via Il blog di Alessandro Tauro


http://www.blogeko.it/2010/la-corte-costituzionale-boccia-il-decreto-sul-ritorno-al-nucleare/





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venerdì 18 giugno 2010

Prove inconfutabili di un traffico di rifiuti sospetti verso l’Africa

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Greenpeace Update
18 Giugno 2010


Ciao ,

Sei terribili foto. Mai pubblicate prima. Prove inconfutabili di un traffico di rifiuti sospetti verso l’Africa. Le diffondiamo oggi con la nostra nuova inchiesta “Le navi tossiche: lo snodo italiano, l’area mediterranea e l’Africa", che riassume più di vent’anni di traffico di rifiuti tossici e radioattivi. Le foto risalgono al 1997 e dimostrano come centinaia di container dal contenuto di dubbia provenienza siano stati interrati nel porto di Eel Ma’aan in Somalia, costruito da imprenditori italiani.

La nostra inchiesta solleva anche profondi dubbi su come siano state gestite le operazioni per fare luce sul presunto ritrovamento del relitto della “Cunski”, al largo di Cetraro. Ci sono indicazioni chiare che il Ministero britannico della Difesa abbia offerto al governo italiano mezzi e personale qualificato per effettuare le ricerche sottomarine a un prezzo inferiore rispetto a quello proposto da Mare Oceano, di proprietà della famiglia Attanasio, che ha effettuato l’operazione. Perché l’offerta britannica è stata rifiutata? Quali sono i termini del contratto della Mare Oceano? Non ce lo dicono! Sappiamo, però, che Diego Attanasio è coinvolto nel caso “Mills-Berlusconi”.

Il settimanale “L’Espresso” che puoi trovare oggi in edicola, ha pubblicato la nostra inchiesta. Ti invitiamo a leggerlo. Se vuoi conoscere tutti i dettagli di questa vicenda, scarica il report e diffondilo tra i tuoi amici. Abbiamo tutti il diritto-dovere di informarci per capire cos’è successo e succede. Oggi esiste una mole impressionante di fatti e dati che - anche se purtroppo non ha prodotto una verità giudiziaria - può permettere la ricostruzione di una verità storica ormai matura.

> SCARICA IL REPORT IN INGLESE 'THE TOXIC SHIPS'
> SCARICA IL BRIEFING IN ITALIANO 'LE NAVI TOSSICHE'


ILARIA ALPI - Il più crudele dei giorni


di: Ferdinando Vicentini Orgnani
TRAMA

L'ultimo mese di vita di Ilaria Alpi e del suo operatore video prima della loro scomparsa.

RECENSIONI
Questo film si inserisce all’interno del genere denominato film d’inchiesta nel quale, modestamente parlando, nel nostro paese siamo degli esperti. Non mancano illustri titoli che si prestano a dotte citazioni per il sedicente esperto di cinema. Potremmo fare il nome di Francesco Rosi e del suo Salvatore Giuliano risalente al 1962 e del successivo Le Mani sulla città del 1963. Andando più in là nel tempo i titoli si moltiplicano come vanno moltiplicandosi gli strani fatti irrisolti della fantapolitica italiana. Francamente non riesco a trovare un altro modo di definire accadimenti che hanno dell’incredibile e dell’assurdo per qualsiasi paese civile. Il caso Moro, Il caso Mattei, Il muro di Gomma e più recentemente il film riguardante il caso Tortora e Vajont. Ma francamente molto più interessante sarebbe andare ad indagare tutte quelle sceneggiature che “sarebbero volute essere altra struttura” ma che non lo sono mai divenute in quanto molto fastidiose per il potere politico ed economico. Esiste con certezza una sceneggiatura che ripercorre tutta la storia di mani pulite ma a detta dello sceneggiatore (che per ovvie ragioni non citiamo augurandogli di lavorare ancora per molto) tutte le produzioni si sono rifiutate irremovibilmente di portarla alla fase di realizzazione. Potremmo dire che in Italia non abbiamo bisogno di fantascienza in quanto a questa sopperisce abbondantemente il panorama politico-economico che ci ha regalato e ci riserverà ancora per molto colpi di scena degni di Blade Runner, Matrix e Guerre stellari. Si, qui da noi ci sono replicanti della politica che succhiano il sangue alla popolazione come fossero batterie e le guerre nell’aria abbattono aerei carichi di normali cittadini. Perché spendere tanto in effetti speciali quando la realtà ti regala tutto questo ben di Dio?
20 marzo 1994, Mogadiscio. E’ la data di morte di Ilaria Alpi. Una morte che a distanza di circa nove anni non ha ancora un senso. Chi furono i mandanti dell’omicidio e perché Ilaria Alpi fu assassinata con un colpo di pistola sparato in testa? Il film di Ferdinando Vicentini Orgnani, scritto insieme ai familiari della giornalista, racconta l’ultimo mese di vita della ragazza insieme al suo fedele operatore video Miran Hrovatin. I due si muovono in territori ostili, rischiando continuamente per portare a termine il loro lavoro che consiste nell’informare. Ad interpretare la ragazza è una Giovanna Mezzogiorno sicura di sé e pronta a tutto pur di trovare la verità. Miran Hrovatin è invece interpretato da Rade Sherbedgia, un attore che ha all’attivo capolavori quali La tregua di Francesco Rosi, Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick e tanti altri. La produzione è stata il risultato della cooperazione tra Lares Video Srl – GAM Film Srl, EMME Produzioni Srl con la collaborazione di RAI CINEMA mentre la distribuzione è affidata all’ISTITUTO LUCE. Il regista apre e chiude il film con la stessa scena vista da due punti di vista differenti e si preoccupa di ottenere il massimo del realismo. Per fare questo utilizza attori somali e gira tra Trieste, Slovenia, Roma, Marocco e Belgrado. Secondo le dichiarazioni del regista, rilasciate nelle sue note di regia, le persone di origine somala contattate all’inizio, sparivano inspiegabilmente in seguito a delle minacce. L’autore ha tratto il film dal libro intitolato L’esecuzione, scritto da Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer e Maurizio Torrealta. Il lavoro per arrivare alla sceneggiatura scritta dal regista insieme a Marcello Fois e pubblicata dall’editore Frassinelli, è iniziato nel settembre del 2000. Il risultato è un film forte e convincente, capace di lasciare intuire che dietro quest’omicidio c’è qualcosa di molto grosso. Particolarmente toccante è la scena dell’omicidio nella quale il regista ci mostra la facilità con la quale viene commesso e la paura della protagonista. La tesi degli autori, che si rifà ai processi, è che Ilaria Alpi aveva scoperto dei traffici illeciti. Il processo è ancora in corso e di Ilaria Alpi rimane un libro, un film ed un premio per il giornalismo televisivo. Prove che dimostrano quanto persone come lei rimangano impresse nella memoria di una società combattuta dal desiderio di sconfiggere le ingiustizie.
Fabio Sajeva
Voto: 7.5

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NO PONTE

La Nautilus al lavoro

di Luigi Sturniolo

Sul proprio sito web la Cooperativa Nautilus di Vibo Valentia, componente del Raggruppamento Temporaneo d'imprese guidato da Fenice S.p.a. che farà da Monitore Ambientale per la Società Stretto di Messina, annunciava già il 29 ottobre 2009 l'inizio delle attività di monitoraggio ante-operam relative al "Servizio di monitoraggio ambientale, territoriale e sociale nell’ambito della realizzazione dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina e dei relativi collegamenti stradali e ferroviari sui versanti Calabria e Sicilia”.

Sembrerebbe, inoltre, che tra la fine di maggio e l'inizio di giugno con l'ausilio della nave "Coopernaut Franca", di proprietà della Nautilus, siano stati effettuati rilievi per una decina di giorni nello Stretto di Messina e che dal 15 giugno abbiano avuto inizio altri interventi di monitoraggio.
Strana storia quella della Cooperativa Nautilus. Il presidente, Lello Greco, è promotore del movimento politico "Slega la Calabria" insieme al fratello Silvio, assessore all'ambiente durante la Giunta Loiero, fervido attivista no ponte (nella foto è ritratto mentre rilascia un'intervista ad una giornalista di Sky durante la manifestazione No Ponte del 19 dicembre a Villa San Giovanni).
Silvio Greco, quotato biologo marino, è stato molto impegnato nella vicenda dell'inchiesta sulle navi dei veleni nei mari calabresi. Anche in questa occasione è stata utilizzata per le ricerche sui fondali la "Coopernaut Franca" della Cooperativa Nautilus.

 http://www.noponte.it/


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mercoledì 16 giugno 2010

Bp pagherà tutto Guidiamo il mondo verso energie pulite - Obama -


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DIRETTA FUORIUSCITA PETROLIO

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Marea nera, Obama:
“Bp pagherà tutto
Guidiamo il mondo
verso energie pulite”

Il presidente Usa parla per la prima volta dallo Studio ovale e promette un cambio di rotta sulle energie. Nominato un responsabile con pieni poteri per la crisi nel Golfo del Messico. Che non accenna a diminuire: nuove stime rivelano che la perdita di greggio è peggiore del previsto



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Come durante la seconda guerra mondiale, come quando l’America ha mandato un uomo sulla Luna, il presidente Barack Obama ha chiesto agli Stati Uniti di imbarcarsi in una “missione nazionale” per l’energia pulita. “Il futuro dell’energia pulita è adesso”, ha detto Obama che, nel suo primo, solenne discorso dall’Ufficio Ovale, ha detto che Bp “dovrà pagare per il disastro provocato dalla sua irresponsabilità”, ovvero la marea nera che sta devastando le coste del sud est degli Stati Uniti.

Lo “zar” delle coste
Obama ha annunciato la nomina di un responsabile, Ray Mabus (ex ufficiale della marina e ex governatore del Mississippi), per coordinare l’emergenza ambientale, e oggi incontrerà incontra i vertici della multinazionale del petrolio. Nodo cruciale del vertice sarà se i lavoratori dell’industria del greggio rimasti senza lavoro per la moratoria sulle trivellazioni debbano essere indennizzati da Bp.

I dati
Poco prima del discorso del presidente, scienziati federali hanno reso noto che le stime del geyser di greggio che fuoriesce dai fondali del Golfo del Messico sono assai più alte di quanto annunciato solo la scorsa settimana: fino a 60 mila barili di greggio al giorno, pari a una Exxon-Valdez ogni quattro-sei giorni. Obama ha però assicurato che presto Bp sarà in grado di catturare il 90 per cento della perdita. Ma sarà un tampone a fronte di un problema più vasto: occorre, ha detto Obama, che gli Usa guidino il mondo verso fonti energetiche pulite.


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Kevin Costner
contro la Marea Nera

La BP compra le macchine “separa petrolio” brevettate dall’attore


La BP chiede aiuto a Kevin Costner. A due mesi dall’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon che ha causato nel Golfo del Messico il più grave disastro ambientale della storia americana, gli esperti della BP hanno riconosciuto che i macchinari dell’attore sono, tra gli strumenti finora conosciuti, i più efficaci a ripulire l’acqua nera di petrolio, e hanno piazzato un primo ordinativo per l’acquisto di 32 “centrifughe del mare”.

Si chiamano Ocean Therapy Solutions (OTS), e l’attore ha impiegato circa 15 anni e 20 milioni di dollari per farle mettere a punto. Hanno la capacità di aspirare l’acqua, centrifugarla, e separare al 99% le sostanze inquinanti, senza produrre ulteriore inquinamento. Il protagonista di “Waterworld”, che ha un fratello scienziato specializzato appunto in questo genere di tecnologie, finanziò a suo tempo il progetto che, 15 anni fa, sembrava avveniristico, ma che oggi pare essere il sistema più all’avanguardia per affrontare la marea nera.

“Se i miei macchinari fossero stati impiegati per il disastro della Exxon Valdez - ha detto Kevin Costner, intervistato dalla tv ABC - il 90 per cento di quel petrolio sarebbe stato pulito in una settimana”. Le sue macchine, infatti, hanno la capacità di separare il petrolio dall’acqua e possono filtrare fino a 750 litri di acqua al minuto. Significa che possono estrarre dalla marea nera del Golfo del Messico fino a 2mila barili di petrolio al giorno. Dopo averle sottoposte all’attenzione della BP in un test a New Orleans, ora Costner ha ricevuto l’ordinativo più grande che mai sia stato commissionato alla sua Costner Industries, che produce appunto le OTS.
“Abbiamo verificato che questo tipo di tecnologia funziona - ha detto il capo dell’ufficio operativo della BP, Doug Suttles - e oggi abbiamo proceduto con il primo, significativo ordine di acquisto di 32 OTS”.



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Caccia alle balene in cambio di escort Scandalo a Tokyo

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Caccia alle balene
in cambio di escort
Scandalo a Tokyo

Il Times di Londra denuncia il tentativo di “comprare” a suon di prostitute i voti per consentire al Giappone di cacciare le balene


Mazzette e prostitute: sono gli strumenti che il Giappone avrebbe usato per ottenere il sostegno di sei piccoli Paesi e cancellare la moratoria alla caccia delle balene. A riportare la “trattativa”, che procura più di un imbarazzo a Tokyo, è stato il Times: a ricevere l’offerta sarebbero stati i governi di Guinea Conakry, Saint Kitts, Kiribati, Isole Marshall, Costa d’Avorio e Granada. La notizia è stata pubblicata alla vigilia della riunione della Commissione Baleniera Internazionale, in Marocco, per decidere se togliere la moratoria (che dura da 24 anni) sulla caccia a fini commerciali delle balene.

“Dovete offrirci di meglio”
Il Giappone ha negato la veridicità del rapporto, ma il Times ha specificato che due dei suoi giornalisti hanno filmato membri dei governi dei sei Paesi coinvolti nella trattativa mentre ammettevano di aver ricevuto offerte - in denaro cash (1000 dollari al giorno), biglietti aerei, posti in albergo ed escort - per votare a favore dello stop alla moratoria. I giornalisti del Times hanno finto di offrire prostitute e denaro: ma i rappresentanti governativi hanno replicato che avrebbero dovuto offrire loro un affare migliore di quanto già offerto dal Giappone.

La mattanza
Da quando la moratoria alla caccia commerciale è stata introdotta, Norvegia, Giappone e Islanda hanno ucciso circa 35mila balene per “fini scientifici”. Se la moratoria venisse tolta, ogni nazione potrebbe uccidere 1.800 balene l’anno: una vera mattanza, secondo gli animalisti. Al Giappone servono almeno 66 voti epr cancellare il bando alla caccia alle balene: e attualmente si pensa che ne abbia 38 all’interno della Commissione Baleniera Internazionale.




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mercoledì 9 giugno 2010

Rifiuti? Una risorsa ...

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- di Luigi de Magistris -

Come si fa a risolvere il problema dei rifiuti? Semplice, trasformandoli in una risorsa preziosa!
Non è un paradosso, né una provocazione, ma la pura e semplice realtà, già testata e collaudata in molte città nel mondo. È il caso di Berlino, o meglio ancora di San Francisco, dove un’accurata raccolta differenziata porta a porta (75 per cento del totale) rende possibile il riciclaggio ed il compostaggio dei rifiuti urbani. Eppure in Italia, anche se circa un migliaio di Comuni ha raggiunto il 50 per cento della raccolta porta a porta, si parla ancora di inceneritori e discariche, nonostante i danni alla salute accertati da importanti studi internazionali.
L'idea di fondo sta nel considerare il rifiuto NON nell'accezione negativa del termine, ma in quella "positiva" ovvero come "risorsa", dal momento che non solo si può evitare l'emissione nell'ambiente di pericolose sostanze inquinanti ed evitare scempi come quelli che hanno - e stanno tuttora - colpendo la Campania, ma addirittura ricavarne un ritorno economico.
Come? Mediante una gestione dei rifiuti che miri ad una loro riduzione a monte, al riciclo, riuso e raccolta differenziata. In altre parti del mondo, dove il Medioevo è finito da un po', si parla di "Rifiuti zero 2020", la strategia che si propone entro questa
data di risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti smettendo di produrre materiali che originano scarti. E poi ancora di "trattamento meccanico manuale a freddo", che, nei casi un cui non è possibile evitare lo scarto, mira alla divisione manuale dei materiali cosiddetti "secco".
Nonostante la cecità o l'affaristica presunzione della nostra classe politica, anche in Italia esistono delle realtà all'avanguardia nella gestione dei rifiuti, realtà come quella del centro Riciclo di Vedelago (Treviso) che nella trattazione dei rifiuti sta facendo scuola in tutta la penisola. Ma la nostra classe dirigente queste cose non le conosce o le ignora. Preferisce parlare di "emergenza rifiuti" e mandare l'esercito dove invece servirebbe uno squadrone di tecnici esperti. Preferisce mandare il Bertolaso SpA a gestire una situazione che meriterebbe ben altre compagini. Ecco, allora, che in Campania i rifiuti sono ancora gettati nelle discariche o bruciati negli inceneritori, che, per essere resi meno indigesti, vengono chiamati "termovalorizzatori". Sta di fatto che questi "termovalorizzatori" liberano nell'atmosfera nano particelle in grado di viaggiare parecchi chilometri e rimanere nell'aria per molto tempo. Sostanze causa di malattie allergiche, asma bronchiale, bronchiti acute e croniche, enfisemi polmonari, tumori, ictus ed attacchi cardiaci. Per questo, secondo Paul Connet, professore emerito di chimica alla St Lawrence University di Canton (New York), «negli Stati Uniti, dal 1985 al 1995, è stata bloccata la costruzione di circa 300 inceneritori.
Noi cittadini italiani vogliamo dire NO alle discariche e agli inceneritori, e contribuire a far si che anche le nostre Regioni, si possano dotare finalmente di un piano alternativo basato sul circolo virtuoso dei rifiuti urbani.



http://www.luigidemagistris.it/index.php?t=P1014

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martedì 8 giugno 2010

Chi c'è dietro il nucleare?

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Roma, Italia — Oltre la metà di tutti i finanziamenti all'energia nucleare in Europa arriva da un gruppo di soli dieci istituti finanziari. Per l'Italia, in testa BNL seguita da UniCredit e Intesa Sanpaolo. È questo il risultato della ricerca pubblicata oggi su www.nuclearbanks.org, commissionata dalla coalizione Banktrack di cui facciamo parte.
Secondo la ricerca - realizzata dall'istituto indipendente Profundo - al primo posto della classifica delle banche nucleari c'è BNP Paribas, banca francese presente in Italia attraverso BNL (Banca Nazionale del Lavoro).
A seguire, nei primi dieci posti, Barclays (UK), Citi (US), Société Générale (Francia), Crédit Agricole/Calyon (Francia), Royal Bank of Scotland (Regno Unito), Deutsche Bank (Germania), HSBC (UK / Hong Kong), JP Morgan (Stati Uniti) e Bank of China.
Su un totale di 175 miliardi di euro in finanziamenti a progetti nucleari tra il 2000 e il 2009, queste dieci banche hanno finanziato con ben 92 miliardi di euro l'industria nucleare.
Le banche che finanziano progetti nucleari rischiano di rimetterci soldi e reputazione. Per questo chiediamo alle banche di spostare i loro investimenti da una fonte sporca e pericolosa come il nucleare verso progetti di efficienza e fonti rinnovabili.
Oltre BNL, tra le banche italiane, Unicredit e Intesa Sanpaolo occupano rispettivamente la 23ma e la 28ma posizione nella classifica ma non sono ancora disponibili informazioni ufficiali su quali banche finanzierebbero il ritorno del nucleare in Italia voluto dal governo Berlusconi.
Siamo pronti a rendere pubbliche le future decisioni di investimento delle banche nel nucleare in Italia. È bene che ne siano consapevoli quegli istituti che stanno pensando di investire in questa fonte di energia dannosa per l'ambiente, per l'Italia e per i suoi cittadini.
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