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giovedì 24 gennaio 2019

Se il livello dei mari s'innalza: i luoghi più a rischio

Erosione antartica


 Da Venezia alle Maldive, sono tante le aree del pianeta 
che potrebbero rimanere sommerse dalle acque.



L'innalzamento della temperatura e del livello dei mari deteriora le imponenti calotte glaciali dell'Antartide causandone l'erosione a partire dal fondo. Negli ultimi decenni una serie di spettacolari crolli della calotta glaciale ha aggravato l'aumento del livello dei mari. Dai bordi della calotta si sono staccati milioni di tonnellate di ghiaccio; ma quel che è peggio è che i ghiacciai, prima arginati, hanno cominciato a scivolare nell'oceano.

Allarme in California



Secondo una relazione del 2009, intitolata "California Climate Adaptation Strategy", a causa dell'aumento del livello dei mari entro il 2100 la celebre Sunset Beach e molte altre città della costa californiana saranno esposte a regolari inondazioni provocate da violenti temporali. Nella relazione si raccomanda quindi allo Stato di prendere provvedimenti per impedire lo sviluppo di nuove aree urbane su questi territori a rischio.

Famiglia Alluvionata


Nella foto una donna lotta con i suoi bambini contro le acque alluvionali in Bangladesh. I paesi densamente popolati che si trovano a livello del mare sono quelli che risentiranno di più delle conseguenze dell'innalzamento delle acque: secondo un comitato delle Nazioni Unite, un aumento di un metro basterà perché il Golfo del Bengala sommerga il 20 per cento del Bangladesh.

Diga salva-isola


L'isola di Malé, capitale delle Maldive, l'arcipelago dell'Oceano Indiano, è al centro del problema globale dell'innalzamento del livello dei mari. La maggior parte del suo territorio, infatti - dove le altitudini massime sono di 2,4 metri - verrà sommersa anche se il livello aumenterà di poco. Per premunirsi contro questa minaccia, il governo ha già eretto una diga intorno all'intero perimetro dell'isola.

Venezia e il MOSE


I veneziani - come i lavoratori nella foto, intenti a ripulire il pavimento di un portico di Piazza San Marco - sono avvezzi all'acqua alta. Tuttavia l'aumento del livello dei mari ha reso l'allagamento naturale della città, regolato dalla marea, sempre più frequente e preoccupante. Nel disperato tentativo di arginare l'Adriatico, il governo italiano ha intrapreso un progetto miliardario: la costruzione di una diga monumentale, il tanto discusso Mose 
(MOdulo Sperimentale Elettromeccanico).

Casa divelta


Con l'aumento del livello dei mari, le onde oceaniche riescono a spingersi sempre più all'interno, mettendo a rischio aree un tempo considerate sicure. Lo dimostra questa casa divelta dall'erosione a Shishmaref, in Alaska, dove il problema si può riassumere in due punti: scomparsa del ghiaccio marino e scioglimento del permafrost costiero.

L'isola più a rischio


L'Isola di Smith - l'unica isola abitata nella baia di Chesapeake, nel Maryland, non collegata tramite un ponte alla terraferma - ha i giorni contati. Questo piccolo villaggio di pescatori di granchi, che conta solo 350 abitanti, si trova a poco più di mezzo metro sul livello del mare e sta affondando giorno dopo giorno. Probabilmente sarà tra le prime isole abitate al mondo a essere sommersa, se le previsioni sull'aumento del livello dei mari - anche le più caute - dovessero rivelarsi esatte.

58 centimetri


Un innalzamento, anche lieve, del livello dei mari rischia di far scomparire le isole Maldive: l'80 per cento di questo arcipelago dell'Oceano Indiano si trova infatti a meno di un metro sul livello del mare. Secondo un comitato delle Nazioni Unite, entro la fine del secolo il livello degli oceani subirà un incremento di 58 centimetri, una stima che molti ritengono persino troppo cauta.

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Secondo uno studio basato sui dati satellitari,
 per colpa del riscaldamento globale 
il livello medio degli oceani negli ultimi 25 anni è aumentato di 7 cm, 
con una crescita non regolare ma sempre più veloce...

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L'innalzamento del livello del mare sta accelerando


Uno scorcio di piazza san Marco invasa dall'acqua alta.


Secondo uno studio basato sui dati satellitari,
 per colpa del riscaldamento globale 
il livello medio degli oceani negli ultimi 25 anni è aumentato di 7 cm, 
con una crescita non regolare ma sempre più veloce.

L'innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale sta accelerando ed entro fine secolo circa il 7% della popolazione mondiale, compresi gli abitanti di Venezia e di altre città costiere italiane, rischia di finire sommersa, con immensi danni e disagi.

Il nuovo allarme, che rafforza e circostanzia ulteriormente quelli precedenti sullo scioglimento dei ghiacci, arriva da un gruppo di ricercatori guidato da Steven Merem dell'Università del Colorado-Boulder. Questi scienziati hanno calcolato che il livello medio del mare negli ultimi 25 anni è aumentato di 7 cm e hanno dimostrato che la velocità di crescita di tale livello non è ogni anno la stessa di quello precedente (3 mm all'anno), ma è data dalla precedente più 0,084 mm per ciascun anno. Quindi non è come un'automobile che procede ad una velocità costante, ma la cui velocità continua sempre ad aumentare.

L'articolo è apparso il 12 febbraio sui Proceedings of the National Academy of Sciences ed è stato messo a punto usando i dati forniti dal 1993 ad oggi da vari satelliti in orbita intorno alla Terra come TOPEX/Poseidon, Jason-1, Jason-2 e Jason-3.

Il grafico risultante, presentato dagli autori nell'articolo, mette in evidenza come la crescita non sia lineare, ma leggermente accelerata. Nonostante l'aumento annuo possa apparire piuttosto esiguo, le sue conseguenze sono catastrofiche, dal momento che, se si utilizza tale ipotesi per estrapolare i dati fino al 2100, si ottiene un aumento complessivo del livello delle acque di circa 65 cm, più del doppio rispetto a quello che si avrebbe con l'incremento costante di 3 mm all'anno.

Secondo gli autori, i risultati della loro ricerca rappresentano un salto di qualità nella discussione sui cambiamenti climatici, trasformandola, da disputa basata su supposizioni ipotetiche, a discussione fondata su dati scientifici e su osservazioni oggettive. Ciò avviene soprattutto grazie alla possibilità di poter accedere a misurazioni precise fornite quotidianamente dai satelliti artificiali gravitanti intorno alla Terra.

Già in passato si è tentato di porre la questione su basi più scientifiche utilizzando delle misurazioni effettuate sulle maree, ma il metodo risultava impreciso per la presenza di numerose cause di errore (si ricordi che stiamo parlando di una variazione del livello del mare di 3 mm all'anno!). Questo nuovo sistema di misurazione ha il vantaggio di compiere osservazioni sugli oceani aperti e permette di effettuare valutazioni precise e quantitative. Per arrivare alle loro conclusioni, gli autori hanno tenuto conto di diversi fattori che possono avere influito sulle misurazioni nei 25 anni passati, come, ad esempio, l'eruzione del vulcano Pinatubo, le variazioni periodiche di El Niño, ecc.
Gli scienziati sottolineano anche come questo dato sperimentale sia in accordo con quello previsione presentata all'interno del quinto Rapporto dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il gruppo intergovernativo creato nel 1988 dalle Nazioni Unite per raccogliere, studiare e sintetizzare i contenuti delle pubblicazioni scientifiche relative al riscaldamento globale .

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Oceani, sette cose che non si possono non sapere

Un pesce pagliaccio al sicuro nella sua tana all'interno dei tentacoli di un anemone osserva una manta mentre uno scarus maschio pattuglia il suo territorio per proteggerlo da altri maschi concorrenti.


In occasione della giornata mondiale degli Oceani, ecco in sintesi i sette principi essenziali dell'Ocean Litteracy da tenere a mente per capire quanto il nostro benessere sia dipendente da quello del mare.

Ogni anno l'8 di giugno si celebra la Giornata mondiale degli Oceani per ricordare a tutti il loro ruolo fondamentale nella vita quotidiana. Numerosi eventi sono organizzati in vari paesi per informare il pubblico dell'impatto delle azioni umane sui mari e sviluppare un movimento mondiale di cittadini per la loro gestione sostenibile. L'edizione 2018 è dedicata a fornire informazioni sull'inquinamento da plastica e le possibili soluzioni.

Nel 2017 la Commissione Oceanografica Intergovernativa dell'Unesco ha pubblicato il manuale Ocean Literacy for All - A toolkit dove sono riportati i cosiddetti "sette principi dell'Ocean Literacy", ovvero le informazioni minime che tutti dovrebbero conoscere. Secondo Francesca Santoro, autrice principale del documento, "purtroppo, nonostante il ruolo fondamentale dell'oceano e dei mari per il nostro pianeta, è ancora scarsa la conoscenza che ne abbiamo. Ecco perché i sette principi dell'Ocean Literacy sono uno strumento importante per la promozione di una maggiore diffusione di elementi fondamentali che riguardano il mare e i suoi processi, 
e possono essere considerati come l'ABC della conoscenza del mare".

In Italia, nonostante la presenza di numerose attività legate all'economia del mare e la storia strettamente correlata alla posizione centrale nel Mediterraneo, secondo l'esperta dell'Unesco "manca ancora una vera e propria cultura dell'oceano". Opinione condivisa da Franco Borgogno, presidente di Ocean Literacy Italia, un'associazione costituita da ricercatori, giornalisti e educatori fondata all'inizio del 2018 con lo scopo di promuovere, adattare e sviluppare i principi dell'Ocean Literacy al contesto geografico e culturale Italiano. "Generalmente, si pensa che il mare sia bello, rilassante, pieno di fascino... In realtà il mare è molto di più: è letteralmente fondamentale per la nostra esistenza, lo sarebbe anche se vivessimo per sempre in cima a una montagna e non mangiassimo mai pesce", spiega Borgogno. "L'Ocean Literacy ci aiuta a comprendere, in maniera molto semplice e multidisciplinare, tutto questo: dal mare dipendiamo completamente e sul mare incidiamo pesantemente con i nostri comportamenti. Esserne consapevoli è il primo passo per occuparcene con cura e incamminarsi sulla strada che ci porterà alla soluzione di molti problemi".



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Impegnata a tutto tondo nella diffusione dell'Ocean Literacy, sia attraverso documenti tecnici, incontri con industriali e finanzieri, apparizioni in programmi televisivi per i giovani, Francesca Santoro spiega che "per fare in modo che si possano pianificare meglio gli usi dello spazio marino, che si possano promuovere i principi dello sviluppo sostenibile ed anche un'economia del mare, o economia blu, che rispetti le regole della natura, è fondamentale che tutti, cittadini, imprenditori, politici, siano più consapevoli di quelle che sono sia le opportunità ma anche i rischi e i pericoli che minacciano la salute dell'oceano"...
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Ma quali sono i sette principi dell'Ocean Literacy?

Mare agitato e onde alte caratterizzano le acque freddissime che circondano l'Antartide


1 - La Terra ha un grande oceano con molte caratteristiche. I bacini oceanici (Atlantico, Pacifico, Artico, Meridionale e Indiano) sono interconnessi e permettono ad acqua, nutrienti e organismi di spostarsi dall'uno all'altro. La circolazione oceanica è una specie di nastro trasportatore per il calore e l'energia sulla Terra, ed è un elemento chiave del sistema climatico. Oltre il 70% della superficie terrestre è coperta da acqua, di cui più del 96% si trova negli oceani. L'acqua di mare è salata e congela a una temperatura inferiore all'acqua dolce, è più densa e ha più conduttività elettrica. Sebbene l'oceano sia grande, non è infinito e le sue risorse sono limitate.

2 - L'oceano e gli organismi marini determinano le caratteristiche della Terra. Cambiamenti del livello del mare, azioni delle onde e delle maree e attività tettoniche hanno influenzato la formazione delle zone costiere del mondo e la struttura geologica di colline e montagne. Le cime delle Dolomiti italiane, ad esempio, sono costituite da resti di un'antica barriera corallina e rappresentano un record fossile di un antico mare tropicale. Non tutte le influenze dell'oceano avvengono nell'arco di ere geologiche. Con l'attuale innalzamento del livello del mare, si possono osservare cambiamenti relativamente rapidi nei piccoli stati insulari e nelle comunità costiere di tutto il mondo.

3 - L'oceano svolge un ruolo chiave nella regolazione del clima e del tempo meteorologico. L'oceano scambia continuamente anidride carbonica con l'atmosfera, ma ogni anno ne immagazzina più di quanta ne rilasci. Agisce dunque da "pozzo per la CO2" e sta svolgendo un ruolo importante nella rimozione della CO2 "extra" immessa in atmosfera dalla combustione delle fonti fossili. Tramite le correnti l'oceano assorbe, immagazzina e trasferisce calore. Nonostante questo ruolo chiave nel sistema climatico globale, per molti anni i processi oceanici sono stati relativamente assenti dalle discussioni sul cambiamento climatico. Per fortuna le cose stanno cambiando e nel 2019 il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) pubblicherà una relazione speciale su cambiamenti climatici, oceano e criosfera.

4 - L'oceano ha reso la Terra abitabile. Le prime forme di vita sulla Terra molto probabilmente hanno avuto origine nel mare, quando l'atmosfera terrestre era ricoperta da gas densi che bloccavano gran parte dell'influenza del sole e non c'era ossigeno nell'aria. Questi primi microrganismi erano forse simili a quelli che oggi vivono presso le sorgenti idrotermali oceaniche, capaci di produrre energia senza la fotosintesi. Circa 2,4 miliardi di anni fa questi primi microrganismi svilupparono la capacità di fare la fotosintesi e immisero in atmosfera enormi quantità di ossigeno che hanno permesso lo sviluppo di forme di vita complesse, inclusa la nostra.

5 - L'oceano sostiene una grande diversità di vita e di ecosistemi. Pianure abissali, regioni polari, barriere coralline, mangrovie, foreste di alghe e coste sabbiose sono solo alcuni dei numerosi e diversi ecosistemi che si trovano nell'oceano. La maggior parte dei principali gruppi di organismi viventi che esistono sulla Terra si trova esclusivamente nell'oceano e la diversità dei principali gruppi è molto più alta nell'oceano che sulla terra. Sviluppo costiero, cambiamenti climatici, specie invasive, overfishing, inquinamento chimico e da plastica rappresentano gravi pericoli per le specie marine, molte delle quali rischiano l'estinzione a causa del sommarsi di queste minacce.

6 - L'oceano e l'uomo sono inestricabilmente interconnessi. La salute e il benessere del genere umano dipendono dai servizi ecosistemici, cioè i processi attraverso i quali l'ambiente produce aria pulita, acqua, cibo e materiali. L'oceano fornisce i mezzi di sostentamento a oltre tre miliardi di persone ed è una fonte di organismi che forniscono nuovi farmaci e nuovi prodotti da utilizzare nelle biotecnologie. Secondo il rapporto del WWF Reviving the Ocean Economy: The case for action-2015, l'oceano ha un valore di almeno 24.000 miliardi dollari, e i beni e servizi degli ambienti costieri e marini ammontano a circa 2.500 miliardi di dollari ogni anno. In termini di prodotto interno lordo, l'oceano sarebbe la settima economia più grande del mondo.

7 - L'oceano è in gran parte inesplorato. L'uomo ha iniziato a esplorare e conoscere l'oceano sin dall'età della pietra. Già 75.000 anni fa le conchiglie di organismi marini erano usate per costruire collane e la tomba di un faraone egizio reca un avvertimento contro il consumo di pesce palla velenoso. Nonostante le sue dimensioni e la sua importanza, solo meno del 10% dell'oceano è stato esplorato e la mappa dei fondi oceanici è meno dettagliata delle mappe di Luna, Marte o Venere. Fortunatamente nuove tecnologie, sensori e strumenti stanno espandendo la nostra capacità di esplorare e comprendere l'oceano e i suoi processi.

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Da oggi al 2100 gli eventi meteorologici estremi potrebbero aumentare del 50%

Da oggi al 2100 gli eventi meteorologici estremi potrebbero aumentare del 50%
L'eccezionale acqua alta di fine ottobre a Venezia
 ha toccato il metro e 56 centimetri a Punta della Dogana.

Un nuovo studio pubblicato da Science Advances indica che le ondate di calore estive, la siccità e altri fenomeni severi potrebbero diventare molto più frequenti per il rallentamento della corrente a getto indotto dalle attività umane.


Secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science Advances con il progredire del riscaldamento globale la frequenza delle condizioni che danno origine a eventi meteorologici distruttivi e prolungati aumenterà, in media, del 50 percento e potrà arrivare fino al 300 percento.

Gli incendi in California e le ondate di calore in Europa della scorsa estate sono stati i peggiori a memoria d'uomo. Ancora, gli incendi in Artide e le alluvioni in Giappone sono anch'essi senza precedenti e connessi con una corrente a getto più lenta che crea un blocco dei sistemi meteorologici, afferma il climatologo Michael Mann della Pennsylvania State University, 
autore principale dello studio.

E non parliamo solo dell'ultima estate. La siccità del 2011 in Texas e in Oklahoma, le alluvioni del 2013 in Europa, gli incendi del 2015 in California e quelli del 2016 in Alberta sono stati ricondotti al progressivo riscaldamento dell'Artico, che sta rallentando il flusso della corrente a getto.

“Vediamo le conseguenze devastanti del cambiamento climatico accadere in diretta sotto i nostri occhi alla televisione e finire in prima pagina sui giornali” dice Mann. Se la combustione di combustibili fossili dovesse continuare questi eventi saranno più frequenti e più intensi, aggiunge il climatologo. “E la situazione potrebbe peggiorare ancora se non ci saranno delle azioni immediate per ridurre le emissioni di carbonio”. 

Lo studio è stato pubblicato in concomitanza di una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Nature. Quest'ultima suggerisce che negli anni recenti l’oceano globale abbia assorbito molto più calore di quanto ritenuto in precedenza. Ciò potrebbe voler dire che il pianeta si riscalderà ancora più velocemente in risposta alle emissioni di gas serra, il che potrebbe avere ulteriori impatti negativi sul tempo meteorologico.

Un fiume di aria
La corrente a getto è un insieme di venti di alta quota che soffiano da ovest verso est originati dalla differenza di temperatura tra l’aria fredda dell’Artico e quella calda dei tropici. L’Artico si sta riscaldando due o tre volte più velocemente di ogni altro luogo sul pianeta, e questo fa diminuire la differenza di temperatura tra le due masse d’aria, che a sua volta determina il rallentamento della corrente a getto. Così come un fiume che si muove lentamente, anche la corrente a getto può creare dei meandri e può bloccarsi durante l’estate, a volte anche per settimane.

Le proiezioni dei modelli climatici sulla frequenza con cui, da qui al 2100, la corrente a getto entrerà in stallo e determinerà degli eventi meteorologi estremi variano da un leggero aumento fino a un incremento del 300 percento, dice Kai Kornhuber, ricercatore presso il Postdam-Institute for Climate Impact Research in Germania e coautore dello studio. Non ci sono sufficienti serie di dati di buona qualità sul lungo periodo – e i vari modelli climatici gestiscono in maniera diversa la complessità delle nubi del futuro e delle particelle di aerosol che derivano dall’inquinamento dell’aria – ha detto Kornhuber in un’intervista. “Tuttavia è molto probabile che vi sarà un aumento del 50 percento, e questa cifra è probabilmente una sottostima”, ha detto. 

Il ruolo principale del carbone 
Lo studio mostra anche che chiudere le centrali elettriche a carbone ridurrà la possibilità che nel futuro si verifichino estati come quella del 2018. Le centrali a carbone rappresentano la maggior fonte di anidride carbonica (CO2) che intrappola il calore del sole. Sono anche una significativa fonte di inquinamento atmosferico sotto forma di piccole particelle o aerosol che riflettono parte del calore del sole, determinando un raffreddamento regionale.

 “Una riduzione dell’inquinamento atmosferico nei paesi industrializzati potrebbe effettivamente ripristinare parte della differenza di temperatura che normalmente esiste tra le medie latitudini e l’Artico, dice Stefan Rahmstorf, coautore dello studio e ricercatore presso il Postdam-Institute for Climate Impact Research.

E questo aiuterebbe a prevenire l’aumento nel futuro delle situazioni di stallo della corrente a getto e gli estremi meteorologici che ne derivano. “Se vogliamo limitare l’aumento degli eventi meteorologici estremi, eliminare gradualmente la combustione del carbon fossile sembra una buona idea” ha detto Rahmstorf in una conferenza stampa.


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Ci vorranno centinaia di anni per vedere le conseguenze di tutti questi cambiamenti, dice Wijffels. Ogni molecola di CO2 che evitiamo di immettere nell’atmosfera oggi ci risparmia un potenziale riscaldamento nel futuro” dice la ricercatrice. 
“Per questo dobbiamo fare tutto il possibile per ridurre le emissioni"...



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Il 2018 l’anno più caldo per gli Oceani

Il 2018 l’anno più caldo per gli oceani e le conseguenze dureranno a lungo

Il 2018 l’anno più caldo per gli oceani e le conseguenze dureranno a lungo
Gli oceani assorbono il 93 percento del calore dovuto al cambiamento climatico. 
Ma questo effetto ha degli importanti e duraturi.
dal  nationalgeographic

Da quando l’uomo ha cominciato a misurarne regolarmente la temperatura, gli oceani della Terra sono più caldi oggi rispetto ad ogni altro periodo. È questo il risultato di un’analisi pubblicata il 16 gennaio sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences.

Gli oceani hanno assorbito più del 90% del calore rilasciato dai gas a effetto serra emessi dalle attività umane, rallentando il riscaldamento dell’atmosfera, ma causando molte altre spiacevoli alterazioni al clima terrestre.

Un oceano anche solo leggermente più caldo può avere impatti drammatici. Alcune altre ricerche pubblicate recentemente mostrano che l’aumento della quantità di calore negli oceani può determinare onde più forti, mentre una maggiore temperatura dell’acqua superficiale alimenta temporali più violenti, facendo aumentare i danni causati dai cicloni e dalle tempeste tropicali.

L’aumento di temperatura dell’acqua di mare distrugge l’habitat dei coralli e ha impatti negativi sulle risorse ittiche. Un altro studio mostra che in Antartide la calotta polare si sta sciogliendo ad una velocità circa sei volte superiore a quella del periodo 1979-1990, un aumento in parte dovuto a masse d’acqua più calda che oggi lambiscono la piattaforma continentale.

“Gli oceani sono il miglior termometro del pianeta” dice Zeke Hausfather, esperto di energia e scienza del clima all’Università della California a Berkeley, che utilizzando gli stessi dati sul calore intrappolato negli oceani pubblicati nell’articolo su Advances in Atmospheric Sciences ha pubblicato l’11 gennaio un articolo sulla rivista Science. “I dati relativi alla quantità di calore intrappolato negli oceani ci danno una immagine chiara e senza equivoci del riscaldamento climatico.”

Trovato il “calore mancante” 

Già all’inizio dell'Ottocento gli scienziati sospettavano che l’immissione di anidride carbonica in atmosfera avrebbe causato un aumento della temperatura dell’atmosfera stessa.
Attorno al 1960, quando sono cominciate le registrazioni regolari della temperatura dell’aria e della concentrazione di anidride carbonica in varie località del pianeta, le loro previsioni sono state confermate.
Tuttavia sembrava che l’atmosfera stesse riscaldandosi meno di quanto predetto dai loro calcoli. Dove sarebbe potuto andare il calore in più?
Alcuni oceanografi sospettarono che il calore “mancante” fosse in realtà assorbito dagli oceani, ma misurare il calore dell’oceano era molto più difficile che misurare la temperatura dell’aria. E anche se alcune navi impegnate in missioni di ricerca misuravano occasionalmente la temperatura dell’acqua, i dati raccolti erano esigui in confronto all’estensione degli oceani.

Gli scienziati, quindi, cominciarono a raccogliere tutti i dati che potevano trovare, dalle osservazioni delle navi commerciali, ai dati navali, alle registrazioni storiche. Analizzando tutti questi dati assieme si sono resi conto che l’oceano, in effetti, agisce come un enorme cuscinetto per il sistema climatico, attenuandone gli impatti.

Nell’ultimo decennio le misurazioni del contenuto di calore dell’oceano sono state migliorate notevolmente da un nuovo strumento: circa 3800 sensori galleggianti, chiamati Argo floats, che sono stati rilasciati negli oceani. Questi sensori autonomi registrano a intervalli regolari la temperatura nei 2000 metri superficiali della colonna d’acqua ed hanno migliorato immensamente la qualità dei dati a disposizione dei ricercatori per lo studio del calore contenuto negli oceani.

Grazie a queste misurazioni, è stato possibile capire che gli oceani stanno assorbendo circa il 93 percento del calore causato dalle emissioni di anidride carbonica. Ed è stato calcolato che se tutto il calore che gli oceani hanno assorbito dal 1955 ad oggi fosse rilasciato ad un tratto nell’atmosfera, la temperatura dell’aria salirebbe di colpo di circa 33,3 °C .  In altre parole, gli oceani agiscono come un gigantesco tampone termico che ci protegge dal sentire direttamente tutto il calore del cambiamento climatico. Ma questo calore non è scomparso.

Il riscaldamento sta accelerando 

Nel 2018 l’intero strato superficiale degli oceani, dalla superficie fino a 2000 metri di profondità, è risultato più caldo di tutti gli anni precedenti, in media di un decimo di grado in più rispetto alla media sul lungo periodo. Questo piccolo aumento di temperatura è stato sufficiente per determinare un aumento di 3 millimetri del livello medio del mare, 
semplicemente perché l’acqua calda occupa più spazio.

Ma il 2018 arriva dopo circa tre decenni di riscaldamento regolare e consistente, i cui effetti cumulativi possono essere percepiti in modo più acuto.

 “L’aumento di temperatura sembra piccolo su base giornaliera, ma sommato sul lungo periodo diventa importante” dice Kevin Trenberth, climatologo del National Center for Atmospheric Research in Colorado, e co-autore sia dell’articolo su Advances in Atmospheric Sciences che di quello su Science.
L’eccesso di energia nell’atmosfera si diffonde lentamente nell’oceano e “questo è il motivo per cui ogni anno la temperatura dell’oceano è sempre più calda” dice il ricercatore.

Ancora più allarmante il fatto che negli ultimi decenni gli oceani si sono riscaldati il 40 percento più velocemente di quanto avessero fatto nella metà del secolo scorso, dice Trenberth.
Dalla rivoluzione industriale a oggi la quantità di calore che è stato assorbito negli oceani a causa delle emissioni di gas a effetto serra è circa 1000 volte più grande della quantità di calore che viene utilizzata ogni anno a livello mondiale, dice Laure Zanna, climatologa dell'Università di Oxford che recentemente ha compilato un inventario del calore in eccesso assorbito dagli oceani. 

Quello che succede adesso ha conseguenze nei secoli a venire

Gli oceani sono grandi e profondi, e non c’è praticamente alcun limite alla quantità di calore che possono assorbire dall’atmosfera. Ma gli oceani hanno la memoria lunga, e il calore assorbito oggi rimarrà intrappolato sul nostro pianeta per centinaia e migliaia di anni: un altro recente studio pubblicato all’inizio di gennaio su Science mostra che ancora oggi nelle acque oceaniche si possono trovare le tracce della cosiddetta Piccola era glaciale.

Per questo motivo le decisioni che prendiamo adesso hanno un impatto su quello che succederà nel futuro, dice Susan Wijffels, oceanografa al Woods Hole Oceanographic Institute di Cape Cod, Massachusetts. “L’oceano ha una grande capacità di assorbire calore sul lungo periodo. Ma tutto il calore intrappolato rimane bloccato nel sistema climatico terrestre e ha delle conseguenze sul suo funzionamento presente e futuro” dice la ricercatrice. Quindi, anche se smettessimo domani di immettere gas a effetto serra nell’atmosfera, l’oceano continuerà a riscaldarsi per secoli, e ci vorrà ancora più tempo perché si liberi di tutto il calore in eccesso che ha accumulato.

Il calore intrappolato negli oceani, dicono gli autori del rapporto su Advances in Atmospheric Sciences, avrà dei probabili impatti distruttivi sia sulla fisica degli oceani che sugli ecosistemi marini. Un oceano più caldo contiene quantità minori di ossigeno, il che ha degli effetti negativi sugli organismi marini, dal plankton fino alle balene. Una temperatura di base più calda rende più probabile il verificarsi di ondate di calore marine, come quella che ha colpito le zone a Nord-est della Cina l’estate scorsa, rovinando la raccolta dei cetrioli di mare (oloturie) nelle acque poco profonde.

Zanna e i suoi colleghi hanno rilevato dei cambiamenti anche nelle dinamiche delle principali correnti oceaniche che trasportano i nutrienti e il calore.

Ci vorranno centinaia di anni per vedere le conseguenze di tutti questi cambiamenti, dice Wijffels. Ogni molecola di CO2 che evitiamo di immettere nell’atmosfera oggi ci risparmia un potenziale riscaldamento nel futuro” dice la ricercatrice. 
“Per questo dobbiamo fare tutto il possibile per ridurre le emissioni".

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Più veloce del previsto lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia

Più veloce del previsto lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia


Un nuovo studio rilancia l'allarme sugli effetti del riscaldamento globale: a questo ritmo si rischia un pericoloso innalzamento del livello dei mari e una possibile interferenza sulla Corrente del Golfo.

dal  nationalgeographic

Il ghiaccio della Groenlandia si sta sciogliendo più velocemente di quanto si pensasse. Lo documenta un nuovo studio la cui novità forse più sorprendente è che questa perdita di ghiaccio riguarda le piattaforme di ghiaccio fisso interne (la banchisa ancorata alla terra, ndt) 
piuttosto che il fronte dei ghiacciai costieri. 

La ricerca, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha stabilito che la perdita maggiore di ghiaccio nel periodo che va dall'inizio del 2003 a metà del 2013 ha interessato la regione sudoccidentale della Groenlandia, per la maggior parte priva di ghiacciai.

La Groenlandia sembra aver conosciuto un punto di svolta a cavallo tra il 2002 e il 2003, quando lo scioglimento dei ghiacci ha accelerato rapidamente, spiega l'autore principale della ricerca Michael Bevis, un geoscienziato della Ohio State University. Nel 2012 la perdita annuale era stata senza precedenti, ad un tasso di circa 4 volte superiore rispetto a quello del 2003, ha commentato Bevis in un'intervista.

"Sapevamo dell'esistenza del problema della crescente perdita di ghiaccio da parte di alcuni grandi ghiacciai", spiega Bevis. "Ma ora siamo consapevoli di un altro grave problema: masse di ghiaccio sempre più grandi finiranno per sciogliersi finendo in mare come fossero dei fiumi".

I dati del satellte della NASA GRACE e quelli raccolti dalle stazioni GPS sparse lungo la costa della Groenlandia hanno documentato che tra il 2002 e il 2016 questo territorio ha perduto circa 280 miliardi di tonnellate di ghiaccio l'anno. "Ciò provocherà un ulteriore incremento dell'innalzamento del livello dei mari", dice Bevis.

La calotta di ghiaccio della Groenlandia è spessa in alcuni punti circa 3000 metri e contiene ghiaccio a sufficienza per far alzare il livello del mare di 7 metri. Nel corso del XX secolo ha perso circa 9000 miliardi di tonnellate di ghiaccio, facendo salire il livello degli oceani di 25 millimetri.

Tuttavia quello che può provocare lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia è ben poca cosa al confronto della calotta antartica che, se completamente sciolta, potrebbe innalzare il livello dei mari di 57 metri. E, in maniera allarmante, anche quest'ultima è in via di rapido scioglimento, con perdite sei volte maggiori a quanto accadeva 4 decadi fa.

Il riscaldamento globale, per quanto al momento sia di un solo grado Celsius, è il motivo principale di questo massiccio scioglimento.
In Groenlandia gli scienziati hanno scoperto che il riscaldamento globale, associato ad una fase negativa nella Oscillazione Nord Atlantica (NAO), ha prodotto un rapido scioglimento della superficie della calotta nei mesi estivi. La NAO è una variazione irregolare naturale nella pressione atmosferica che porta estati caldi e soleggiate sul lato occidentale della Groenlandia quando è nella sua fase negativa. Prima del 2000 ciò non portava a scioglimenti significativi, spiega Bevis, ma da allora ogni fase negativa della NAO corrisponde ad un forte aumento nello scioglimento dei ghiacci.  

Lo studio di Bevis indica ora come la Groenlandia sudoccidentale sia il punto più suscettibile ad eventi atmosferici ciclici come El Niño che si sovrappongono al cambiamento climatico, sottolinea Jason Box, un glaciologo della Geological Survey di Danimarca e Groenlandia. Ed è chiaro, aggiunge Box, che la maggior parte delle perdite di ghiaccio si registrano nel ghiaccio fisso (la banchisa ancorata a terra) piuttosto che dalle terminazioni marine dei ghiacciai.
Per far sciogliere la calotta di ghiaccio della Groenlandia è sufficiente una temperatura terrestre di 1 grado °C e soleggiamento. "Una volta era raro avere temperature superiori allo 0 sulla calotta, ma ora non più", dice Bevis. E ogni grado superiore a 1 °C raddoppia la quantità di ghiaccio che si scioglie. 

Cosa dobbiamo aspettarci? 
In mancanza di interventi per ridurre in maniera drammatica il consumo di carburanti fossili responsabile dell'aumento delle temperature, la maggior parte del ghiaccio della Groenlandia potrebbe sciogliersi, facendo salire il livello del mare di 7 metri, avverte Richard Alley, un glaciologo dell'univesità americana Penn State. Ciò accadrebbe nel corso di secoli: tuttavia esiste una soglia del riscaldamento che si rischia di oltrepassare nel giro di pochi decenni o giù di lì e se, varcata troppo a lungo, lo scioglimento della Groenlandia sarebbe irreversibile, dice Alley.

Un'altra grande preoccupazione riguarda gli effetti di questo scioglimento sulla Corrente del Golfo che trasporta acqua calda dall'Equatore veso l'Atlantico settentrionale, rischiando di farla "sprofondare" nell'oceano. Stando ad una ricerca comparsa lo scorso anno su Nature, la Corrente da metà del XX secolo ha perduto il 15% della sua forza. 

I meteorologi ritengono che questo rallentamento sia collegato alle ondate di calore delle ultime estati in Europa. Uno dei coautori della ricerca, Stefan Rahmstorf, del Potsdam Institute for Climate Impact Research tedesco, imputa il cambiamento agli enormi volumi di acqua di scioglimento provenienti dalla Groenlandia. "Credo che stia accadendo ... e credo anche che sia una brutta notizia".

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martedì 1 gennaio 2019

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