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Un'intervista di Qualenergia.it al metereologo Luca Mercalli.
Professor Mercalli, i dati che arrivano dalla climatologia e le valutazioni che ne traggono scienziati ed economisti trasmettono sempre di più l’urgenza di agire, la percezione della gravità della questione però non sembra essere arrivata all’opinione pubblica e nemmeno alla politica. Come si spiega il permanere di questo scollamento e come lo si può risolvere?
In Italia c’è una gravissima lacuna culturale per quel che riguarda le questioni ambientali. Io sono riuscito a parlare di cambiamento climatico, solamente per alcuni minuti a settimana, usando un espediente “a cavallo di troia”, cioè infilando, pian piano negli anni, il discorso clima nelle previsioni del tempo che facevo, prima a “Che tempo che fa” e poi a “TGR Montagne”. L’ulteriore passo che sto facendo, da dilettante, visto che non è il mio lavoro, è aprire i miei orizzonti alle cose che si possono fare per affrontare il problema. Da un lato si tratta di costruire la consapevolezza dei problemi ambientali – clima ma non solo – dall’altra indicare una via d’uscita, dare delle ricette alle persone per consentire loro di impegnarsi in prima persona. Sicuramente l’edilizia sostenibile è uno dei modi più semplici per far vedere alla gente quel che si può fare. Le case sono spesso colabrodi energetici e tappare i buchi fa risparmiare soldi oltre che tagliare le emissioni. Io insisto molto più sull’aspetto economico che su quello climatico quando parlo di questo. Non si capisce perché nonostante i vantaggi di introdurre una rivoluzione nel nostro modo di abitare non si riesce a fare arrivare il messaggio alla gente e a tradurlo in atti concreti.
Che tempo farà in Italia nei prossimi decenni? Ossia, quali sono i probabili scenari climatici che si stanno delineando e che impatto avranno sulla vita degli italiani e sulle attività economiche del paese?
La temperatura è aumentata più di un grado nell’ultimo secolo. Lo si può vedere chiaramente in montagna, con i ghiacciai che si ritirano e al mare, dove, con l’acqua più calda , come si è accorto chi va a pescare, si sono diffuse varie specie di pesci tropicali. Gli effetti del cambiamento dunque sono già evidenti e non serve citare tutta la ricerca scientifica che lo testimonia, spesso ignorata o addirittura derisa. Venendo agli scenari ci dobbiamo aspettare un’Italia che entro fine secolo sarà dai 2 ai 5°C più calda. I rischi associati alla parte superiore del range non sono certo uno scherzo. Avere 5 °C in più significherebbe vivere come tutte le estati del 2003.
Esistono quantificazioni economiche dei danni che uno scenario del genere causerebbe al nostro paese?
Ci sono, ora non mi vengono in mente, ma sono sicuramente state fatte per i vari settori. La più famosa quantificazione è quella fatta per il livello mondiale da Nicholas Stern. Ma io non vorrei neanche ridurre tutto ad una questione economica: ci sono sofferenze che non si pagano. Penso alle patologie o alle morti premature legate alle ondate di caldo. Anche per i danni a settori economici come l’agricoltura che è difficile quantificare. Uno scenario agricolo completamente stravolto dal cambiamento climatico causerebbe danni incalcolabili anche alla nostra cultura gastronomica. Oppure si pensi all’aumento del livello del mare: un metro in più vorrebbe dire avere Venezia con l’acqua alta permanente …
Servirebbero misure di adattamento, che però non arrivano…
Esattamente, un paese che nega il problema è ovvio che non si ponga nemmeno il problema di come risolverlo.
Lei saprebbe indicare delle misure prioritarie da adottare per difenderci dal clima che cambia?
Sì, la priorità è costruire un progetto di resilienza. Sarà un mondo più difficile da vivere: oltre al cambiamento climatico c’è l’aumento della popolazione e l’esaurimento progressivo di risorse strategiche, sia energetiche, sia minerarie, che rinnovabili come le foreste o lo stock ittico dei mari. Una politica saggia dovrebbe sfruttare gli anni di relativa calma e prosperità che abbiamo ancora davanti per attrezzarci per tempi più duri. Se non saremo in grado di contrastare gli shock che ci attendono nei prossimi decenni rischiamo veramente la barbarie, rischiamo di perdere tutto quel che abbiamo guadagnato nella rivoluzione industriale. Se vogliamo garantirci un livello di benessere dignitoso in futuro è adesso il momento di fare delle scelte, di buttare via la zavorra, il superfluo, spesso frutto di una costruzione dell’immaginario assolutamente fuorviante. Bisogna dire alle persone che la torta si è ristretta. Per banalizzare con una frase ad effetto: possiamo decidere se investire quello che resta per comprarci il SUV o per mettere i pannelli solari sul tetto. Io scelgo la seconda opzione.
Cioè occorre cambiare modello di sviluppo?
Sicuramente ci vuole un’evoluzione del modello di sviluppo economico attuale, non sta a me dirlo ma agli economisti prendere atto che viviamo in un mondo dalle risorse non infinite. Dal punto di vista dei temi strategici è chiaro che clima ed energia sono i due punti fondamentali su cui il paese deve costruire un paracadute, una rete di salvataggio, altrimenti sarà veramente difficile uscirne senza dolori.
Vede risposte adeguate nel panorama politico attuale?
Non vedo alcuna risposta adeguata da parte di nessuna parte politica al momento. Non la vedo ovviamente a destra e non la vedo nemmeno a sinistra. Ci vuole un progetto politico nuovo che prenda atto delle criticità citate e costruisca un piano della resilienza. Un piano impopolare perché si tratta di dire alle persone che l’era delle vacche grasse è terminata e ci si deve attrezzare per quella delle vacche magre. Nessuno farà mai una campagna elettorale su questo e il mio timore è che ce ne accorgeremo quando sarà troppo tardi. A quel punto la politica dovrà gestire delle emergenze e il rischio è che quando si devono affrontare emergenze molto gravi si ricorra al metodo più efficace, la dittatura.
E a livello mondiale? Qual è la sua valutazione, dopo Cancun, di quanto si sta facendo contro i cambiamenti climatici?
Dal punto di vista umano si potrebbe vedere il bicchiere mezzo pieno: sono probabilmente gli accordi internazionali più complicati e importanti che si siano mai presi e, seppur lentamente, dei passi avanti si stanno facendo, non siamo al buio. La preoccupazione è data però dal fatto che le leggi della fisica non hanno gli stessi tempi delle leggi degli uomini. Noi cerchiamo di prendere tempo per portare certi processi all’attenzione di tutti i paesi, ma intanto il funzionamento del pianeta non sta ad aspettare noi. Il rischio è che ci si spinga troppo in là senza che i processi diventino incisivi in tempo utile: per agire c’è una finestra di tempo utile molto stretta, nell’ordine dei 10-20 anni.
intervista a cura di Giulio Meneghello
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