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sabato 2 luglio 2016

Floating Piers il Delirio Galleggiante



È incredibile osservare l’ingenua e infantile gioia delirante un milione di persone che si sono precipitate a camminare sui pontili sintetici di Christo'.

Persone che parlano di un’esperienza sublime, di emozioni forti, di incredibili sensazioni provate nel camminare su un telo di plastica posato su taniche vuote sopra le acque di un lago prealpino reso infrequentabile dalla folla. Le cronache sono del tipo: “Il popolo dei Piers non indietreggia di un millimetro. Non si lascia scoraggiare dalle code per salire su un treno, su una navetta o su un battello, né dal sole che trasforma la passerella – e i piazzali di Sulzano – in forni a microonde, tanto che ieri al tramonto sono tornati in azione gli idranti per rinfrescare la folla in attesa. La parola d’ordine è una sola: camminare su The Floating Piers, costi quel che costi” .

Una situazione che, spogliata di tutto il costrutto mediatico-modaiolo che gli si è appiccicato sopra, è in realtà riconducibile a una semplice gita in battello: 
si cammina sulle acque e si ondeggia tra tante persone!

Si tratta un ennesimo evento di massa emblematico dei tempi che viviamo e della totale indifferenza alle conseguenze delle proprie azioni, ovvero il fatto che sia mancata qualsiasi riflessione sulla responsabilità ambientale di quest’opera d’arte (sebbene qualche critico abbia almeno voluto definirla una pagliacciata sul piano estetico e di costume).

I drammaticamente gravi significati simbolici che quest’opera si porta dietro non sono stati nemmeno sfiorati: il trionfo dell’usa e getta, del superfluo costoso, dell’artificializzazione della Natura.

Dal sito ufficiale dell’artista, assumiamo i dati tecnici:

– 220.000 cubi di polietilene ad alta densità prodotto dalla F.lli C. coadiuvata da altre aziende bresciane  creano i 3 chilometri di The Floating Piers.
– 220.000 perni [sempre di polietilene] tengono insieme i cubi.
– 200 ancore del peso di 5,5 tonnellate l’una mantengono i 16 metri di larghezza del pontile in posizione [blocchi di cemento trasportati nelle posizioni finali da mezzi nautici grazie all’utilizzo di palloni industriali che, una volta raggiunta la postazione, sono stati svuotati dell’aria e hanno adagiato sul fondo le zavorre].
– 37.000 metri di corda connettono gli ancoraggi al pontile.
– 70.000 m2 di feltro ricoprono i pontili e le strade al di sotto del tessuto.
– 100.000 m2 di tessuto in fibra poliammidica (Nylon),  coprono i 3 chilometri di pontile e 2,5 chilometri di strada.

E il tutto per un’installazione della durata di sedici giorni, dal 18 giugno al 3 luglio 2016.

Dopodichè l’infrastruttura artistica verrà smontata e  sostiene il sito ufficiale “tutti i materiali utilizzati saranno riciclati attraverso un processo industriale”, non meglio specificato.

Vediamo le criticità ambientali:

– riciclo plastiche: il polietilene è relativamente facile da riciclare, i cubi verranno dunque ritirati dall’acqua e avviati a recupero, ma con trasporto dove? Il tessuto poliammidico, in parte sporcato e usurato, sarà meno facile da riciclare: di tutta questa filiera sarebbe importante disporre da parte dell’artista e delle autorità di igiene urbana locale una dettagliata e trasparente documentazione! Non sia mai che finisca tutto nel vicino inceneritore di Brescia…?

– energia grigia: anche se la plastica può essere riciclata, in genere ottenendo un materiale meno pregiato di quello originario, nessuno potrà ottenere la restituzione dell’energia spesa in fase di produzione e lavorazione;

– rilascio composti tossici nel lago: ci sono additivi potenzialmente rilasciabili dalla plastica nelle acque? Interferenti endocrini che costituiscono un problema ambientale e sanitario sempre più grave? Era necessaria una maggiore trasparenza, con certificati merceologici precisi sulla natura dei materiali impiegati.

– emissioni dei trasporti per la costruzione: ci è voluto circa un anno di lavoro di aziende italiane e tedesche per produrre, trasportare, immagazzinare e montare (e poi smontare) l’installazione. Un’attività che avrà comportato ingenti costi energetici, emissioni di CO2 e altri inquinanti, produzione di rifiuti, imballaggi, materiali accessori, incluso un sommergibile per le ispezioni del fondo lacustre.

– emissioni indirette per il trasporto passeggeri e per le attività di sicurezza: il colossale formicolare di persone che hanno invaso la zona ha provocato un carico critico sui mezzi di trasporto locale, la saturazione delle strade e inevitabilmente l’aumento di emissioni climalteranti e di rifiuti su base locale, nonché il mantenimento di un complesso sistema di vigilanza e sicurezza… a gasolio!

E ora i messaggi simbolici che l’opera d’arte comunica (o non comunica):

– si può fare tutto ciò che si vuole, basta pagare! Ma il prezzo dei danni ambientali non si bilancia con la moneta…

– una cosa che si smonta non lascia conseguenze! Ma ciò che non si vede è talora peggio di ciò che si vede… le emissioni climalteranti contribuiscono a deteriorare le condizioni di vivibilità dell’intero pianeta, i rifiuti industriali del processo produttivo dei materiali e quelli dispersi in acqua minano gli equilibri ecologici anche su tempi millenari.

– siamo già sommersi dai rifiuti plastici e purtroppo negli oceani galleggiano circa nuovi 5 continenti di plastica ! Altro che aggiungerne, bisognerebbe fare un’opera d’arte per rimuoverli!

Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare. Un rapporto del World Economic Forum stima che ci siano attualmente 150 milioni di tonnellate di rifiuti plastici dispersi negli oceani, una tonnellata di plastica ogni cinque tonnellate di pesce, e che a questo tasso entro il 2050 nelle acque ci sarà più plastica che pesce! Le correnti marine concentrano queste enormi quantità di rifiuti in cinque principali “isole” galleggianti (oceani Indiano, Atlantico settentrionale e meridionale, Pacifico settentrionale e meridionale): ISOLA DI PLASTICA BLOG

– non inquina solo ciò che si vede, ma pure ciò che non si vede, dagli interferenti endocrini alla mobilizzazione del substrato: “Marco Pilotti, docente del dipartimento di Ingegneria civile, architettura, territorio, ambiente dell’Università di Brescia ed esperto del lago d’Iseo, ha condotto uno studio sull’impatto dell’opera sulla morfologia del bacino. Il molo galleggiante è ancorato al fondo del lago con 150 blocchi di cemento armato da sette tonnellate l’uno e il progetto prevede, al termine dell’esposizione, la rimozione totale dell’opera e lo smaltimento di tutti i materiali. «Il recupero dei cosiddetti corpi morti degli ancoraggi – spiega il professor Pilotti – farà solo del male al lago, perché solleverà i sedimenti del fondale. Le misurazioni che abbiamo fatto hanno rilevato che in quel terreno è contenuta una quantità di fosforo 15 volte maggiore a quella presente nei livelli superiori dell’acqua”.

– l’edonismo dissipativo, volgare e superficiale, attira assai di più che la contemplazione della biosfera, la nostra casa da cui tutto dipende! Chi, di questo milione di bipedi vociante su un palcoscenico naturale trasfigurato per l’esibizionismo di massa, si è domandato qualcosa su questo povero lago prealpino? Quanto è profondo, quanta acqua contiene, che relazioni ha con la società e con la storia, è un ambiente sano o compromesso? Come reagisce ai cambiamenti climatici?

– la Natura è sostituibile con l’artificio e si arriva a privilegiare il falso che assomiglia al vero (che viceversa viene distrutto). Afferma Christo': “Il telo color oro, cangiante, vuole rappresentare la spiaggia: la gente deve pensare di essere su una spiaggia in riva al mare, e camminarci sopra”.

Ma perché mai bisogna immaginare una spiaggia di plastica? Perché non godere di una spiaggia vera, magari proteggendola proprio dall’affronto degli onnipresenti rifiuti in plastica che la deturpano?

E ancora, invita Christo, “Ascoltate il racconto della vita – Questo progetto fisico non è un museo, ma un progetto reale, riguarda le cose vere, sole, pioggia, vento”. Accidenti! Sole, pioggia e vento erano già lì da milioni di anni, ed è proprio l’opera d’arte ad essere quanto più falsa, artefatta e improbabile in quel contesto! Con le parole si può proprio costruire di tutto, mostrare vero ciò che è falso e viceversa! Il problema sono i gonzi che ci cascano…

– il denaro – 15 milioni di euro più le spese pubbliche per la logistica e la sicurezza -poteva essere speso per impieghi più sostenibili, utili e durevoli;

– le folle si attirano con il capriccio e la bizzarria, mentre sui temi importanti per la nostra stessa sopravvivenza, come l’epocale e inedita crisi ambientale che si sta sviluppando, l’interesse è sempre marginale, per non dire nullo;

– l’arte dovrebbe essere veicolo di riflessione sulla contemporaneità, qui Christo rivela invece la sua senescente visione di un mondo sintetico ormai incompatibile con i processi biogeochimici. Contrappongo al vecchio Christo' l’artista thailandese Nino Sarabutra (è una donna, nonostante il nome in italiano suoni maschile), che ha concepito un’opera molto significativa, esposta anche alla biennale di Venezia 2015 e che ho provato con i miei piedi: 100.000 piccoli teschi di porcellana che coprono il pavimento come ciottoli di fiume, sui quali si è invitati a camminare a piedi scalzi ponendoci la domanda “che mondo lasciamo dietro di noi?”

Possono sembrare considerazioni fastidiose, respinte ed etichettate come seccature che guastano il festoso pellegrinaggio, ignorano i soldi che hanno irrorato il turismo locale e alimentato la retorica dell’Italia capace di grandi opere… eppure sono lo specchio di una società che rifiuta di confrontarsi con il più grande problema mai sorto da quando l’uomo è sulla Terra, l’insostenibilità dell’Antropocene e la sempre maggior probabilità di collasso della civiltà.

di Luca Mercalli

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