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domenica 10 maggio 2009

Grandi opere

Un pianeta da difendere
di Mario Tozzi
primo ricercatore Cnr - Igag
e conduttore televisivo

Grandi opere
Ma le idee sono davvero piccole

Lo abbiamo detto più volte: in tempi di crisi economica il prezzo lo pagano gli uomini più poveri e l’ambiente: è stato sempre così e sempre lo sarà, almeno a considerare la situazione italiana. In un momento in cui bisognerebbe pensare alle piccole opere diffuse, alla difesa del territorio contro i rischi naturali, all’economia legata all’ecologia, ecco che il governo italiano tira fuori l’asso dalla manica: 18 miliardi di euro per grandissime opere e un nuovo condono edilizio, seppure opportunamente mascherato e nascosto. L’opera simbolo è il ponte sullo stretto di Messina che sarà il ponte a campata unica più lungo mai realizzato dall’uomo (oltre 3.500 m) e, nello stesso tempo, il collegamento di cui meno c’è bisogno nel nostro disastrato paese. Per quello che ne sappiamo dovrebbero essere i privati a pagare l’ammontare intero dell’opera (arrivato a oltre 6 miliardi di euro), ma come potrà mai essere remunerata, in tempi ragionevoli, quando gli stessi progettisti ne prevedevano una qualche redditività solo con un pil in crescita di almeno il 3% annuo (oggi siamo a -2,5% all’anno)? E a che servirà un superponte come quello, quando la rete stradale e ferroviaria siciliana e calabrese è ancora ferma all’anteguerra? Il ponte piace in ragione inversa della sua vicinanza allo stretto: nessun messinese o reggino ne può esserte contento, non solo per via dell’impatto paesaggistico, ma anche perché - qualora se ne volesse servire - dovrebbe prendere l’auto (che non prenderebbe altrimenti), farsi mezz’ora di strada, attraversare il ponte e poi fare ancora mezz’ora per rientare nell’altra città: sono 12.000 i pendolari dello stretto cui il ponte non servirà granché. Se quei soldi fossero pubblici sarebbe poi ancora peggio, perché quella è la zona in cui ci sarà il nostro prossimo terremoto disastroso e ha solo il 25% delle abitazioni antisismiche: a che servirà un ponte così lungo? Il ponte reggerà a un terremoto 7,1 Richter, ma sismi molto meno violenti raderanno comunque al suolo le città dello stretto e sarebbe una distrazione imperdonabile lasciare così le cose in caso di finanziamento pubblico. Terremoti violenti metterebbero in moto grandi frane a scivolamento profondo che potrebbero interessare i piloni stessi del ponte, però nessuno studio su questo aspetto è stato ancora commissionato. Progettazione carente, scarsa utilità, distrazione di fondi, rischio idrogeologico, il tutto per un’opera mai tentata prima al mondo. Il tutto quando un siciliano esce dalla sua isola, in media, una sola volta ogni dieci anni, e quando gli aerei low-cost e le navi hanno già preso il posto di treno e auto. Sul ponte si ipotizza un traffico veicolare che, se davvero fosse realizzato, trasformerebbe un’area straordinaria in un incubo di metallo. Non siamo più nel dopoguerra e le infrastrutture dovrebbero assecondare lo sviluppo, non guidarlo, a meno che non si tratti, in realtà, di grandi opere, ma di megalomania senza fine.


Mario Tozzi

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