I raccoglitori di plastica di Kinshasa
"Un chilo di buste di plastica per un dollaro" è la campagna lanciata dal partito ecologista congolese, che in un mese ha portato alla racolta di 15 tonnellate di sacchetti non biodegradabili
scritto per noi da
Chiara Pracchi
Per le vie di Kishasa una capra bruca l'erba in mezzo alla spazzatura. Imoita Mbala, il suo padrone, non pensa che questa sia una cosa negativa, perché lì in mezzo - dice - si trova il cibo migliore. Ma a Kinshasa la spazzatura innonda tutte le vie e i corsi d'acqua. Si affastella sotto ponti, nelle condutture e nelle fogne a cielo aperto, che corrono lungo le strade. Ogni acquazzone trasforma la città in un immenso pantano di rifiuti ed escrementi tracimanti. Le case si riempiono di sporcizia e topi.
Quando non piove un odore acre copre la città. E' il fumo nero e grasso della plastica bruciata che si attacca ovunque. E' la diossina che sia alza dai mille comuli di immondizia, incenerita ai lati della strada.
A Kinshasa l'aspettativa di vita, in discesa costante da mezzo secolo, è di soli 44 anni. E il rischio di morire per carenze sanitarie è cinquecento volte più alto che in Europa.
Kin-la-belle, Kinshasa la bella come era soprannominata un tempo, o Kin-la-poubelle, la pattumiera, come viene chiamata oggi, è una città da 10 milioni di abitanti, in crescita vorticosa. Insieme con Brazaville, la capitale politica della Repubblica che sorge dall'altra parte del fiume, potrebbe arrivare ad ospitare 25 milioni di persone entro il 2020. Intorno al centro politico e commerciale, la città è cresciuta come un'ininterrotta serie di villaggi, privi di infrastrutture e servizi, dove si ammassano ogni giorno 250 tonnellate di rifiuti solidi urbani: un quantitativo ridicolo se confrontato con quelli occidentali, ma un problema enorme in mancanza di strutture di smaltimento e riciclaggio. Nel 2004, all'epoca di una delle prime campagne per la pulizia delle strade, la città disponeva solo di tre camion per l'immondizia: il resto della raccolta veniva fatto con le carriole rosse del comune.
"Un chilo di buste di plastica per un dollaro" è la campagna avviata, nel maggio scorso, dal Partito ecologista congolese (Peco). In un Paese potenzialmente ricchissimo, dove 58 milioni di abitanti vivono sotto la soglia della povertà e i pochi fortunati che hanno un lavoro stabile guadagnano meno di due euro al giorno, la gente ha dovuto imparare l'arte di cavarsela in qualche modo, di vivere di espedienti e piccoli lavoretti. Come raccogliere sacchetti di plastica.
In realtà, a dispetto dello slogan, la società privata che si occupa del progetto paga solo un quarto di dollaro per ogni chilo di borse di plastica, ma questo non ha fatto desistere le oltre 200 mila persone che hanno aderito all'iniziativa e che in un mese hanno raccolto quasi 15 tonnellate di sacchetti non biodegradabili. Con orgoglio, il 15 luglio scorso, Leonard Mwamba Kanda, leader del Peco, ne ha annunciato il successo all'agenzia di stampa congolese Acp. Forte di questo risultato e degli oltre 50 mila aderenti in città, che diventano 150 mila nella provincia di Bandundu, il Peco ha solleciato l'impegno del governo per porre fine al problema dei sacchetti di plastica definitivamente.
Nel 2008 il governo era già intervenuto, stanziando 6 miliardi di franchi congolesi per dare in gestione ad una società mista, congolese-tedesca, lo smaltimento e il riciclaggio dei rifiuti. Un'operazione "pulizia" che avrebbe dovuto allargarsi alla sostituzione dei veccchi mezzi di trasporto pubblico inquinanti e alla riqualificazione della rete idrica ed elettrica, ma che, stando alla denuncia della vice presidene del Peco, Lina Pembe Bokanga, avrebbe portato solo all'abbattimento degli alberi del Boulevard 30 giugno. Con un ricavo di oltre due milioni di dollari per i commercianti di legname.
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