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venerdì 24 agosto 2018

Sos Champagne per Cambiamenti Climatici

L’allarmismo impera ma sia che siate apocalittici o integrati, sappiate che le vostre bottiglie di Champagne potrebbero diventare più uniche che rare proprio per gli stravolgimenti climatici.

Bottiglie di Champagne "Armand de Brignac" 
durante la fermentazione sulle pupitres

Sos Champagne: i produttori cercano 
di salvare il loro tesoro dai cambiamenti climatici. 
Ma il futuro è incerto

Il cambiamento climatico è sotto i nostri occhi e ogni giorno i social sono tempestati da foto emblematiche che rivelano lo scioglimento dei ghiacciai, cogliendo anche quei micro fenomeni – piogge tropicali, grandinate funeste e trombe d’aria – che prima difficilmente venivano catturate dai canali allnews. L’allarmismo impera ma sia che siate apocalittici o integrati, sappiate che le vostre bottiglie di Champagne potrebbero diventare più uniche che rare proprio per gli stravolgimenti climatici. A meno che i coltivatori francesi non riescano nel loro intento di continuare la produzione di champagne, in barba al mutare del clima.

Nelle fredde cantine della Champagne house A.R. Lenoble, il comproprietario Antoine Malassagne, palesa tutte le sue preoccupazioni circa il futuro che incombe. Riusciranno le sue bottiglie a mantenere quello stile preciso, l’acidità croccante, i sapori spigolosi e un tocco di fruttato? Tutto questo è il risultato dell’arte della vinificazione applicata al terreno profondo e gessoso, con un clima molto fresco. Almeno sino ad oggi.

Finora, il riscaldamento globale non ha particolarmente influito eppure Malassagne ha già colto i primi segnali: “le gemme appaiono prima, quindi le gelate primaverili sono più distruttive. Le notti più calde accelerano la maturazione ma incoraggiano anche nuovi parassiti e l’insorgere di malattie nelle piante”.

“La raccolta oggi avviene in agosto, quasi un mese prima rispetto a 20 anni fa e questa maturazione più rapida si traduce in un’acidità inferiore, il che significa meno freschezza nei vini. È essenziale comprendere – prosegue Malassagne – che è proprio l’acidità che permette ai vini di invecchiare bene”. Insomma, gli allarmi erano già scattati e così dal 2010 la musica è iniziata a cambiare, del resto il business è il business.

La tecnica basilare dello Champagne di miscelare diverse varietà (chardonnay, pinot nero e talvolta meunier) e annate, è il modo in cui i vignaioli compensavano gli anni poveri. Le annate più vecchie, ad esempio, davano profondità, complessità e ricchezza quando l’uva non era maturata completamente. Ma adesso Malassagne sta creando vini di riserva delle annate più promettenti, scorte necessarie per aggiungere “freschezza”, conservandoli in magnum sotto sughero naturale per preservarne i sapori più brillanti. Siamo già a circa 70.000 bottiglie di questa riserva, al sicuro in cantine, protette dalla luce.

Bruno Paillard invece sta sperimentando la copertura del terreno nei vigneti con paglia per impedire alla luce solare di distruggere la vita microbica mentre altri utilizzano tecniche di vinificazione come il blocco della fermentazione malolattica (la seconda fermentazione nel barile che converte l’acido malico dal sapore fresco in acido lattico più morbido) per portare una maggiore acidità percepita al vino. Ma non è tutto qui.

Negli ultimi due decenni, Jean-Baptiste Lecaillon di Louis Roederer, ha sistematicamente sperimentato qualsiasi cosa, dalla viticoltura biodinamica all’analisi del Dna del lievito, sino a forme più delicate di potatura, reinventando tecniche di vinificazione per lo chardonnay, tutto per “preservare la reputazione dello champagne”.

Una delle soluzioni di Lecaillon ai cambiamenti climatici è quella di dare più naturale resistenza all’ecosistema dei vigneti, in modo che le viti possano resistere a nuovi insetti e condizioni più estreme. “Con radici più profonde – afferma Lecaillon – le viti sono in grado di gestire meglio il caldo e la siccità, e i vini hanno più freschezza, più brio. Come agricoltori, il nostro lavoro, la nostra vita, la nostra passione è stata quella di adattarci ai cambiamenti climatici per centinaia di anni. Se il futuro si riscalda troppo – osa scherzare – troveremo il modo di mettere del ghiaccio nel terreno”.

D’accordo, la consapevolezza aumenta e il mercato è sempre più esigente.
 Ma sarà sufficiente per far fronte al mondo che cambia?


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