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Sabato in Val di Susa
Pierluigi Sullo
Pubblico la rubrica Cantieri sociali, in uscita su il manifesto del 21 gennaio.
Sarebbe grottesco, se non fosse un dramma. Immaginate un presidente di Regione, il sindaco della capitale di quella regione, il presidente della Provincia, tutti i media locali e nazionali [inclusa la Repubblica, all’opposizione di Berlusconi su tutto ma non su questo], tutti i partiti salvo minime eccezioni [domenica si farà una manifestazione «bipartisan», Pd e Pdl insieme], e poi un plenipotenziario «tecnico» che, ormai lasciato nudo dall’opposizione della Comunità montana, manda in giro camper per spiegare la cosa alla gente ma in realtà trivelle scortate da plotoni di poliziotti in assetto da combattimento per fare buchi a caso. Se non si fosse inteso, si parla di Alta velocità ferroviaria in Val di Susa, e dell’ipotesi di tracciato che l’Italia deve depositare a Bruxelles entro fine gennaio per non perdere certi finanziamenti. Il tracciato lo si improvvisa con quei metodi, fingendo di fare sondaggi e carotaggi allo scopo di accertare se qui o là si potrà scavare per costruire il famoso tunnel da 50 chilometri o giù di lì. Il tutto accompagnato dall’isteria dello «sviluppo» che deve procedere a tutti i costi, anche passando sui corpi dei valsusini, sui loro paesi, sul loro paesaggio già invaso da un paio di statali, una linea ferroviaria e un’autostrada. Cittadini che infatti reagiscono, come fanno da quindici anni, in modo civile e irremovibile: organizzando dibattiti e cortei [il più grande sarà sabato prossimo, chi può ci vada], creando presidi nei luoghi minacciati di carotaggio [uno dei quali è stato nottetempo incendiato da ignoti], occupando l’autostrada, se occorre, o una stazione [e le ferrovie bloccano tutti i treni].
Ci sono due cose sorprendenti, in questa vicenda. La prima è l’ottusa ostinazione con cui tutta la politica e tutte le istituzioni [e, spiace dirlo, la Cgil al completo salvo la Fiom] insistono sulla necessità dell’orrendo tunnel, che distruggerebbe la valle e non serve a nulla. E’ la stessa sordità a soluzioni alternative che spinge a fare un tunnel sotto Firenze, con costi enormi, pericoli altrettanto grandi e tempi lunghissimi, sempre per far correre la Tav. O che ha devastato l’Appennino tra Firenze e Bologna. Come se anche l’ultimo viaggiatore natalizio, o pendolare, non avesse capito benissimo, avendolo sperimentato, quanto il gigantesco spreco dell’Alta velocità abbia ammazzato le ferrovie di prossimità, quelle più utili alla vita di tutti, come la stessa Regione Piemonte dice con un certo furore alle Ferrovie. Ma che ci volete fare? L’idiozia ufficiale è tale che per abbassare le emissioni di CO2, dopo aver «incentivato» le automobili e rotto le scatole a un mucchio di gente con centrali fossili e rigassificatori, ora si ri-scopre il nucleare. Da cosa dipende questa ottusità? Da un misto di affarismo sfacciato e di ideologia paleo-industriale, con il corollario della convinzione che i media creino la realtà, alla quale i politici debbono poi adeguarsi, rafforzando così la convinzione dei media, e così via, in un circolo vizioso infinito. Questa è la storia dei «clandestini», per esempio.
L’altra cosa sorprendente sono la fermezza e l’intelligenza con la quale i valsusini riescono a opporsi, a manovrare quando occorre, a rafforzare i loro legami interni ed esterni. Si vedrà con ogni probabilità nella manifestazione di sabato quanti «chilometro zero» [nel senso dell’economia e nel senso della democrazia] arriveranno da tutto il paese, dalle città minacciate da basi militari, Ponti, autostrade e discariche. Eppure, non sono previsti, letteralmente non esistono nel vocabolario dei politici e nel panorama nazionale dipinto dai giornali. Che rabbia, per la signora Bresso o per l’ingegner Virano [il famoso «tecnico»] vedere che tutte le loro tattiche, dall’assorbire i sindaci al fare irruzione all’alba, falliscono sempre, checché ne scriva La Stampa, perché altri sindaci e presidenti di Comunità montana vengono eletti, e centinaia di persone appaiono magicamente davanti a trivelle e poliziotti. Non c’è dubbio che la Valle di Susa è la nostra Cochabamba. Nella città boliviana, dieci anni fa, un grande movimento di popolo strappò l’acqua dalle unghie di una multinazionale, dando inizio al movimento mondiale per l’acqua bene comune. In Val di Susa, rifiutando l’Alta velocità, si propone un’altra economia, una altro modo di vivere, una democrazia reale.
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