cambio nei nostri stili alimentari.
La produzione di carne a livello globale è raddoppiata dagli anni ’70,
specie grazie ai sistemi di allevamento intensivo che gestiscono gli
animali come prodotti industriali inanimati. Nell’ultimo trentennio
l’allevamento di polli è cresciuto di sei volte, i suini si sono
triplicati e i bovini raddoppiati. Ogni anno nel mondo si macellano
circa 56 miliardi di animali terrestri a fronte di una popolazione di
6,8 miliardi di persone e, secondo la Fao, in uno scenario
business-as-usual la produzione e il consumo di carne potrebbero
crescere del 73% entro il 2050.
In Italia il consumo medio
annuale di carne è di 87,5 kg procapite mentre negli Stati Uniti si
stima intorno ai 122,8 kg, il più alto nel mondo. Tutto questo ha, però,
un costo molto alto in termini di impatti ambientali; oggi il sistema
zootecnico mondiale sfrutta circa il 30% delle terre emerse sul Pianeta e
il 70% delle aree agricole mondiali e il “prodotto” carne è un
inquinante potente per i terreni, il clima, le acque e l’atmosfera,
oltre che un veicolo di deforestazione e perdita della biodiversità.
Inoltre la carne di oggi è un prodotto globalizzato, veicolo di epidemie
che colpiscono gli animali e l’uomo.
In Europa tutto questo
avviene a spese della collettività, tramite sussidi europei e nazionali
che incentivano la produzione di carne e garantiscono il basso costo al
consumo, più basso di frutta e verdura. I sussidi della Politica Comune
Agricola Europea (Pac) ai diversi settori coinvolti nella produzione
della carne, latte e latticini ammontano a centinaia di euro all’anno.
Aiuti a un sistema inefficiente
In occasione del processo di riforma della Pac per il periodo
2014-2020, lo scorso giugno l’Associazione di protezione animali Lav (
www.lav.it) ha pubblicato il rapporto “I costi reali del ciclo di produzione della carne” (scaricabile su:
www.lav.it/index.php?id=1940),
che analizza gli impatti ambientali, economici e sanitari della
produzione di carne, utilizzando dati provenienti da recenti studi
internazionali. «La produzione di carne è un sistema inefficiente, che
trasforma una moltitudine di alimenti a base vegetale in una quantità
estremamente limitata di alimenti di origine animale, riversando sui
cittadini gli alti costi diretti e indiretti legati agli impatti
ecologici, sanitari e veterinari», sostiene Roberto Bennati,
vicepresidente Lav.
«La crescita esponenziale della produzione
di carne è incentivata da sussidi governativi e dall’utilizzo di sistemi
di allevamento intensivo che confinano gli animali in spazi chiusi e
limitati, utilizzano antibiotici per prevenire e curare le infezioni
animali e importano mangimi su vasta scala da Paesi extra-europei,
indirettamente incentivando la deforestazione e l’uso di fertilizzanti e
pesticidi. In termini di costi diretti e indiretti (legati agli impatti
ambientali, sanitari e veterinari) la carne è probabilmente il prodotto
agro-alimentare più caro sul mercato globale».
La produzione
Il ciclo di produzione della carne include molteplici attività. Inizia
con l’occupazione di suolo per i mangimi per animali e finisce con la
vendita della carne da servire sul piatto del consumatore. Nel mezzo ci
sono: la coltivazione di mangimi; il trasporto dei mangimi;
l’allevamento degli animali, il trasporto degli animali, l’uccisione e
macellazione degli animali; il trasporto della carne; il suo imballaggio
e distribuzione. Nella maggior parte dei casi le attività coinvolte nel
ciclo di produzione avvengono in diversi Paesi europei ed
extra-europei.
Il trasporto gioca un ruolo essenziale per lo
svolgimento del ciclo di produzione: l’Unione Europea è il più grande
importatore di mangimi al mondo, specie soia e grano. Infatti la
produzione di mangimi e l’allevamento occupano circa l’80% delle terre
agricole mondiali contro l’8% utilizzato per prodotti destinati a
consumo umano, è necessario quindi ricorrere a larghe estensioni in
Sud-America e Asia per l’approvvigionamento di mangimi; nell’Unione
Europea gli animali sono trasportati spesso per giorni da un paese
all’altro per l’ingrasso e la macellazione, e moltissimi animali vengono
inviati in paesi extra-europei per essere macellati lì, in Russia,
Medio-Oriente e altri paesi. I cosiddetti “viaggi della morte” seguono
delle logiche legate agli incentivi e all’economia globale. Si calcola
che più di 18 milioni di animali vivi siano trasportati, anche su lunghe
distanze, ogni anno nell’Unione Europea.
I costi ambientali…
La produzione di carne è responsabile di una quota tra il 18% e il 51%
delle emissioni di gas serra mondiali e in Europa di circa il 12,8%; si
può quindi concludere che, essendo una fonte importante di emissioni di
CO2, la produzione di carne stia frenando gli sforzi internazionali di
lotta al cambiamento climatico.
Diversi studi internazionali
raccomandano di sostituire il più possibile il consumo di proteine
animali con quelle di origine vegetale, al fine di abbattere le
emissioni di gas serra. Si è stimato che la produzione di 1 kg di carne
di manzo emetta le stessa CO2 di un’automobile media guidata per 250 km,
addizionata all’utilizzo di una lampadina da 100 watt per 20 giorni
consecutivi. Secondo uno studio della Commissione Europea del 2008 il
consumo di carne e prodotti lattiero-caseari produrrebbe un impatto
ambientale del 24% rispetto al totale dei prodotti consumati nell’Unione
Europea: 250 miliardi di euro se tradotto in termini monetari.
Gli effetti considerati, oltre alle emissioni di gas serra, sono:
l’acidificazione e l’inquinamento delle acque, sfruttamento delle
risorse naturali e inquinamento atmosferico. Il sistema di produzione
della carne utilizza, infatti, enormi quantità di acqua e inquinanti
come concimi azotati e pesticidi; lo spandimento dei liquami animali e
l’erosione del suolo dovuto ai nitrati sono responsabili di circa il 50%
- 80% dell’inquinamento delle acque. Lo studio calcola che la carne
bovina abbia un impatto ambientale da 4 a 8 volte superiore a quello del
pollame e 5 volte superiore a quella dei suini.
La produzione
di carne necessita inoltre di ampie quantità di acqua: la produzione di
0,2 kg di carne di bovino si può tradurre nell’utilizzo di 25 mila litri
di acqua (Agenzia Europea per l’Ambiente, 2005). L’acqua viene
utilizzata in varie fasi del ciclo di produzione della carne
(irrigazione dei campi per produrre i mangimi, pulizia delle
installazioni, pulizia delle carcasse animali) e per esempio un bovino
adulto può bere tra i 30 e 50 litri di acqua al giorno mentre un suino
fino a 10 litri.
Gli impatti veterinari e sanitari
Le
emergenze veterinarie e sanitarie legate alla produzione di carne sono
costose: ad esempio si calcola che in Italia l’allarme virus della
“mucca pazza” tra il 2001 e il 2007 sia costato 443 milioni di euro di
cui circa la metà solo per la distruzione delle carcasse bovine. Le
perdite finanziarie globali legate al virus della mucca pazza si stimano
invece a 20 miliardi di dollari. La diffusione dell’influenza aviaria
(AH5N1) nel mondo nel periodo 1999-2004 ha portato alla soppressione di
220 milioni di uccelli e alla morte di più di 60 persone. «In Europa
attualmente la maggior parte degli animali destinati alla produzione di
carne viene gestita come prodotti inanimati, veri e propri “prodotti”, e
tutto ciò nonostante il Trattato Europeo riconosca tutti gli animali
come esseri senzienti, e obblighi a mettere in pratica le misure
necessarie al loro benessere. Gli allevamenti intensivi che rinchiudono
una grande quantità di animali in piccoli spazi si prestano ad essere
facili vettori di epidemie», sottolinea Paola Segurini, responsabile
vegetarianismo della Lav.
Il ruolo del consumatore
Tranne
alcune eccezioni le etichette non rilevano gli impatti ambientali del
metodo di produzione della carne né da quali allevamenti l’animale
provenga o per quanti km e ore sia stato trasportato, quindi la
possibilità che il consumatore influenzi il mercato è molto limitata.
L’unica certezza si applica ai prodotti biologici che specificano il
metodo di allevamento, regolamentato e monitorato secondo normativa
europea anche se per quanto riguarda il trasporto non ci sono
informazioni specifiche. Inoltre, a seguito della diffusione del virus
della mucca pazza, un’etichettatura e tracciabilità, poco comprensibile
ai consumatori, è anche prevista per la carne bovina. Le sofferenze
delle centinaia di animali rinchiusi in allevamenti industriali non sono
neanche deducibili dall’etichetta.
La politica agricola del futuro
La Lav ha elaborato un decalogo per una nuova politica agricola
sostenibile europea per il periodo 2014-2020. Esso prevede, tra l’altro,
il supporto finanziario alla produzione di proteine vegetali come
sostituto progressivo alle proteine animali, l’abolizione degli
allevamenti intensivi, la revoca dei sussidi alla produzione di carne,
l’introduzione di una tassa sulle emissioni di CO2 provenienti dalle
attività del ciclo di produzione della carne e l’introduzione di una
normativa sull’etichettatura e la tracciabilità di tutti i tipi di carne
e che specifichi il metodo di allevamento utilizzato, i luoghi di
provenienza e le distanze percorse dagli animali, la promozione di alti
standard di benessere e salute animale in tutti gli allevamenti.
Fonte: Valori (Rivista)