Wind farm : L'eolico delle mafie calabresi
Wind Farm è il più grande d'Europa con le sue 48 pale un giro
d'affari da 50 milioni l'anno e un valore stimato di mezzo miliardo. Un
pozzo di danaro per la criminalità locale. Un business finito nel
mirino della Gdf
La green economy della 'ndrangheta aveva
messo radici qui, dove il grecale e la tramontana sferzano lo Jonio 200
giorni all'anno. Isola Capo Rizzuto è la capitale dell'eolico in
Italia. Ben 2 parchi di energia del vento: il Pitagora e, soprattutto,
il Wind Farm, il più grande d'Europa con le sue 48 pale, un giro
d'affari da 50 milioni l'anno e un valore stimato di mezzo miliardo. Insomma, un pozzo di danaro, troppo appetitoso per la criminalità locale. Un business finito nel mirino della Gdf
che, ieri, ha posto sotto sequestro il parco su indicazione della Dda
di Catanzaro. «Il sequestro preventivo del parco eolico - sostengono
gli inquirenti - è il passo iniziale delle indagini. Abbiamo avuto la
necessità di bloccare il trasferimento delle quote che stavano per
essere cedute ad una società che è completamente estranea a tutta la
vicenda. Da questa inchiesta emerge che c'erano contatti tra gli
esponenti della cosca Arena con i componenti del Nucleo di valutazione
di impatto ambientale che ha rilasciato la certificazione malgrado non
ci fossero una serie di requisiti». Un sofisticato sistema fraudolento
di società, alcune delle quali con sedi in Svizzera, Germania e San
Marino, attraverso cui il potente clan degli Arena gestiva l'impianto.
A fare da prestanome, secondo la
ricostruzione degli investigatori, un dirigente del Comune di Isola,
Pasquale Arena, cugino del capoclan Nicola, che avrebbe seguito la
progettazione e realizzazione dell'impianto per conto della cosca,
operando attraverso la fitta rete di società estere che dovevano
servire ad occultare la vera proprietà della centrale. Grazie ad una
serie di conversazioni intercettate, è stato possibile accertare che il
capo storico della cosca non appena uscito dal carcere dopo un lungo
periodo di detenzione a regime di 41-bis «non solo chiedeva conto
dell'iniziativa economica intrapresa durante la sua assenza
(evidentemente per conoscerne nel dettaglio le dinamiche e le interessi
economici sottesi), ma addirittura poneva in essere comportamenti tali
da voler manifestare in modo palese l'intenzione di riappropriarsi del
controllo della stessa,interessandosi per la vendita del parco in
questione».
La proprietà dell'impianto era detenuta dalla società Vent1 Capo Rizzuto srl, guidata dall'avvocato di Amburgo, Martin Frick. Ma l'avventura del Parco parte in realtà da San Marino nel 2005. Chi presenta il progetto al comune di Isola è una piccola società sanmarinese, la Seas, guidata da Roberto Gobbi. La richiesta è firmata, in qualità di mandatario, da Nicola Arena, nipote del boss e incensurato. Di cui Frick aveva talmente fiducia da volerlo persino come socio, quale amministratore unico della Purena, detentrice di un terzo delle quote di Vent1 Capo Rizzuto. Ma il vero fulcro del sodalizio è Pasquale Arena che non soltanto briga nelle stanze del comune per far protocollare il progetto ma si sarebbe occupato anche di aprire una società di intermediazione a San Marino con lo scopo di riciclare i proventi dell'affare eolico. Insomma una rete di scatole cinesi, di piramidi finanziarie con cui la 'ndrangheta investiva e reinvestiva i proventi del malaffare.
La proprietà dell'impianto era detenuta dalla società Vent1 Capo Rizzuto srl, guidata dall'avvocato di Amburgo, Martin Frick. Ma l'avventura del Parco parte in realtà da San Marino nel 2005. Chi presenta il progetto al comune di Isola è una piccola società sanmarinese, la Seas, guidata da Roberto Gobbi. La richiesta è firmata, in qualità di mandatario, da Nicola Arena, nipote del boss e incensurato. Di cui Frick aveva talmente fiducia da volerlo persino come socio, quale amministratore unico della Purena, detentrice di un terzo delle quote di Vent1 Capo Rizzuto. Ma il vero fulcro del sodalizio è Pasquale Arena che non soltanto briga nelle stanze del comune per far protocollare il progetto ma si sarebbe occupato anche di aprire una società di intermediazione a San Marino con lo scopo di riciclare i proventi dell'affare eolico. Insomma una rete di scatole cinesi, di piramidi finanziarie con cui la 'ndrangheta investiva e reinvestiva i proventi del malaffare.
«Tali circostanze - riferiscono ancora gli
inquirenti - hanno dimostrato come l'affare dell'eolico non costituisse
il frutto di un' iniziativa economica libera e scevra da condizionamenti
di natura mafiosa, bensì il risultato di un preciso disegno strategico
rientrante nell'alveo degli interessi imprenditoriali della cosca ai
quali rimane inscindibilmente avvinto e la cui rilevanza sotto il
profilo patrimoniale e finanziario suscitava la volontà del boss di
riprendere in mano il controllo della situazione».
Dalle intercettazioni risulta inoltre la sudditanza che legava il funzionario del Dipartimento Attività produttive della Regione Calabria, Giuseppe Ferraro, a Nicola Arena. Il 3 marzo del 2009 il boss chiama Ferraro e quest'ultimo nel rispondere a telefono dice: «Ueh...don Nicola buongiorno». Ed Arena replica affermando che «eh, grazie per il don ma io devo capire se sono prete...».
Dalle intercettazioni risulta inoltre la sudditanza che legava il funzionario del Dipartimento Attività produttive della Regione Calabria, Giuseppe Ferraro, a Nicola Arena. Il 3 marzo del 2009 il boss chiama Ferraro e quest'ultimo nel rispondere a telefono dice: «Ueh...don Nicola buongiorno». Ed Arena replica affermando che «eh, grazie per il don ma io devo capire se sono prete...».
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/8063/
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