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domenica 23 dicembre 2012
Green economy : idee per ripartire
Green economy
idee per ripartire
Gli Stati generali tenuti a Rimini confermano che puntare sulla sostenibilità è una chiave fondamentale per difendere l'ambiente e rilanciare l'economia
Green e brown: verde e marrone. Anche i colori aiutano a capire e a distinguere. A segnalare che c'è un'economia nuova che sta facendosi strada in Italia e nel mondo.
È l'economia verde, la cosiddetta green economy. Un'economia più democratica, egualitaria e rispettosa; più evoluta e intelligente. Destinata a trasformare e sostituire la vecchia economia brown basata sul massimo sfruttamento delle risorse naturali e sulla scarsa attenzione agli impatti delle attività dell'uomo sull'ambiente, sulla società e sulla qualità della vita di ognuno di noi. La green economy, quella vera, è infatti qualcosa di più di una riverniciata di verde. È un cambiamento quasi antropologico che può modificare la nostra società dalle sue fondamenta e che richiede una prospettiva diversa anche rispetto ai concetti di profitto e di lavoro. Una prospettiva che coinvolge tutti, dalle imprese ai cittadini chiamati a interpretare un nuovo ruolo e a prendersi nuove responsabilità. In questo senso la green economy non è solo un orizzonte necessario verso cui guardare, ma un vero e proprio cambiamento epocale che, in quanto tale, ha richiesto un importante momento fondativo realizzatosi a Rimini il 7 e l'8 novembre scorsi nel corso dell'ultima edizione di Ecomondo. Ci riferiamo agli Stati Generali della Green Economy che hanno messo in campo il meglio dell'Italia che vuole cambiare rotta e coniugare rilancio dell'economia e tutela dell'ambiente.
Gli Stati Generali
Promossi dal Ministero dell'Ambiente e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile presieduta da Edo Ronchi (vedi l'intervista nella pagina a fianco), gli Stati Generali sono approdati a Rimini dopo un percorso durato alcuni mesi e che ha visto coinvolte 39 organizzazioni di imprese in rappresentanza di tutti i settori dell'economia verde italiana riunitesi in 8 assemblee nazionali programmatiche. Un lavoro ciclopico che ha visto 193 componenti dei gruppi di lavoro, 1120 consultazioni effettuate e oltre 100 contributi scritti giunti dopo le assemblee.
Un momento consultivo così ampio probabilmente non si era mai visto in Italia negli ultimi anni, a riprova di quanto sia alta la posta in gioco.
Ambiente ed economia
Il risultato di tanto lavoro è stato riassunto nel “Programma di sviluppo di una green economy”(vedi il box nella pagina qui a fianco) diffuso alla fine delle due giornate riminesi che hanno visto intervenire ben due ministri dell'attuale governo: quello dell'ambiente Corrado Clini e quello dello sviluppo economico Corrado Passera. Due ministri che evidentemente hanno in comune non solo il nome di battesimo, ma una strategia di rilancio del Paese che vede economia e ambiente come facce della stessa moneta pronta per essere spesa sullo scacchiere della competizione mondiale.
È come se l'ambientalismo uscisse dalla sua fase mitologica e cominciasse a innervare le politiche economiche. Uno dei messaggi emersi chiaramente dagli Stati Generali è che la partita che si sta giocando attorno alla green economy non riguarda solo la sostenibilità ambientale ma anche quella sociale e economica che ha sul versante occupazionale il cuore del problema.
In altre parole la green economy non è faccenda di questo o quel settore – ad esempio agro-alimentare piuttosto che energia - ma è una cultura produttiva complessiva che riguarda, e può investire, l'intero sistema economico del nostro Paese. Con un obiettivo chiaro: saldare in un'unica grande risposta strategica la sostenibilità economica, sociale e ambientale del nostro sistema industriale per non ritrovarsi in un'impasse lacerante come l'Ilva di Taranto.
Si può uscire dalla doppia crisi economico-finanziaria e ecologico-climatica che rischia di far smottare il nostro Paese. Lo dimostrano tante aziende che da tempo hanno compreso che la sostenibilità è un ottimo investimento.
I nuovi occupati
Come dimostra il rapporto Green Italy 2012 realizzato da Symbola e Unioncamere c'è ormai un quarto delle imprese italiane che investe in tecnologia e ricerca green.
Sono imprese che per prime hanno capito che sostenibilità fa rima con competitività. E i risultati si vedono: il 40% dei nuovi occupati arrivano grazie a investimenti fatti da queste aziende che tra l'altro mostrano un'attitudine all'export di gran lunga superiore alla media.
Ormai l'economia verde non è più utopia ambientalista, ma realtà misurabile con i suoi alfieri, le sue eccellenze, i suoi fatturati.
Sono filiere e produzioni che fanno rinverdire il nostro Made in Italy. Aziende che hanno fatto della qualità green un valore assoluto come quelle insignite negli ultimi 4 anni col premio per lo Sviluppo sostenibile assegnato anche quest'anno nel corso di Ecomondo. Per la cronaca, prima azienda classificata nella sezione Energia e mobilità, è risultata Poste Italiane che dispone ormai della più grande flotta di mezzi elettrici del nostro Paese e della più articolata rete di colonnine di ricarica d'Italia: oltre 400 stazioni realizzate in collaborazione con Enel.
Altro settore d'eccellenza italiana è l'agricoltura di alta qualità ecologica che perlopiù coincide con il biologico le cui vendite sono in crescita costante anche in questi anni di contrazione generale dei consumi. Ma non solo.
Risultati concreti
“Bisogna smentire alcune vulgate come quella ad esempio che riguarda le rinnovabili: non è vero che in questo settore importiamo tecnologia e basta” dice Ronchi snocciolando dati incontrovertibili. Nel solare ad esempio abbiamo una quota mondiale degli inverter del 16% e attualmente siamo il 3° Paese esportatore del mondo.
Per quanto riguarda la filiera dell'eolico ormai ci stiamo sviluppando abbastanza bene visto che il 60% degli impianti è realizzato in Italia e così nelle turbine idrauliche e nella geotermia dove produciamo pompe di calore vendute più all'estero che nel nostro Paese.
Ma se la rotta è tracciata non mancano gli ostacoli. Innanzitutto l'inerzia dei vecchi e consolidati modelli di produzione e consumo che fa da sponda alla resistenza altrettanto marcata di larga parte del ceto politico molto più legato, anche per ragioni anagrafiche a una visione tradizionale dell'economia. Il risultato è una sottovalutazione delle potenzialità green del nostro sistema industriale, aggravata dalla complessiva crisi economica che ostacola l'impiego di risorse pubbliche. C'è poi il cronico ritardo italiano nel concepire come strategica la ricerca e la formazione per mettere in moto l'innovazione necessaria per lo sviluppo sostenibile.
Secondo l’ultima rilevazione dell’Eco-innovation Scoreboard del 2011, l'Italia in tema di eco-innovazione è al sedicesimo posto nell’Europa dei 27 e sotto la media europea.
Una visione condivisa
Al di là di tutti questi aspetti, forse quello che più nuoce alla via italiana della green economy è la mancanza di una chiara e solida visione condivisa che consenta di realizzare politiche integrate di tipo economico, sociale ed ambientale che mandino in soffitta quelle soluzioni parcellizzate e settoriali capaci solo di favorire interessi particolari.
Magari di coloro che pensano al green come l'ennesima tendenza: quasi fosse una moda come un'altra, l'occasione del momento da cogliere con furbizia. Ma è poco probabile che i furbi possano avere un futuro. Perché la green economy chiede competenza e saperi, salda i destini del produttore e del consumatore che dovranno non solo ascoltarsi reciprocamente, ma arrivare addirittura a prendersi cura l'uno dell'altro. Onestamente. Fino a fidarsi.
La strada è tracciata ma richiede il coraggio di avviare una grande rivoluzione culturale capace di superare le profonde e radicate convinzioni che hanno indirizzato lo sviluppo industriale e tecnologico sino ad oggi. Se c'è una speranza di uscire da quella che tutti concordano nel definire come una delle peggiori crisi della nostra storia recente, questa speranza ha un colore: il verde.
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