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sabato 16 novembre 2019

Il Pianeta si Salva con Meno Rifiuti e Meno Figli

Luca Mercalli  Il Presidente della Società Meteorologica Italiana Denuncia le Cattive Abitudini


Luca Mercalli
Il Presidente della Società Meteorologica Italiana Denuncia le Cattive Abitudini: 
«Un Clima che si Riscalda così Tanto e così in Fretta ci può far Secchi Tutti quanti, Stop»

Non c’è più tempo, dobbiamo correre ai ripari prima che sia troppo tardi. Ma lo è già, tardi. Per questo Luca Mercalli controlla spesso l’orologio, «perché il tempo inizia a mancare per comprendere che quella climatica e ambientale è un’emergenza di cui dobbiamo preoccuparci 
e che ci impone soprattutto di agire».

Il tempo e l’ambiente sono infatti le due colonne portanti su cui si regge il festival Il richiamo della foresta organizzato dai ragazzi dell’associazione Gli urogalli e dallo scrittore Paolo Cognetti (Il ragazzo selvatico, Le otto montagne, Senza mai arrivare in cima) nel bosco di larici di Estoul, in Val d’Ayas, che comincia oggi (fino al 21 luglio) sul prato del Plan dell’Orgionot.
Definirlo un festival di montagna potrebbe essere riduttivo, quantomeno perché c’è un’idea stereotipata dei festival di montagna. Qui invece l’arte, i libri, il teatro e la musica entrano in connessione con la dimensione della montagna aprendo così nuove traiettorie, nuovi sentieri nelle terre alte. Al festival si discute di migranti, di rifugiati, delle storie di chi passa e di chi resta. Si parla delle avventure dei due montanari Arturo e Oreste Squinobal, guide alpine di Gressoney. Le sculture ricavate da legni tarlati, consunti, di Bobo Pernettaz, lui li chiama legni esausti, diventano tra i monti di Estoul l’arca di Noè su cui imbarcarsi per sfuggire al diluvio universale. Una barca musicale sonorizzata con cajon, conga, berimbau, violino, organetto, chitarre, armonica e canti.

L’ex CCCP e Consorzio Suonatori Indipendenti, Massimo Zamboni, il 20 luglio, porta nel bosco i sogni e i sintomi di un mondo che brucia, il mondo adesso. Un’onda improvvisa di calore che spaventa Luca Mercalli. Il meteorologo e climatologo col papillon, presidente della Società Meteorologica Italiana, si occupa di cambiamento climatico, denunciando le nostre cattive abitudini. Al festival porterà il suo punto di vista su clima ed ecologia.

Il venerdì è il giorno della settimana in cui ci si mobilita per combattere e denunciare le cause del cambiamento climatico. Pensi che il venerdì sia diventato il giorno migliore della settimana?
Tutti i giorni sono buoni per salvare il clima e l’umanità dal collasso ambientale. L’emergenza è adesso. Siamo un pezzo di natura, lo dice la scienza ecologica, e se la natura si degrada anche noi facciamo la stessa fine. Partiamo da dove posiamo i nostri piedi. Il riscaldamento globale sta inducendo fenomeni meteorologici estremi, alluvioni, siccità, ritiro dei ghiacciai e aumento dei livelli marini, minaccia il nostro presente e il nostro futuro.

Tu vivi in montagna, dove stai provando a sperimentare un nuovo stile di vita più rispettoso dell’ambiente. Come ci riesci?
L’ho sempre fatto anche a quota più bassa, ma ora ho voluto alzare l’asticella delle prestazioni ambientali: sostenibilità, autosufficienza energetica e in parte alimentare con agricoltura locale. Sono pratiche che aiutano a risparmiare energia evitando di aggravare l’inquinamento atmosferico o per non sprecare inutilmente le risorse naturali che scarseggiano.

Perché clima e futuro sono temi inscindibili?
Perché un clima che si riscalda così tanto e così in fretta ci può far secchi tutti quanti, stop.

Mettersi a fare l’orto in campagna, in montagna o su un terreno in collina, o anche in qualche angolo di una grande città, può migliorare la salute della Terra?
Migliora prima di tutto la tua, di salute: attività fisica, zero pesticidi, alimenti freschi pieni di proprietà nutrizionali intatte. E poi, non sottovalutiamo gli altri benefici che ne derivano: vuol dire meno imballaggi e quindi meno rifiuti, meno viaggi e meno emissioni di co2 e inquinanti. Vero cibo a chilometro zero, filiera corta e autosufficienza.

Che cosa possiamo fare nel quotidiano per dare una mano al pianeta?
La mano la dobbiamo dare a noi stessi. La prospettiva deve essere questa. Il pianeta sul lungo periodo se la caverà, siamo noi, e i figli e nipoti, che rischiamo la batosta. Dobbiamo sprecare meno, essere più efficienti, eliminare il superfluo e garantirci il necessario, usare energie rinnovabili, usar mezzi di trasporto non inquinanti, fare meno rifiuti e meno figli, perché ormai siamo quasi otto miliardi. E tutti insieme dobbiamo cambiare la politica e l’economia: basta con la crescita infinita, 
che non è possibile in un mondo finito.

Luoghi come il bosco al Plan dell’Orgionot, e così molti altri boschi di montagna, perché sono una “riserva” e come tale vanno difesi?
Sono una riserva di carbonio, e abbiamo bisogno di questi serbatoi naturali per catturarne il più possibile dall’aria, e sono una riserva di biodiversità, che ci serve per garantire il funzionamento della biosfera. E poi sono una riserva di benessere per la nostra psiche sempre più abbrutita dai panorami urbani da cui siamo circondati.

L’acqua che sgorga dalle vecchie fontane di pietra in frazioni o borgate di montagna,
 a che cosa ti fa pensare?
A me fa venire in mente i beni comuni.

Pensi che ci sarà una fuga verso le montagne dalle città in un futuro neanche troppo lontano?
Sta già avvenendo e io ne sono testimone diretto: in pianura padana ormai ci sono quaranta gradi d’estate, e sarà sempre peggio, così ho deciso di migrare in alta quota, in una piccola borgata rurale dell’Alta Val di Susa. È la mia risposta concreta di adattamento al cambiamento climatico.



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venerdì 15 novembre 2019

Firmato Forza Italia e Lega : Venezia Affonda

Firmato Forza Italia e Lega : Venezia Affonda


Venezia è sott’acqua mentre il Mose resta spento a fare la ruggine. È il paradosso dell’opera ambiziosa che avrebbe dovuto mettere al riparo dalla furia delle acque la città lagunare e la cui realizzazione è iniziata nel 2003, quando a capo del governo nazionale c’era Silvio Berlusconi, ma che, nonostante il susseguirsi di differenti amministrazioni comunali e regionali, resta tutt’ora un’eterna incompiuta. Già perché il gigantesco sistema di dighe, detto Modulo Sperimentale Elettromeccanico (Mose), è stato pensato addirittura negli anni ’80, doveva essere terminato già nel 2016 ma, per problemi di progettazione, scandali e inchieste, ha visto slittare i tempi in modo esponenziale tanto che ora il nuovo termine è previsto per il 2021. Dati alla mano, infatti, l’opera è pronta all’incirca all’85%. Così per capire le ragioni del disastro che sta sconvolgendo Venezia, non si può che partire dalle indagini della magistratura e quindi dalle
 conseguenti responsabilità della politica.

Firmato Forza Italia e Lega : Venezia Affonda

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NEL MIRINO DEI PM. L’esecuzione dei lavori, ben 16 anni fa, era stata affidata al Consorzio Venezia Nuova che altro non è che una concessionaria del ministero delle Infrastrutture. La società, con fortune alterne, andava avanti fino al 2014 quando sul gigantesco impianto, i cui costi lievitavano sempre più e in modo a dir poco incomprensibile, si abbatteva uno tsunami giudiziario che portava all’arresto di 35 persone, tra politici di primo piano e funzionari pubblici, e all’iscrizione nel registro degli indagati di altri 100 individui. Pesantissime le contestazioni che i magistrati veneti contestavano agli indagati che, a seconda delle posizioni, erano accusati di corruzioni e false fatturazioni.

Tra i tanti, a farne le spese furono soprattutto il presidente della regione Veneto, Giancarlo Galan, sostenuto da Forza Italia e Lega Nord, e l’allora ministro dell’ambiente e delle infrastrutture Altero Matteoli. Per l’allora Governatore, la faccenda si chiuse con un patteggiamento a 2 anni e 10 mesi perché accusato di corruzione continuata mentre non andò altrettanto bene all’ex ministro forzista che, per quella vicenda, subì una condanna a quattro anni. Nei guai finirono anche esponenti del centrosinistra con in prima fila l’allora sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che a luglio 2019 ha visto terminare la propria vicenda giudiziaria con l’avvenuta prescrizione. Può sembrare incredibile ma questa non è l’unica inchiesta che si è abbattuta sulla gigantesca opera. Nel 2018 nuove indagini, avviate per riciclaggio internazionale ed esercizio abusivo dell’attività finanziarie, puntavano nuovamente il dito nei confronti dell’ex governatore Galan il quale, secondo i pm, aveva speso le tangenti del Mose in appartamenti di lusso a Dubai e per l’acquisto di fabbricati industriali in Veneto.

RESPONSABILITà POLITICHE. In questo triste scenario non sorprende vedere Venezia affogare. Eppure negli ultimi anni più che dell’emergenza – cronica – delle maree e del Mose, si è parlato delle grandi navi che scorrazzano a pochi metri da Piazza San Marco. Uno scandalo anche questo che però non si capisce come possa aver catalizzato tutta l’attenzione a dispetto del ben più grave problema delle maree. In tal senso fa storcere la bocca il silenzio della politica che solo a disastro compiuto si ricorda dei mali della laguna, ovviamente dimenticando le proprie responsabilità che, secondo i pm, sono state rigorosamente bipartisan. E non può che far sorridere sentire Matteo Salvini dire che in questa vicenda “la Lega non c’entra niente“ e che “il Mose è fondamentale e conto che la manovra esca con 100 milioni di euro per mettere in esercizio un’opera piuttosto che tenerla ferma”.

Risulta incomprensibile questo tentativo di lavarsene le mani visto che al governo della Regione, dal 2000 al 2010 c’era il forzista Galan supportato dall’allora Lega Nord mentre dal 2015 a oggi c’è Luca Zaia. Insomma appare complicato dire che il Carroccio in tutta questa storia sia stato un semplice spettatore. Come non regge neanche la questione dei fondi da stanziare di cui, ieri, il Capitano si è fatto promotore, annunciando un apposito emendamento, perché fino a prova contraria per 14 mesi è stato vicepremier e ministro dell’Interno del governo gialloverde. Insomma di tempo e modo per agire ne aveva avuto a sufficienza. La realtà è che nel disastro di Venezia la vecchia politica ha nuovamente dimostrato tutti i propri limiti.

Firmato Forza Italia e Lega : Venezia Affonda

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La Lega Nord Padania, governa il Veneto da oltre vent'anni prima con Galan e adesso con Zaia.Bisogna finirla di parlare del modello Lega in questa regione . Da quando la governano hanno provocato solo danni e danni . Mazzette , bustarelle ,malaffare , odio e spinte secessioniste . Il Mose che doveva salvare Venezia , fortemente voluto dalla Lega e da Berlusconi è costato alla collettività 7 miliardi ha peggiorato la situazione , oltre alle mazzette che si sono beccati imprenditori e politici e la cosa bella che ancora lo devono finire dopo 15 anni. Per finire questa mattina Salvini al Senato ha presentato un emendamento cui chiede altri 100 milioni di Euro per Venezia. Dopo tutti i miliardi che si sono mangiati. Perché se accadono in Veneto le cose la colpa è sempre della natura e mai dell' uomo.


L'acqua alta a Venezia non ha risparmiato la Basilica di San Marco, allagata per la sesta volta in 1200 anni. La marea a 127 centimetri ha invaso il Nartece, la parte iniziale della chiesa, sommerso con 70 centimetri d'acqua, con possibili danni ai mattoni e alle colonne dell'edificio oltre ai marmi recentemente sostituiti. E stanotte l'acqua potrebbe salire ancora a 140 centimetri. La procuratoria della Basilica ha già predisposto turni di guardia per difendere la cattedrale, quanto più possibile, dall'eccezionale acqua alta delle ultime ore ...  




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giovedì 14 novembre 2019

Allagata la Basilica di San Marco

Allagata la Basilica di San Marco

Si temono oltre 190 centimetri Marea eccezionale a Venezia, emergenza in Calabria e Puglia Italia sotto attacco del maltempo. L'82% del centro storico di Venezia è ormai sott'acqua. Colpita in particolare la zona del Metapontino e quella jonica lucana. Allarme in Calabria, Puglia e Sicilia. Due le vittime delle intemperie 

A Venezia l'acqua alta ha superato i 180 cm e potrebbe arrivare a oltre 190. Record dal 1966. Il sindaco: "Questa volta è un disastro". Chiesto lo stato di calamità

 Venezia teme che l'acqua alta nella notte arrivi a 190 centimetri. Scuole chiuse a Matera, una tromba d'aria vicino Metaponto. Vento fortissimo, fino a 113 chilometri l'ora in Calabria e 170 millimetri di pioggia in 12 ore. Emergenza anche in Puglia, in particolare nel Salento. Allagamenti nel Brindisino, chiusi parchi e cimiteri. Due le vittime: un anziano nel Barese, colpito da un ramo e una clochard nel Crotonese, morta per il freddo. E' la sintesi della forte ondata di maltempo che sta colpendo l'Italia in queste ore. San Marco sott'acqua L'acqua alta adesso a Venezia fa paura. Secondo il Centro maree è previsto un possibile picco di marea di 190 centimetri verso le ore 23.30. E' la seconda misura della storia, dopo i 198 cm dell'alluvione del 1966. E' quanto si legge in un tweet del Comune di Venezia. 

"Stiamo affrontando una marea più che eccezionale", ha detto il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro sull'emergenza acqua alta a Venezia. Si teme che rispetto ai 148 centimetri sul medio mare delle ore 22 con l'82% della città allagata, ci si avvii a una massima che potrebbe arrivare a 190 cm. Brugnaro, in un tweet dice "tutti mobilitati per gestire l'emergenza: #PoliziaLocale, @infprefve, #ProtezioneCivile del @comunevenezia, @vvfveneto e tutte le forze dell'ordine, 
insieme per #Venezia". 

L'acqua alta ha invaso quasi tutto il centro storico di Venezia e Piazza San Marco, uno dei punti più bassi della città, e ancora una volta non ha risparmiato la Basilica di San Marco. I tecnici della Procuratoria di San Marco temono "danni ai materiali lapidei: mattoni e alle colonne dello storico edificio. E' stato messo in atto un sistema di valvole e di pompe che protegge la basilica fino ad acque alte 80 centimetri, ma poco si può contro acque alte 130 centimetri e più, come quella di oggi". La Procuratoria della Basilica di San Marco di Venezia ha già predisposto turni di guardia fino a tarda notte per difendere la cattedrale, quanto più possibile, 
dall'eccezionale acqua alta che si sta registrando in queste ore.

Il ministro Franceschini "Attendiamo gli esiti del sopralluogo degli ispettori del ministero che avverrà non appena l'attuale fenomeno di acqua alta sarà terminato, ma siamo pronti a finanziare quanto richiesto lo scorso anno dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna per la tutela della Basilica di San Marco". 


La ministra Bellanova "Sto seguendo con grande apprensione le notizie sul maltempo che arrivano dalle regioni meridionali. Leggo di coltivazioni distrutte, di danni ingenti nel metapontino, dei Sassi e del Centro storico di Matera letteralmente invasi dall'acqua e sono vicina alle popolazioni, alle imprese, alle istituzioni locali, ai vigili del fuoco e alla Protezione civile che in queste ore si trovano a fronteggiare l'emergenza. Ho già chiesto ai miei Uffici di mettersi in contatto con le istituzioni regionali e a loro rinnovo la nostra disponibilità e collaborazione nella fase di stima dei danni al settore agricolo e di attivazione dei necessari strumenti di intervento. Ancora una volta verifichiamo la fragilità dei nostri patrimoni territoriali, urbani, storici, e quanto sia urgente intervenire con forza, a tutti i livelli e chiamando a raccolta competenze e saperi, perché il contrasto al dissesto idrogeologico si realizza soltanto attraverso una gestione attiva e sostenibile del territorio, come quella - tra le altre - che può essere assicurata dall'impresa agricola".  


Basilicata in ginocchio E' iniziata la conta dei danni in Basilicata, dopo la tromba d'aria che ha colpito la notte scorsa il Metapontino, la zona jonica lucana, in provincia di Matera. Chiuse le scuole in molti comuni della zona, tra i quali Matera, dove piove ancora. I problemi maggiori sono segnalati tra Policoro, Scanzano Jonico e Montalbano. Oltre cinquanta gli interventi dei Vigili del fuoco di Matera nella zona del Metapontino dove i danni sono ingenti. A Matera sono in corso gli interventi degli operai del Comune per ripristinare i i luoghi danneggiati dalle alluvioni nel centro storico e nei Sassi. Nel Sasso Caveoso la pavimentazione in basolato è stata divelta dalla forza dell'acqua che ha trasportato detriti e fango in piazza San Pietro Caveoso. Allagamenti anche nei locali ipogei che ospitano i negozi di artigianato artistico e i bagni pubblici che si affacciano in piazza Vittorio Veneto. Invasi nella mattinata e poi liberati dall'acqua i sottopassi in via Annibale Maria Di Francia e Villa Longo. In via Marzabotto tre alberi di grosse dimensioni sono stati sradicati dalla furia del vento. Pini caduti anche in varie altre zone della città. Allagati alcuni ambienti dell'ospedale di Matera. Istituzioni presenti "Abbiamo già provveduto a mandare il materiale richiesto", ha detto in conferenza stampa a Potenza il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese sull'emergenza maltempo che in queste ore si è abbattuta sul Materano e nel Metapontino. Lamorgese ha fatto sapere che la prefettura ha messo a disposizione 120 posti letto per Policoro dove ci sarebbero degli sfollati. Il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, insieme ai sindaci di Policoro, Enrico Mascia e di Scanzano Jonico, Raffaello Ripoli ha visitato le zone del disastro dopo aver tenuto una riunione operativa con i vertici della Prefettura e delle forze dell'ordine. Bardi ha assicurato l'impegno della Regione a favore delle zone colpite dal maltempo, affermando che
 "la protezione civile regionale rimarrà in allerta fino a questa notte". 


Puglia, un morto Un anziano di 80 anni, Pasquale Cutecchia, è morto mentre era a piedi vicino al cancello di casa in contrada Malerba ad Altamura (Bari), colpito dal ramo di un albero del proprio giardino spezzato dal forte vento. Sono intervenuti i soccorsi del personale del 118 e dei Carabinieri, giunti sul posto, ma l'anziano è morto sul colpo. Raffiche e forte pioggia hanno colpito oggi molti comuni del Nord Barese, il Salento e altre località della Puglia, con danni ad alcune strutture e scuole chiuse in diversi comuni, a Taranto anche domani. In una nota il deputato barese del Pd, Alberto Losacco, chiede lo stato di calamità a causa di un evento atmosferico eccezionale. E domani in tutta la regione ancora allerta arancione. Le Eolie isolate Eolie isolate, un 'fiume' di pomice ha invaso una strada a Lipari. Interrotti i collegamenti via mare tra il porto di Termoli e le Isole Tremiti (Foggia) a causa del maltempo. La motonave merci e passeggeri "Isola di Capraia" oggi non ha effettuato il viaggio verso le Diomedee rimanendo in porto dove sono stati rinforzati gli ormeggi. La Capitaneria ha emesso un avviso di burrasca, inviato a tutti gli operatori marittimi e portuali, valido fino alla serata che prevede mare mosso e vento di sud-est forza 8. Allerta meteo in Campania prorogata fino a domani  Il maltempo ha causato danni anche a Capri. Le forti raffiche di vento hanno causato il distacco di uno spigolo di cornicione dalla torre campanaria nella celebre Piazzetta, con i calcinacci caduti sulle scale del ristorante sottostante. Il vento ha anche fatto volare parte della copertura del ristorante. Non si registrano feriti. Tragedia sfiorata nello stazionamento dei bus Ctp di Pozzuoli (Napoli), dove il forte vento ha abbattuto un albero che è rovinato su un bus fermo. Tanta paura per l'autista che è stato portato in ospedale per essere sottoposto ai controlli dei sanitari. Sul mezzo c'erano quattro passeggeri in attesa della partenza, tutti illesi. 

La Protezione civile della Regione Campania ha prorogato l'avviso di allerta meteo per vento forte, mare agitato e temporali fino alle 18 di domani su tutto il territorio. Prorogata anche la criticità  idrogeologica di colore giallo per rischio localizzato.  Sicilia, smottamenti e scuole chiuse Tragedia sfiorata a Isnello, nel Palermitano, dove si sono registrati alcuni crolli dal campanile della chiesa. A causa del forte vento è precipitata la croce che si trovava sulla sommità. A Messina diversi alberi sono crollati in pieno centro. I rami hanno danneggiato diverse auto e una persona è rimasta ferita in modo non grave. Scuole chiuse, oggi, in molte città siciliane, compresi i capoluoghi di Catania, Messina, Siracusa e Ragusa. Ma anche grossi centri come Noto, Pozzallo e Caltagirone. Chiuse pure le sedi dell'Università di Catania, incluse quelle di Ragusa e Siracusa, e nella Scuola Superiore di Catania. Chiusi cimiteri e impianti sportivi. Allerta arancione a Palermo come ad Agrigento. La strada statale 113 Settentrionale Sicula è chiusa al traffico in entrambe le direzioni, all'altezza di Gioiosa Marea, in provincia di Messina, a causa del maltempo. Per l’allerta meteo possibili riduzioni del servizio ferroviario sulle linee interne. Mareggiate e allagamenti nel Catanzarese Notte di vento e pioggia, con violente mareggiate lungo la costa, in tutta la provincia di Catanzaro con le condizioni meteo che continuano a creare danni e disagi. Sono queste le criticità a causa della violenta ondata di maltempo che ha portato alla decisione di decretare l’allerta rossa. Sono molti gli allagamenti segnalati lungo tutta la fascia ionica, ma anche a Catanzaro città. Durante la notte, in molti centri della provincia sono stati superati i livelli 2 e 3 di pioggia, con particolare attenzione nella fascia Presolana. Una donna è stata trovata morta questa mattina sulla spiaggia di Marina di Strongoli, nel crotonese, dove si era accampata ieri sera insieme ad un gruppo di clochard. La donna, della quale non si conosce neppure la nazionalità, sarebbe morta per cause naturali ma quasi certamente le sono state fatali le cattive condizioni del tempo. Sul posto sono giunti i carabinieri per i rilievi mentre la Procura della Repubblica di Crotone ha disposto l'esame autoptico.   

 Allerta mareggiate. Particolare attenzione è rivolta alle zone a ridosso del litorale, dove si segnalano violente mareggiate. I centralini dei vigili del fuoco, e quelli delle forze di Polizia, sono stati tempestati da richieste di intervento. Aperti i Centri operativi comunali di tutti i Comuni, mentre la Prefettura di Catanzaro sta seguendo l'evoluzione degli eventi. Tromba d'aria in Ciociaria?Disagi per il maltempo in provincia di Frosinone con forti precipitazioni accompagnate da raffiche di vento che hanno causato non pochi problemi in molte zone del Frusinate. Numerosi gli alberi caduti e che hanno richiesto l'intervento di vigili del fuoco e protezione civile. Una tromba d'aria ha causato danni nel nord della Ciociaria al confine con la provincia di Roma. Disagi anche sulla linea ferroviaria Roma-Cassino dove la circolazione è rimasta rallentata per un guasto tra Morolo e Anagni. I treni hanno accusato ritardi di venti minuti. 



Notte di paura a Venezia per l’acqua alta, oggi un’altra super marea. Il sindaco:   “E’ un disastro”. Due i morti.  Raggiunti ieri i 197 centimetri: solo nel 1966 una situazione peggiore. Due vittime nell’isola di Pellestrina. Brugnaro chiede lo stato di calamità.  Il Mose , la Salerno Reggio Calabria veneta.  Mose: il taglio del nastro della grande opera per la salvaguardia di VENEZIA dalle acque alte continua a slittare. «Mancano ancora 15 paratie». Poi ci saranno 3 anni di collaudo e i lavori di messa a punto della struttura. Storia di un cantiere infinito.

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Acqua Alta a Venezia

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Allagata la Basilica di San Marco: sommerso il Nartece 
È la sesta volta in 1200 anni. Danni ai mattoni e alle colonne dell'edificio .

 L'acqua alta a Venezia non ha risparmiato la Basilica di San Marco, allagata per la sesta volta in 1200 anni. La marea a 127 centimetri ha invaso il Nartece, la parte iniziale della chiesa, sommerso con 70 centimetri d'acqua, con possibili danni ai mattoni e alle colonne dell'edificio oltre ai marmi recentemente sostituiti. E stanotte l'acqua potrebbe salire ancora a 140 centimetri. La procuratoria della Basilica ha già predisposto turni di guardia per difendere la cattedrale, quanto più possibile, dall'eccezionale acqua alta delle ultime ore .  

Il nartece, già inondato e danneggiato lo scorso anno, viene allagato da maree superiori ai 110 cm ma fino a 150 cm resta al sicuro il resto della Basilica, la parte dedicata alle funzioni religiose e al culto. Esiste un sistema di protezione dall'acqua, che, in casi come questo, risale dai tombini e dagli scoli, ma è in grado di proteggere la Chiesa solo con maree inferiori agli 85 centimetri. 


 "Noi cerchiamo di limitare il danno - ha precisato Pierpaolo Campostrini, Procuratore della Basilica - ma non abbiamo sistemi di difesa quando l'acqua è così alta, se non parziali e in alcune zone, per esempio nella cappella Zen con paratie mobili; abbiamo altri strumenti di difesa passiva con paratoie che sono state spostate e adeguate, e con pompe in funzione. Però questo è largamente insufficiente quando l'acqua è a quell'altezza". 


 Per quanto riguarda il nartece, l'allagamento "genera danni per capillarità" nei mattoni - ha spiegato Campostrini. "Un terremoto o un crollo di un edificio sono evidenti, ma un'invasione mareale ripetuta come questa accresce il danno che è subdolo, perché nascosto. L'acqua va via ed evapora, ma il sale rimane dentro". Per il nuovo picco previsto questa notte, Campostrini ha detto che "il Proto starà stanotte in Basilica con le nostre maestranze finché l'acqua non scende. Le previsioni hanno una loro incertezza, le cose potrebbero andare meglio ma anche peggio, quindi il monitoraggio visivo deve essere continuo. Faremo quel che possiamo fare in attesa che lo Stato adempia alle sue promesse, il che vuol dire il Mose e l'impermeabilizzazione della piazza", ha detto, "anche perché il tempo non è una variabile indipendente, una protezione tra 10 anni non è la stessa cosa che averla domani, e l'invecchiamento della basilica ad ogni acqua alta aumenta".   


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martedì 12 novembre 2019

Bolivia : Esportatore di Litio nel Mondo

Il miracolo economico del   socialismo indigeno di Evo Morale   che guarda alla green economy


Il miracolo economico del 
socialismo indigeno di Evo Morale
 che guarda alla green economy



Il vicepresidente della Bolivia, Álvaro García Linera, ha detto in un’intervista concessa a Patria Nueva e Btv che «Con l’incremento dell’industria dello sfruttamento del litio nei salares di Pastos Grandes y Uyuni (Potosí) e Coipasa (Oruro), questa nazione diventerà la prima potenza di esportazione di questo metallo. Questo rivoluzionerà il mondo scientifico boliviano, rivoluzionerà l’industria boliviana, le entrate della Bolivia, questo non è un sogno, abbiamo appena iniziato». L’investimento previsto è di 740 milioni di dollari

E la Bolivia punta a diventare un Paese industriale della green economy, con la costituzione di una joint venture tra lo Stato plurinazionale boliviano  e un consorzio tedesco per la realizzazione di impianti di idrossido di litio, solfato di potassio, idrossido di magnesio, solfato di sodio, catodi e batterie, con un investimento previsto in circa 1,2 miliardi di dollari.

E’ previsto anche un investimento da 2,3 miliardi di dollari per produrre, solfato di potassio, acido borico, bromuro di sodio, carbonato di litio idrogeno e cloruro di litio e litio metallico nei salares di Pastos Grandes e Coipasa .

García Linera ha ricordato che il 50% delle riserve mondiali di litio si trovano in Bolivia e che entro 3 anni quello che era il più povero Paese sudamericano diventerà il numero uno al mondo per la produzione di litio: «Con i soli Pastos Grandes e Coipasa, calcoliamo che i guadagni per la Bolivia saranno di un miliardo di dollari, in più c’è Uyuni, facilmente, il litio, a prezzi bassi,
 darà 2,5 miliardi di dollari di profitti».

Se gli altri governi di sinistra dell’America Latina sono assediati dalle destre e stanno sprofondando, come il Nicaragua. in una mutazione familistica e reazionaria di un sogno di giustizia e libertà, o come il Venezuela in una crisi di un modello clientelare basato sullo sfruttamento del petrolio, la Bolivia del socialismo indigeno di Evo Morales sembra in buona salute e segna performances economiche invidiabili. Come ha detto Garcia Linera, «La Bolivia di ieri era quella dell’arretratezza, della povertà assoluta e della stagnazione; la Bolivia di oggi guarda al progresso, che, con grande entusiasmo, sta creando benessere; Abbiamo smesso di essere un Paese povero per diventare un Paese a reddito medio. Ci sono ancora molti bisogni, ma abbiamo fatto passi da gigante e, se continueremo su questo trend di progressi, in circa 8 anni avremo un reddito simile a quello del Cile o dell’Argentina. Queste sono conquiste di tutti boliviani perché il cambiamento è stato fatto grazie alla lotta di tutta la popolazione del Paese».

Il vicepresidente boliviano ha sottolineato che «La Bolivia è, per il sesto anno, cinque consecutivi, il campione” dell’economia continentale con la più alta crescita economica in America Latina, il 4,5%. Questa non è una coincidenza (…) La Bolivia ancora una volta il campione sudamericano in economia e il segreto della crescita è una miscela di quattro cose: mercato interno, mercato esterno, distribuzione della ricchezza e ruolo dello Stato nell’economia. Questo modello economico, costruito con così tanto sforzo, deve essere mantenuto perché è un modello vincente, abbiamo battuto tutti i vicini; dobbiamo preservare queste quattro caratteristiche 
che ci ha permesso di raggiungere i risultati attuali».

Il Paese andino in pieno boom economico ha un debito estero basso: il  23%, in rapporto al Pil perché il balzo in aventi della Bolivia socialista è impressionante per un Paese in via di sviluppo: l’economia del Paese è passata dai 9,5 miliardi di dollari del  2005 ai 40,8 miliardi di dollari, oltre il 400% in più, e García Linera può tranquillamente affermare che «Questo non è mai accaduto in Bolivia, è un miracolo economico (…) che cambierà il panorama geopolitico del continente e cambierà la posizione della Bolivia di fronte al Cile, l’economia è quella che decide se si può parlare in condizioni uguali». Il vicepresidente si riferisce alla rivendicazione della Bolivia di un accesso al mare con il recupero di una parte del territorio perso in una vecchia guerra.

Inoltre, in Bolivia sono state trovate nuove riserve di idrocarburi per 10 trilioni di piedi cubici, per un valore di circa 70 miliardi di dollari e il governo dice che non si seguirà la strada fallimentare del Venezuela ma quella della Norvegia: queste entrate verranno investite per garantire il benessere delle generazioni future. Inoltre la Bolivia ora si potrà permettere di importare meno gas e Garcia Linera ha annunciato che «La Bolivia sta battendo un record continentale perché ha perforato fino a  7.800 metri di profondità e, se la Pachamama  sarà generosa con il Paese, troveremo idrocarburi».

Prima che Evo Morales diventasse presidente della Bolivia, l’azienda petrolifera di Stato Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos (Ypfb) valeva 100 milioni di dollari, ora vale 15 miliardi di dollari e sta  aprendo altri mercati «L’industrializzazione del gas che si sviluppa in Bolivia  dalle mani di un presidente contadino», ha riassunto  García Linera  che poi ha vantato un altro risultato: «La produzione di etanolo, che consente l’uso di questo biocarburante per evitare la contaminazione, che si ottiene mescolando benzina con l’alcol proveniente dalla canna da zucchero, che è viene praticata in altri Paesi da più di 30 anni. Questa è una rivoluzione perché l’etanolo permetterà all’economia di crescere dell’1% in più, la crescita agricola sarà di 4 punti, la crescita dell’industria di quasi 0,7 punti, smetteremo di sovvenzionarla con 143 milioni di dollari perché non compreremo più additivi dall’estero, la Ypfb migliorerà le sue entrate di 300 milioni, produrrà 27 mila nuovi posti di lavoro nell’industria, nella distribuzione, nell’agricoltura; sostituiremo 80 milioni di litri di benzina importata, le colture di canna da zucchero saranno aumentate del 38% e smetteremo di emettere il 6% di gas serra. E’ un grande traguardo per l’economia boliviana: risparmia denaro, genera occupazione, espande l’agricoltura, è rispettosa dell’ambiente e farà crescere l’economia». Grazie a questo, nel  2019 la Bolivia potrebbe smettere completamente di importare biodiesel da olio di soia e olio di palma coltivato in Amazzonia.

A questo si aggiunge che la Bolivia sta aumentando fortemente la produzione di energia rinnovabile  eolica, solare, geotermica e idroelettrica e geotermica per sostituire l’uso di gas: «Dell’energia totale prodotta, il 12%, lo facciamo con le energie alternative, il nostro obiettivo è che queste, fino al 2025, saliranno al  50%», ha detto il vicepresidente.

Il socialismo boliviano punta a migliorare i guadagni delle micro, piccole e medie imprese, anche sovvenzionando il consumo di energia elettrica, garantendo il rifornimento di gas, di acqua e altri benefit. Il  miracolo economico del socialismo indigeno si riflette anche  sul risparmio interno e nel miglioramento delle condizioni di vita delle persone  che sono sempre più in grado di accedere al credito per comprarsi una casa.

Una crescita che va anche a vantaggio dell’agricoltura, la cui produzione è cresciuta a 13,6 milioni di tonnellate su 2,5 milioni di ettari di terreno coltivato, ma si prevede un aumento di mezzo milione di ettari all’anno. Morales ha chiesto ai boliviani di produrre più cibo per far crescere una società sana e per le esportazioni che vanno a beneficio dell’economia nazionale.Álvaro García Linera ha concluso: «L’’agricoltura ha mercato, si stanno aprendo mercati e scommettere in una maggiore produzione è una buona scommessa e vogliamo incrementarla molto di più».



Morales è un ex raccoglitore di coca ed è stato il primo boliviano di origine indio a essere eletto presidente. Era al potere da quattordici anni, quando vinse le elezioni per la prima volta: sotto la sua guida, la Bolivia ha attraversato un periodo di grande sviluppo in cui aumentò il PIL e si ridusse drasticamente la povertà, con grandi benefici soprattutto per le famiglie più povere che videro diminuire nettamente le diseguaglianze...


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Metalli Rari e il Costo Nascosto della Transizione Ecologica

Metalli Rari e il Costo Nascosto della Transizione Ecologica


Un viaggio tra deindustrializzazione
 europea e sovranismo, e ritorno

Nulla cambierà radicalmente finché 
non sperimenteremo 
sotto le nostre finestre 
il costo complessivo della nostra Felicità Standard


di Luca Aterini


La più grande speranza dell’Europa e la sua maggiore fonte di destabilizzazione interna, ben rappresentate dall’Onda verde e dai partiti sovranisti nell’ultima tornata elettorale, trovano un punto di contatto inaspettato: i metalli rari, ovvero l’ossatura invisibile delle nostre società moderne. Hanno nomi strani o mai sentiti, come promezio, vanadio o lutezio, ma le loro eccezionali proprietà chimiche, catalitiche e ottiche li rendono indispensabili per un ventaglio enorme di tecnologie verdi e digitali; basta prendere in mano lo smartphone che teniamo in tasca per averli quasi tutti in pugno. E se non lo sappiamo è perché la loro produzione è scarsa, inquinante e (dunque) lontana dai nostri occhi: da sola, la Cina sforna oggi fino al 99% delle terre rare – ovvero 17 elementi dei più rari tra i metalli rari. Alla faccia del sovranismo di chi fa propaganda a colpi di selfie dal suo tutt’altro che indigeno cellulare, cavalcando la frustrazione di una società impoverita da anni di deindustrializzazione e disuguaglianze.

Il giornalista e documentarista francese Guillaume Pitron è andato da La Rochelle, in Francia – dove vent’anni fa si produceva ogni anno il 50% del mercato mondiale delle terre rare – a Baotou (Mongolia interna), ovvero la moderna capitale del settore, prima di pubblicare il suo La guerra dei metalli rari (Luiss university press, 2019), dove mette a fuoco il lato oscuro della transizione energetica e digitale in corso.

Metalli Rari e il Costo Nascosto della Transizione Ecologica


I metalli rari sono arrivati alla ribalta delle nostre società a partire dagli anni ’70, e sono destinati a rivoluzionare i prossimi decenni sia dal punto di vista tecnologico sia da quello geopolitico. Se ne estraggono dal sottosuolo pochissime quantità, e farlo richiede ancora oggi processi tutt’altro che a impatto zero: per 1 kg di lutezio occorre raffinare 200 t di roccia, la differenza tra le due cifre sono i rifiuti speciali da smaltire. Senza contare il consumo di acqua e la radioattività, con Baotou che arriva ad essere due volte più radioattiva della Chernobyl di oggi. Eppure senza terre rare non ci sarebbero le moderne batterie, e lo stesso vale per la tecnologia necessaria ad energie rinnovabili come il solare o l’eolico, che a parità di produzione elettrica richiedono inoltre molte più risorse di base – rame, ferro, vetro, cemento – dei combustibili tradizionali.

La produzione di metalli rari dunque è brutta, sporca e cattiva (le famose esternalità negative) e all’elettorato non piace; sotto la pressione dei propri cittadini sia l’Europa sia gli Usa hanno preferito rinunciare alla propria sovranità mineraria passandola alla Cina – che ha pagato in termini di enormi impatti ambientali –, assicurando al Paese le tecnologie e il mercato necessari a raggiungere la leadership assoluta nel settore. Un atteggiamento sintomatico della deindustrializzazione dell’Occidente, che non ha ancora fatto i conti fino in fondo con i costi nascosti – sociali e ambientali – del suo stile di vita. Mentre lungo la Rust belt americana che ha portato Trump alla Casa Bianca le industrie e miniere chiudevano lo stesso accadeva nell’Europa spazzata oggi dallo stesso vento sovranista, alimentato da una classe media impoverita,
 impaurita dalla globalizzazione e delusa dai propri leader.

Metalli Rari e il Costo Nascosto della Transizione Ecologica

Metalli Rari e il Costo Nascosto della Transizione Ecologica


Un errore che l’Occidente rischia di scontare a lungo. L’embargo sulle terre rare imposto dall’Impero di mezzo nel 2010 ha dato il via ad una caccia internazionale per trovare giacimenti alternativi, ma poi il prezzo è inspiegabilmente crollato; è plausibile che la Cina, in assoluto il più importante player sul mercato, tenga i rubinetti delle terre rare aperti e i prezzi bassi in modo da lasciare sul lastrico gli altrui nuovi giacimenti, per poi acquistarli per pochi yen e consolidare il proprio predominio. Pechino è in grado di ragionare a lungo termine, mentre l’Occidente si scopre ancora una volta indebolito dalla sua caccia al profitto nel breve.

Ma cambiare rotta ormai è imprescindibile. È infatti ciclopica la quantità di risorse minerarie per mantenere il ritmo necessario alla lotta contro i cambiamenti climatici: per soddisfare i bisogni mondiali da qui al 2050 si stima che dovremo tirare fuori dal sottosuolo più metalli di quanti l’umanità ne abbia estratti dalla sua origine. Dunque consumeremo più risorse in 30 anni che nelle ultime decine di migliaia. Mentre i sovranisti pensano ai selfie, c’è un disperato bisogno di una politica industriale dedicata per riuscire a conquistare almeno in parte il sovranismo minerario di cui abbiamo bisogno per metterci al riparo dalle crescenti tensioni geopolitiche, e questo per l’Italia – da sempre un Paese povero di materie prime – può avvenire solo in un’ottica europea.

Paesi come la Francia, sia continentale sia d’Oltremare (compresi paradisi naturali minacciati dai cambiamenti climatici come Thaiti, Wallis e Futuna) hanno carte molto importanti da giocare nella battaglia delle miniere; le potenzialità nell’ambito del riciclo nelle miniere urbane dei rifiuti elettrici ed elettronici, guidate dall’Ue, andranno esplorate appieno ovunque. Guardando ancora più avanti, il Lussemburgo nel 2016 ha lanciato la prima iniziativa europea per promuovere un quadro legale favorevole allo sfruttamento degli asteroidi; rimanendo invece coi piedi per terra sarà prima necessario sfidare anche le ormai radicate sindromi Nimby e Nimto per riattivare alcuni giacimenti in Europa – si tratta di guardare al futuro della green economy, non al passato dei combustibili fossili –, e fare finalmente i conti con i costi del “progresso” in casa propria. «Nulla cambierà radicalmente finché non sperimenteremo sotto le nostre finestre il costo complessivo della nostra felicità standard – osserva Pitron – Una miniera responsabile dalle nostre parti sarà sempre meglio di una miniera irresponsabile altrove». Ci darebbe una mano a capire che anche la transizione ecologica non è un pasto gratis, mentre lo sfruttamento eccessivo di qualsiasi risorsa rimane 
una condanna: occorrerà sobrietà, più che decrescita.


Come Rendere Operativa la Sostenibilità



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