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martedì 30 ottobre 2018

Allarme Invasione delle cimici cinesi

Ricordano la biblica invasione delle cavallette, ma gli sciami di cimici asiatiche che stanno invadendo il Nord Italia, costringendo le persone in città a barricarsi in casa.


Ricordano la biblica invasione delle cavallette, gli sciami di cimici asiatiche che stanno invadendo il Nord Italia, costringendo le persone in città a barricarsi in casa. E non va meglio nelle campagne, dove si vanno facendo sempre più pesanti i danni provocati da questi insetti polifagi che si nutrono di un’ampia varietà di specie vegetali, coltivate e spontanee. Le cimici distruggono sul nascere pere, mele, pesche, kiwi, uva ma anche coltivazioni di soia e mais. L’invasione nel nostro Paese è iniziata quattro anni fa, ma ora si sono superati i livelli di guardia e Coldiretti ha lanciato un vero e proprio allarme, anche perchè la “cimice marmorata asiatica” è molto prolifica e deposita le uova almeno due volte all’anno con 300-400 esemplari alla volta. La situazione - sottolinea la Coldiretti - è drammatica in Emilia Romagna, Lombardia, Friuli, Veneto e Piemonte.

Favorita dal clima mite

A favorirne la diffusione è stato un autunno particolarmente caldo, con la moltiplicazione degli esemplari che non hanno in Italia antagonisti naturali. Un problema che rende molto difficile la lotta all’insetto che da adulto è in grado di volare per lunghe distanze e sverna in edifici o in cassette e anfratti riparati per poi raggiungere in primavera le piante per alimentarsi, accoppiarsi e deporre le uova. La lotta per ora può dunque avvenire solo attraverso protezioni fisiche, 
come le reti anti insetti a protezione delle colture.



Una lunga scia

La cimice asiatica è solo l’ultimo degli insetti infestanti giunti in Italia. Coldiretti ricorda la lunga lista di precedenti: dalla Popillia Japonica alla Drosophila suzukii (moscerino killer), dal Dryocosmus kuriphilus alla Xylella, con un conto dei danni all’agricoltura stimato oltre il miliardo. Se la Xylella ha preso di mira gli ulivi, le castagne rischiano per il cinipide galligeno, il Dryocosmus kuriphilus. E se gli agrumi sono stati attaccati dal Citrus Tristeza Virus, i kiwi sono stati sterminati dalla batteriosi. Per non parlare del punteruolo rosso.

L’entomologo: “Sono quasi inarrestabili”

«Ormai la cimice asiatica non ce la togliamo più di torno, possiamo provare a limitarne la diffusione ma dobbiamo conviverci. Del resto il problema l’abbiamo creato noi: gli insetti infestanti sono frutto della globalizzazione. In genere arrivano dalle basi americane in Friuli». Così Gianumberto Accinelli, entomologo fondatore di Eugea.

Perchè siamo di fronte a questa abnorme diffusione delle cimici?
Per tre motivi: sono insetti che mangiano una grande varietà di vegetali, quindi trovano sempre cibo; poi non hanno antagonisti naturali, grazie anche alla difesa del loro cattivo odore; infine gli adulti svernanti resistono ad inverni sempre più miti.

L’autunno è la stagione peggiore per questa invasione?
Dal nostro punto di vista sì, perchè con il freddo “cercano casa”. Ma nei nostri appartamenti non è che gli vada poi tanto bene: il loro organismo non va in pausa e non trovano cibo. Sono sgradevoli, fastidiose e puzzolenti ma non sono un problema sanitario: non pungono e non vanno in luoghi sporchi carichi di batteri.

Va molto peggio per l’agricoltura?
Esatto, nei campi attaccano tantissime piante tra cui molte fruttifere. In particolare prediligono pere e pesche. Negli Usa ora sono al primo posto nella “lista nera” degli insetti. Da noi ci metteranno poco a superare gli Appennini per sbarcare anche nel Centro e nel Sud.

Come si possono affrontare?
In casa c’è poco da fare, se non raccoglierle e buttarle fuori. Le uccide solo un bagno nell’acqua saponata. Per l’agricoltura, invece, con l’università di Bologna stiamo avendo dei primi promettenti risultati nella lotta biologica che impiega le mosche tacchinidi, dei parassitoidi generalisti con larve che mangiano gli adulti delle cimici. Il problema è che ci vorrà del tempo, mentre gli agricoltori hanno fretta. Quindi alcune Regioni hanno già autorizzato delle deroghe per l’utilizzo dei pesticidi.



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martedì 23 ottobre 2018

Lo smog vola, da oggi stop ai diesel Euro 4

Lo smog vola, da oggi stop ai diesel Euro 4

Prima emergenza smog dell'autunno, che costringe al blocco, da oggi, dei diesel Euro 4. Provvedimento che fa scoppiare la polemica fra Regione e Comune, 
visto che il Pirellone invita «ad essere meno rigidi» 
e a guardare le previsioni meteo.

Dopo quattro giorni consecutivi di pm10 fuorilegge, sopra la soglia di guardia per la salute dei 50 
microgrammi per metro cubo - con picchi sabato e domenica rispettivamente di 62,1 e 60 - sono 
confermati automaticamente i divieti della fase uno del protocollo regionale anti-inquinamento: stop, 
pena la multa da 110 euro, alle macchine alimentate a gasolio fino alla classe 4 inclusa (circa 60mila in città) dalle 9 alle 18,30 e ai veicoli commerciali a gasolio fino alla classe 3 dalle 8,30 alle 12,30. Infine, è obbligatorio abbassare la temperatura nelle case e nei negozi a 19 gradi. «Ma - precisa l'assessore comunale all'Ambiente Marco Granelli - le temperature sono ancora miti, sopra le medie stagionali, quindi, invitiamo i cittadini a tenere spento oppure molto basso il riscaldamento».

I provvedimenti restano attivi ad oltranza e saranno sospesi dopo due giorni consecutivi di polveri sottili nei limiti. Il che potrebbe accadere già giovedì, perché il forte vento di domenica ha probabilmente spazzato via le polveri velenose. Per il blocco di oggi scoccano scintille fra l'assessore regionale all'Ambiente Raffaele Cattaneo e il collega in Comune, Granelli. Il primo infatti, visto il meteo favorevole alla dispersione del pm10, afferma che
 «ci vuole meno rigidità e automatismi». A ribattere è Granelli: 

«Le regole le ha scritte la Regione, se vuole cambiarle, facciamolo. E pensi a misure strutturali, perché quelle emergenziali sono per loro natura poco efficaci e fastidiose».
Lo stop agli Euro 4 va ad aggiungersi ai divieti regionali scattati dal 1° ottobre che lascia in garage i 
diesel fino agli Euro 3, se sprovvisti del filtro antiparticolato (in tutto 153mila veicoli).

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Vietato fumare alla fermata del bus

Il nuovo regolamento, impedisce infatti ai passeggeri  di fumare nei pressi delle fermate dell'autobus

La nuova ordinanza che fa discutere

Se siete fumatori accaniti, alle prese con lunghi tempi d'attesa alla fermata del bus, concedersi una 

sigaretta potrebbe essere un diversivo piacevole. Da oggi, però, non sarà più possibile a causa di un 

nuovo regolamento varato dall'azienda di trasporto pubblico e in fase di approvazione da parte 

dell'amministrazione comunale di Valencia, in Spagna.

Il nuovo regolamento, ancora più stringente rispetto alle norme generali stabilite dalla legge anti-

tabacco nazionale del 2011, impedisce infatti ai passeggeri di fumare nei pressi delle fermate 

dell'autobus, anche se queste si trovano all'aperto. Tutto è nato a partire da diversi reclami presentati 

da alcuni passeggeri non fumatori. Già, perché quello che per qualcuno può essere un piacevole 

passatempo, per altri è un gesto decisamente fastidioso a causa del fumo sprigionato dalle sigarette.

Le altre norme stabilite dal nuovo regolamento di EMT,

 l'azienda di trasporto pubblico valenciana, riguardano l'accesso ai mezzi, 

il trasporto di animali e la pubblicità, da cui sono 

stati esclusi circhi e animali. Ad ogni modo, 

se avete in programma di visitare la ridente città spagnola 

sul mare, sappiate che non potrete fumare mentre aspettate l'autobus.


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venerdì 19 ottobre 2018

Salvi il Clima e Crei Posti di Lavoro

Secondo uno studio della Global Commission on the Economy and Climate, la transizione ecologica sarà benefica anche per l'economia e il lavoro


Secondo uno studio della Global Commission on the Economy and Climate,
 la transizione ecologica sarà benefica anche per l'economia e il lavoro.

 Basterebbe salvare il clima


Di Andrea Barolini

Che la transizione ecologica rappresenti un’opportunità di cambiamento e di crescita alternativa rispetto a quella dettata dal modello attuale è stato ribadito da università, istituti di ricerca, conferenze internazionali. Eppure in molti non sembrano ancora convinti dell’interesse non solo ambientale e climatico, ma anche economico del cambiamento.

Non lo sono i dirigenti delle major del petrolio o del carbone
 (il che non sorprende). Ma non lo sono neppure numerosi governi 
(probabilmente anche per via delle pressioni delle stesse lobby poco inclini a spendersi per il clima).

La lotta ai cambiamenti climatici più redditizia del business as usual
Un nuovo rapporto, pubblicato il 5 settembre, mostra – cifre alla mano – le enormi possibilità che la transizione apre al mondo intero. A redigerlo è stata la Global Commission on the Economy and Climate, organismo indipendente voluto da Regno Unito, Svezia, Indonesia, Norvegia, Corea del Sud, Colombia ed Etiopia. Il suo obiettivo è proprio di aiutare i governi a comprendere perché dovrebbero guardare al cambiamento eco-sostenibile come ad un volàno di crescita. Secondo i ricercatori della Commissione, la transizione potrebbe essere perfino
 più vantaggiosa del “business as usual”. 

Lo studio descrive sottolinea dapprima come il contesto sia ormai «in evoluzione». Gli esperti indicano che il picco nella domanda di carbone, petrolio e gas entro i prossimi 20 anni è «probabile». Nel primo caso, la richiesta potrebbe cominciare a scendere nel mondo già nei prossimi 5-10 anni. Ciò ha già portato ad un importante cambiamento nell’allocazione dei capitali nel settore dell’energia. Basti pensare all’alleanza firmata alla Cop 23 di Bonn 
da oltre 60 tra governi, imprese e altre organizzazioni.

«Evitabili 700mila morti premature dovute allo smog»
Di fronte a tele scenario, una “nuova” economia garantirebbe un “guadagno” cumulato di 26mila miliardi di dollari, rispetto al risultato atteso con il vecchio modello. Stima che è stata giudicata «prudente» dagli stessi autori. Inoltre, si potrebbero creare, entro il 2030, 65 milioni di posti di lavoro verdi. E si potrebbero evitare 700mila morti premature dovute all’inquinamento dell’aria entro i prossimi dodici anni.

Tutto ciò sarebbe raggiungibile su cinque settori: energia, città, trattamento delle acque, settori industriali, agricoltura e utilizzo del suolo. Il rapporto spiega infatti che la bonifica di 160 milioni di ettari di terre degradate potrebbe far guadagnare 84 miliardi di dollari all’anno. Solo per i popoli autoctoni della foresta amazzonica, si potrebbero generare «fino a 10mila dollari per ettaro in termini di vantaggi per il sistema». Inoltre, una riforma delle sovvenzioni e del prezzo del carbone assicurerebbe un aumento delle entrate pubbliche pari a 2.800 miliardi di dollari all’anno nel 2030. L’equivalente del Pil di un Paese come l’India.

Servono investimenti verdi e uno stop ai finanziamenti alle fossili
Ciò a condizione, però, che si operino delle scelte precise. La Commissione spiega che un prezzo delle emissioni di CO2 compreso tra 40 e 80 dollari dovrebbe essere fissato da tutte le grandi potenze economiche. E che ciò dovrebbe essere fatto entro il 2020. I finanziamenti pubblici alle energie fossili e alle agroindustrie inquinanti dovrebbero essere cancellati. Si dovrebbe inoltre obbligare imprese e investitori a comunicare gli impatti dei loro business sul clima.

Occorre inoltre lanciare un grande programma di sostegno alle infrastrutture sostenibili. Le banche per lo sviluppo, poi, dovrebbero raddoppiare gli investimenti verdi. E, entro il 2020, tutte le imprese dell’indice Fortune 500 dovrebbero presentare obiettivi aziendali in linea con l’Accordo di Parigi.

In materia idrica, «delle buone politiche potrebbero far aumentare il Pil del 6% in alcune regioni, di qui al 2050». E ciò «malgrado i cambiamenti climatici e la crescita demografica». Ma occorrono circa 114 miliardi di dollari all’anno, soprattutto nelle economie emergenti, per garantire l’accesso universale all’acqua potabile. Mentre nei settori dell’industria pesante e dei trasporti, l’introduzione di tecnologie migliori potrebbe ridurre i consumi di energia del 26% nei prossimi 25 anni. Il che garantirebbe un calo delle emissioni di CO2 del 32% nello stesso periodo.

Il messaggio, dunque, è che è tutto fattibile. E che ne vale anche la pena: dal punto di vista del clima, della salute, del benessere e dello sviluppo. A mancare è soltanto la volontà politica di avviare seriamente il cambiamento. Basti pensare che è dal 2009 che il mondo ha promesso di stanziare 100 miliardi di dollari all’anno per opere di difesa del clima. Cifra che è stata ribadita nell’Accordo di Parigi del 2015. Ma che, ad oggi, non è ancora mai stata stanziata.


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martedì 9 ottobre 2018

L’Italia che potrebbe finire sott’acqua

L'Enea aggiorna la mappa delle aree costiere a rischio inondazioni.   37 comuni potrebbero finire sott’acqua entro la fine del secolo


Nuova mappa Enea
L'Enea aggiorna la mappa delle aree costiere a rischio inondazioni. 
37 comuni potrebbero finire sott’acqua entro la fine del secolo

Sette nuove aree costiere italiane potrebbero finire sott’acqua entro la fine del secolo. L’allarme arriva dall’Enea, che ha aggiornato la mappa delle zone a rischio inondazione. Sono così 37 i comuni sparsi in tutta la penisola, dalla Toscana alla Sardegna, fino al Veneto, che potrebbero essere allagati per l’innalzamento del Mar Mediterraneo, sia a causa dei cambiamenti climatici che delle caratteristiche geologiche della nostra penisola.

I ricercatori, grazie a un nuovo modello di previsione unico al mondo, hanno stimato che entro il 2100 a causa dell’innalzamento del livello del mare l’Italia potrebbe perdere 5.500 km quadrati di pianura costiera. Un problema di grande rilievo se si considera che nelle aree più vicine al mare oggi vive la metà della popolazione italiana.

Le nuove località a rischio
In Italia continentale sono state individuate quattro località a rischio, tutte sul versante adriatico: tre in Abruzzo, Pescara, Martinsicuro (Teramo) e Fossacesia (Chieti), e una in Puglia, Lesina (Foggia). In queste aree arretreranno le spiagge e le aree agricole. Le altre tre zone individuate sono tutte sulle isole con differenti estensioni a rischio, dai 6 km2 di perdita di territorio a Granelli (Siracusa), ai circa 2 km2 di Valledoria (Sassari), fino a qualche centinaio di m2 a Marina di Campo sull’Isola d’Elba (Livorno).

La mappa completa
Le sette nuove aree costiere a rischio inondazione si aggiungono  a quelle già individuate dall’ENEA nell’area costiera dell’alto Adriatico compresa tra Trieste, Venezia e Ravenna, nel golfo di Taranto e nelle piane di Oristano e Cagliari. Altri tratti di costa a rischio sono stati rilevati in Toscana (Versilia), nel Lazio (Fiumicino, Fondi e altre zone dell’Agro pontino), in Campania (piane del Sele e del Volturno) e in Sicilia (aree costiere di Catania e delle isole Eolie).

“Negli ultimi 200 anni il livello medio degli oceani è aumentato a ritmi più rapidi rispetto agli ultimi 3mila anni, con un’accelerazione allarmante pari a 3,4 mm l’anno anno solo negli ultimi due decenni. Senza un drastico cambio di rotta nelle emissioni dei gas a effetto serra, l’aumento atteso del livello del mare entro il 2100 modificherà irreversibilmente la morfologia attuale del territorio italiano, con una previsione di allagamento fino a 5.500 km2 di pianura costiera, dove si concentra oltre la metà della popolazione italiana”, sottolinea il geomorfologo Fabrizio Antonioli dell’ENEA.

Colpa dell’inquinamento
All’origine di tutto quindi c’è l’enorme aumento di CO2 nell’atmosfera, causa dell’effetto serra, a sua volta motivo del riscaldamento globale. “Nel 2017, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto la soglia altissima di 412 parti per milione. Negli 800mila anni precedenti, il valore era oscillato tra 180 e 280. Aumenti e diminuzioni avvenivano molto lentamente, mentre in soli 130 anni si è arrivati a un livello altissimo e a ritmi molto veloci”, spiega il climatologo  Gianmaria Sannino, responsabile del laboratorio di “Modellistica climatica e impatti” dell’ENEA. Alle temperature in aumento ha corrisposto un crescente scioglimento dei ghiacci: volumi di acqua in più che stanno facendo innalzare i mari.

Un nuovo modello climatico
Per aggiornare la mappa del rischio inondazioni l’ente pubblico di ricerca italiano ha utilizzato un nuovo modello climatico, realizzato grazie alla collaborazione tra il MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston e la comunità scientifica italiana, con il supporto del supercalcolatore CRESCO6 dell’ENEA, che integra dati oceanografici, geologici e geofisici per previsioni di innalzamento del livello del Mediterraneo molto dettagliate e a breve termine

“Finora le nostre proiezioni di aumento del livello del mare si sono basate su dati dell’IPCC, la maggiore istituzione mondiale per il clima, che stimano l’innalzamento globale delle acque marine fino a quasi 1 metro al 2100 – spiega ancora il climatologo Gianmaria Sannino – ma questi dati difettano di dettagli regionali e, per colmare questa lacuna, stiamo realizzando un modello unico al mondo che combina diversi fattori, come la fusione dei ghiacci terrestri, principalmente da Groenlandia e Antartide,  l’espansione termica  dei mari e degli oceani per l’innalzamento della temperatura del Pianeta, l’intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi e dalle maree, ma anche l’isostasia e i movimenti tettonici verticali che caratterizzano l’Italia, un paese geologicamente attivo dove si manifestano con grande frequenza bradisismi e terremoti anche nelle aree costiere”.

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Alla Conferenza di Parigi del 2015, la comunità internazionale chiese all’IPPC, Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2007, un’analisi sulle reali possibilità di contenere l’innalzamento della temperatura globale
entro 1.5 gradi centigradi...
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Il Nostro Pianeta è Troppo Caldo

Alla Conferenza di Parigi del 2015, la comunità internazionale chiese all’IPPC, Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2007, un’analisi sulle reali possibilità di contenere l’innalzamento della temperatura globale   entro 1.5 gradi centigradi.


La febbre del pianeta? Già troppo alta. Ecco il rapporto IPCC
Pubblicato il rapporto speciale degli scienziati sul clima: temperatura terrestre già cresciuta di un grado. I mari destinati a salire di un metro

Siamo già vicinissimi a un grado centigrado netto di incremento della temperatura del Pianeta. E anche con interventi radicali si arriverà con alta probabilità a +1,5° tra il 2030 e il 2052. Il rapporto speciale dell’IPCC, commissionato nell’aprile del 2016 dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (Unfccc), traccia un quadro estremamente allarmante.

L’obiettivo era quello di aggiornare l’analisi scientifica relativa all’impatto di un incremento della temperatura di 1,5° rispetto al livello precedente allo sviluppo industriale (1850-1900).

Alla Conferenza di Parigi del 2015, la comunità internazionale chiese all’IPPC, Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2007, un’analisi sulle reali possibilità di contenere l’innalzamento della temperatura globale   entro 1.5 gradi centigradi.

I nodi del rapporto
Alla Conferenza di Parigi del 2015, la comunità internazionale chiese all’IPPC, Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2007, un’analisi sulle reali possibilità di contenere l’innalzamento della temperatura globale
 entro 1.5 gradi centigradi.

Le soluzioni possibili, i benefici potenziali per società, economie ed ambiente, le misure necessarie per ridurre e cambiare i consumi di energia, le risorse economiche, le prospettive per lo sviluppo sostenibile e i rischi che si nascondono dietro alcune scelte. Questi i nodi centrali del rapporto, sintetizzato nel Summary for Policymakers.

Le conclusioni del rapporto IPCC
Gli scienziati dell’IPCC sono giunti alla conclusione che:

la temperatura media del decennio 2006-2015 è cresciuta di 0,87° (con un intervallo tra 0,77 e 0,97) rispetto al decennio pre-industriale (1850-1900).
le emissioni antropogeniche (gas ad effetto serra, aerosol e annessi) hanno un incidenza pari a +0,2° per ogni decade
l’incremento di 1,5° della temperatura terrestre dovrebbe manifestarsi a partire dal 2030

l’evoluzione dei cambiamenti climatici non è ovviamente uniforme e quindi l’incremento medio di 1,5° determinerà effetti molto più consistenti ai poli terrestri per effetto dello scioglimento dei ghiacci perenni e l’innalzamento del livello del mare. La previsione è sostanzialmente doppia ai poli: +3° di aumento se l’incremento medio sulla terra si fermerà ad un +1,5. E +4° 
se si dovesse raggiungere un +2° globale.
altri fenomeni altamente o mediamente prevedibili sono piogge alternate a siccità molto violente
il livello dei mari è destinato a crescere tra 20 e 77 cm entro il 2100 se la crescita delle temperature si fermerà a 1,5° Altrimenti potrebbe raggiungere il metro colpendo altre 10 milioni di persone che abitano nelle isole minori
l’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità è destinato a colpire il 6% degli insetti, l’8% delle piante e il 4% degli invertebrati (106mila specie esaminate).

Gli interventi: decarbonizzazione o morte
Se si vuole effettivamente limitare la crescita ad un 1,5° (scenario inevitabile secondo gli scienziati) è comunque necessario prevedere, soprattutto nel campo della produzione di energia, che tra il 70 e l’80% del fabbisogno del pianeta venga assicurato dalle rinnovabili, il carbone (e la lignite) scendano verso lo 0 e cresca l’impiego di sistemi di cattura e stoccaggio della Co2 nella restante parte di produzione di energia da gas e nucleare.

Le emissioni del sistema industriale devono essere tra il 70 e il 95% inferiori a quelle del 2000 mentre nelle metropoli l’accelerazione dei sistemi di efficienza energetica e di mobilità a basso impatto devono essere accelerati rispetto alle previsioni contenute nei precedenti rapporti: il consumo di energia nelle abitazioni deve essere ridotto del 55-75% entro il 2050 e la mobilità a basse emissioni deve crescere da un preventivato 5% entro il 2050 ad un range tra il 35 e il 65%.

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lunedì 8 ottobre 2018

Scontro tra navi tra Genova e Bastia


Due navi, una portacontainer cipriota e un traghetto tunisino si sono scontrate in mare, tra Genova e la Corsica. Da una delle due sta fuoriuscendo dell'olio combustibile, in quantità ingente.


 "ingente sversamento di olio combustibile in mare"
Partite dall'Italia tre navi per aiutare a contenere l'inquinamento, 
chiazza di dieci chilometri quadrati

Due navi, una portacontainer cipriota e un traghetto tunisino si sono scontrate in mare, tra Genova e la Corsica. Da una delle due sta fuoriuscendo dell'olio combustibile, in quantità ingente. L'Italia, su indicazione del ministero dell'Ambiente, ha inviato tre navi per contribuire alle attività di contenimento dello sversamento di carburante. Si tratta di unità navali d'altura, mezzi Castalia: Nos Taurus di Livorno, Bonassola di Genova e Koral da Olbia. Sul posto è stato inviato anche un aereo Atr42 della Guardia costiera per attività di monitoraggio.Al momento le autorità francesi coordinano le operazioni di contenimento dell'inquinamento, in ottemperanza al piano d'intervento Ramogepol,  istituito tra Francia (che ne ha chiesto l'attivazione), Italia e Principato di Monaco per la lotta contro gli inquinamenti marini accidentali nel Mediterraneo.

Dalle informazioni diramate dagli equipaggi delle due navi non risultano feriti, ma l'incidente ha provocato la fuoriuscita di carburante da una delle due unità e ha spinto le autorità francesi a lanciare l'allarme, che ha coinvolto anche l'Italia. Nello specchio di mare si sono recate diverse unità dei due Paesi, tra cui mezzi specializzati nelle operazioni di contenimento delle sostanze inquinanti e nella bonifica delle acque.

La collisione, secondo quanto riferito dalla capitaneria di Genova, è avvenuta tra la motonave tunisina Ulisse, che trasporta camion e auto e la motonave portacontainer Cls Virginia, battente bandiera cipriota. Dai primi accertamenti sembra che la seconda unità fosse ferma all'ancora al momento della collisione. La Ulisse, per motivi che devono essere chiariti, non ha visto il cargo è lo ha colpito su una fiancata.

La capitaneria di porto di Livorno ha confermato che l' intervento riguarda lo sversamento di carburante e ha annunciato che nella zona della collisione si sono dirette anche tre motovedette d'altura della guardia costiera, di cui una da Livorno, Nave Ingianni CP 409, che fa base nel porto toscano. Le operazioni, da quanto si apprende, riguardano la posa di panne di contenimento per limitare lo spostamento degli idrocarburi e la bonifica delle acque.

Stando a quanto si è riusciti a ricostruire della dinamica, le navi coinvolte nell'incidente sono la Ulisse (un traghetto di 94 metri della categoria ro-ro per trasporto merci e passeggeri) e la Virginia (una portacontainer). Quest'ultima era ferma in mare, forse in avaria, ed è stata centrata in pieno dal traghetto che molto probabilmente stava navigando col pilota automatico. Finora non sono stati segnalati feriti, ma l'incidente ha provocato la fuoriuscita di circa 600 metri cubi di 'fuel oil' (olio carburante) che hanno prodotto una chiazza che si è estesa in mare per circa dieci chilometri quadrati.

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domenica 7 ottobre 2018

Decreto rinnovabili, si cambia poco

Sarà senz’altro integrato l’articolo 3 nei commi 10 e 11 che permetterà la partecipazione alle procedure dei registri ai piccoli impianti in forma aggregata. È importante perché noi vogliamo dare spazio ai piccoli impianti. Ma se fai un solo impianto da 20 KW hai un costo. Permettendo l’aggregazione di dieci o più, fino a raggiungere il MW, consentiamo ai concorrenti di offrire sconti più alti. E questo è un beneficio per tutti.

Decreto rinnovabili, si cambia poco
 «Certe 6 novità. C’è obbligo bonifica»
Sul DM Di Maio un mezzo dietrofront. Il presidente della Commissione Industria del Senato, Girotto (M5S) rivela gli aggiornamenti che verranno inseriti.

Confermiamo quanto scritto da Calenda. Anzi no. Anzi, confermiamo ma integriamo. La telenovela del decreto ministeriale che deve normare il comparto delle energie rinnovabili – aste e incentivi compresi – si arricchisce di un nuovo capitolo. Non è una vera e propria inversione a U rispetto al clamoroso “copia&incolla” che il ministro Di Maio si accingeva a fare, apponendo la sua firma su un testo sostanzialmente identico rispetto a quello del suo acerrimo avversario (e predecessore alla guida del Ministero dello Sviluppo economico). Ma è palese il segnale che la gaffe sulle rinnovabili era stata difficile da digerire.

Una scelta per placare le polemiche
Domani, nella Sala degli Arazzi del Mise di Via Veneto si terrà una riunione con una ventina di associazioni di settore. Molte andranno all’incontro con il dente avvelenato, dopo aver visto che nelle settimane scorse la bozza di decreto che era stata portata sul tavolo del ministro per la firma conteneva le stesse criticità di quella del governo Gentiloni. Da quella riunione potrebbero arrivare stimoli per modificare il decreto. Ma intanto, riunione o non riunione,
 «almeno sei modifiche» ci saranno.

Era rimasto stupito di vedere un testo che copiava Calenda?

C’era in quella scelta un’esigenza tecnica. Quella bozza era già stata inviata al ministero dell’Ambiente che doveva fare le sue valutazioni. Modificandola
 l’iter sarebbe dovuto ricominciare daccapo.

L’iter  dovrà comunque ricominciare da capo visto che ora annunciate modifiche. Ad ogni modo, iniziamo: l’aspetto che ha suscitato più critiche era la possibilità di installare parchi fotovoltaici in terreni industriali senza obbligo di bonifiche. Cosa cambierà?

Abbiamo avuto ampie assicurazioni dal sottosegretario Davide Crippa 
(altro esponente grillino che ha le deleghe sulle rinnovabili al Mise, ndr) 
che l’obbligo di bonifica verrà introdotto.

Quali altre garanzie avete ricevuto?

Sarà senz’altro integrato l’articolo 3 nei commi 10 e 11 che permetterà la partecipazione alle procedure dei registri ai piccoli impianti in forma aggregata. È importante perché noi vogliamo dare spazio ai piccoli impianti. Ma se fai un solo impianto da 20 KW hai un costo. Permettendo l’aggregazione di dieci o più, fino a raggiungere il MW, consentiamo ai concorrenti di offrire sconti più alti. E questo è un beneficio per tutti.

Confermiamo quanto scritto da Calenda. Anzi no. Anzi, confermiamo ma integriamo. La telenovela del decreto ministeriale che deve normare il comparto delle energie rinnovabili – aste e incentivi compresi – si arricchisce di un nuovo capitolo. Non è una vera e propria inversione a U rispetto al clamoroso “copia&incolla” che il ministro Di Maio si accingeva a fare, apponendo la sua firma su un testo sostanzialmente identico rispetto a quello del suo acerrimo avversario (e predecessore alla guida del Ministero dello Sviluppo economico). Ma è palese il segnale che la gaffe sulle rinnovabili era stata difficile da digerire.

Una scelta per placare le polemiche
Domani, nella Sala degli Arazzi del Mise di Via Veneto si terrà una riunione con una ventina di associazioni di settore. Molte andranno all’incontro con il dente avvelenato, dopo aver visto che nelle settimane scorse la bozza di decreto che era stata portata sul tavolo del ministro per la firma conteneva le stesse criticità di quella del governo Gentiloni. Da quella riunione potrebbero arrivare stimoli per modificare il decreto. Ma intanto, riunione o non riunione,
 «almeno sei modifiche» ci saranno.

Girotto dixit
Gianni Girotto, presidente della Commissione Industria del Senato, ed esponente del M5S da sempre impegnato sul fronte delle energie verdi. Dai banchi dell’opposizione, nella scorsa legislatura, aveva tuonato contro la bozza Calenda: «solo un gran favore ad Eni ed Enel», «un decreto che deve essere assolutamente migliorato, modificato nel profondo».

Percepibile il suo imbarazzo nel vedere poi arrivare alla firma del ministro Di Maio un testo-fotocopia rispetto al passato. E infatti è palesemente soddisfatto nel rivelare che qualcosa cambierà. Prima di tutto sulle bonifiche, ma anche su gas da discariche, aggregazioni di impianti piccoli e incentivi per conversione dei tetti in amianto.

Senatore Girotto, quindi sul decreto Di Maio si cambia?

Abbiamo ricevuto dal governo garanzie che ci saranno almeno sei modifiche rispetto al passato.

Confermo inoltre che ci saranno gli incentivi per l’energia elettrica realizzata da fonti rinnovabili convogliata in infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici.

Lodevole iniziativa. Altre novità?

Verranno tolti gli incentivi alla produzione di energia elettrica da gas di discarica. Pensiamo che questo sia una scelta coerente con la volontà di aumentare i tassi di raccolta differenziata.

Poi nel testo ci sarà un rimando a un futuro decreto interministeriale – scritto di concerto tra i ministeri dello Sviluppo, dell’Economia e dell’Ambiente – per favorire contratti di approvvigionamento a lungo termine da parte della Pubblica amministrazione. Uno strumento utile a fissare i costi dell’energia e incentivare l’uso di quella prodotta tramite rinnovabili.

C’è poi la questione “sostituzione tetti in eternit”. Il ministero dell’Ambiente, recependo la richiesta fatta tramite una petizione online, ha inserito nel decreto questa possibilità, ma c’è il rischio che senza adeguati incentivi, la sostituzione rimanga antieconomica…

Sui tetti in eternit, stiamo tentando o di aumentando gli incentivi in senso stretto o estendendo l’incentivo anche alla percentuale di energia autoconsumata. Affinché i progetti di sostituzione siano economicamente sostenibili, l’incentivo deve permettere almeno di andare in pareggio.

Molte polemiche aveva suscitato la scelta, già fatta da Calenda, di procedere ad aste miste. In questo modo, secondo molti addetti ai lavori, si favorirà il fotovoltaico e si darà un colpo al comparto eolico.

Sulle aste miste, i nostri consulenti ci hanno dato proiezioni diverse. Man mano che cresce la potenza si determina una maggiore competizione tra le fonti. Con la riunione di domani al Mise avremo modo di approfondire con gli operatori anche questi aspetti.

Dopo l’incontro di domani, quali altri passaggi serviranno prima di vedere il decreto entrare finalmente in vigore?

Dopo la consultazione con le associazioni, decideremo eventuali ulteriori modifiche. Poi il testo tornerà al ministero dell’Ambiente e il testo congiunto andrà poi alla Conferenza Stato-Regioni che dovrà fornire un parere consultivo. Poi andrà alla Commissione europea che fornirà, entro 30 giorni, un parere vincolante e infine alla Corte dei Conti.

Tempi verosimili di conclusione?

Se tutto va come deve andare entro novembre dovrebbe essere concluso l’iter. In tempo per aprire la prima asta, come previsto dall’attuale bozza del decreto, al 31 gennaio 2019.


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