IL giornalista Gianni Lannes è stato a Caorso, nella più importante centrale nucleare e qui ha scoperto entrando di nascosto, senza autorizzazione, che il governo Berlusconi ha affidato lo smantellamento delle centrali nucleari alla ndrangheta, che sta dietro una società che si chiama Ecoge che ha sede a Genova. Questa società carica i rifiuti nucleari in dei container che da Caorso vanno a Genova e poi a La Spezia, in attesa di navi su cui caricarli e verranno affondate.
La Stampa ha impedito a Lannes di pubblicare l'inchiesta e nessun altro giornale l'ha voluta questa inchiesta.
Guarda anche la video-inchiesta:
http://www.youtube.com/watch?v=xATSW_xDI80
Per saperne di più:
http://www.giornalettismo.com/archives/51594/nave-veleni-lannes/2/
Tutte le inchieste censurate di Gianni Lannes
http://congiannilannes.blogspot.com/
Il giornalista Gianni Lannes anticipa i risultati della sua inchiesta sull’affondamento di barche, container e barili di rifiuti tossici nel Mediterraneo. E racconta anche la sua vita sotto storta e gli attentati e le intimidazioni che ha subìto
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«Io so e ho le prove. Fra quaranta giorni avremo pronto un dossier che racconta di questa vicenda che parte circa trent’anni fa. Si tratta dell’affondamento nel Mediterraneo di carrette del mare, container, barche, navi, barili, ma soprattutto penetratori (una sorta di siluro riempito di rifiuti che viene lasciato cadere nei fondali fangosi e vi penetra per un centinaio di metri ndr)». Il giornalista d’inchiesta Gianni Lannes racconta così, alla Casa della Pace di Roma, le sue ultime scoperte sulle navi dei veleni affondate nelle acque italiane.
UN FREELANCE CONTRO TUTTI – Lannes è un freelance da 25 anni. Si è sempre occupato di inchieste che riguardano soprattutto le ecomafie, le navi dei veleni e molti altri misteri italiani. A causa del suo lavoro ha subìto tre attentati mafiosi e ora vive sotto tutela della Polizia di Stato. Il primo è stato il 2 luglio del 2009 quando gli è stata incendiata la macchina. Il secondo il 23 dello stesso mese: i freni della sua auto sono stati sabotati. L’ultimo il 5 novembre quando è saltata in aria la macchina di sua moglie. Nel giugno del 2009 ha inoltre fondato un giornale di cui è anche direttore responsabile, “Italia Terranostra” che attualmente è congelato perché anche i giovani redattori sono stati minacciati più volte. «Dal 2008 sono a contratto con La Stampa di Torino. A un certo punto mi sono trovato in una situazione strana. Qualche tempo fa sono andato in Sicilia e ho scoperto che Renato Schifani stava sponsorizzando la realizzazione di una superstrada. I lavori avrebbero massacrato un’intera area archeologica e l’unico bosco protetto dell’Isola. Per evitare le ispezioni di valutazione di impatto ambientale, i lavori sono stati divisi in vari lotti, e sono iniziati proprio da quelli marginali. In questo modo ecologisti, opinione pubblica e naturalisti, sono stati messi davanti al fatto compiuto: non si può impedire la realizzazione di un’opera pubblica avviata già all’80%. Schifani, saputo del mio interessamento, mi ha invitato a Roma a palazzo Giustiniani. Al nostro incontro mi ha consigliato di “andare in vacanza”. Da allora il mio lavoro alla Stampa si è interrotto senza spiegazioni da parte della direzione del giornale. La mia inchiesta concordata, sulla strada della Sicilia, non è mai stata pubblicata, come anche quella sulle navi dei veleni. Quando ho scoperto che De Benedetti aveva creato una società che si chiama Sorgenia e che realizza illegalmente rigassificatori da costruire in aree protette, ho chiuso anche la collaborazione con l’Espresso, il giornale di famiglia».
TANTE STORIE, TUTTE UGUALI – Sono tante le vicende di cui parla Lannes durante il suo intervento a proposito delle navi. La prima storia è quella dell’Etsuyo Maru, un’imbarcazione varata in Giappone nel 1969 e arenatasi il 16 dicembre 1988 nel Gargano, in Puglia. L’ultimo viaggio fatale parte da Beirut in Libano. Ufficialmente l’Etsuyo Maru doveva recarsi in Jugoslavia, ma segue una strana rotta che la porta invece fra le isole Tremiti e il Gargano. Viene segnalata alla Guardia Costiera da un elicottero civile. Ubaldo Scarpa, l’allora comandante della Capitaneria di porto di Manfredonia, contatta via radio la nave per offrire aiuto ma l’Etsuyo Maru rifiuta: non ha mai lanciato il mayday nonostante fosse già arenata sul fondo. L’ispezione dell’imbarcazione avverrà solo il 23 dicembre. Dall’esito emerge che la nave, in balìa del mare grosso, era troppo leggera per resistere alle onde. Le pompe delle zavorre non funzionavano e i vani che normalmente vengono riempiti d’acqua, per appesantire il cargo, erano vuoti come lo era anche la stiva. È come se al momento dell’incidente l’Etsuyo Maru fosse stata svuotata del suo carico. Le immagini che Lannes ha proiettato durante il suo intervento alla Casa della Pace però, mostrano dei cumuli di rifiuti sulla spiaggia circostante. La nave, sostiene il giornalista, ha avuto tanti nomi ma un unico proprietario. Per anni ha fatto la spola per il traffico di armi. E poi anche per i rifiuti, sia chimici che radioattivi. Nonostante questo, la vicenda è stata dimenticata e a distanza di più di dieci anni il relitto è ancora lì, in un’area protetta delle coste pugliesi. Questa è solo la prima delle scoperte di cui parla Lannes.
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ALTRI ABUSI -Il giornalista racconta che il suo interessamento alla vicenda delle navi dei veleni si è riacceso dopo aver assistito, in Calabria, alla conferenza stampa che il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha tenuto sulla vicenda della Cunsky. Nell’ottobre dello scorso anno, il pentito Francesco Fonti ha rivelato che a largo di Cetraro erano presenti delle navi contenenti sostanze pericolose. Fra queste vi era anche la Cunsky con dentro 120 bidoni di scorie radioattive. Secondo la versione del governo invece, il relitto dell’imbarcazione che si trova davanti alle coste calabresi è del Catania, un mercantile affondato durante la prima guerra mondiale. Ma il giornalista, che ha avuto accesso alle fonti della marina militare italiana, è in grado di dimostrare che il Catania è stato affondato il 4 agosto del 1943 nel porto di Napoli. Proprio questo depistaggio ha spinto Lannes a mettere insieme un pool di giornalisti, in Italia e all’estero, che sta cercando di identificare tutte le navi già individuate nei fondali italiani. Lannes infine ha anche anticipato alcuni dettagli della sua ultima inchiesta. Due anni fa, racconta il giornalista, ha chiesto alla SOGIN (società controllata dal Ministero del Tesoro e incaricata, nel 1999, di smantellare gli impianti nucleari in Italia) l’autorizzazione per visitare alcune centrali. Non avendo ricevuto risposta, si è recato a Caorso, in provincia di Piacenza, sul Po, dove si trova la più grande centrale nucleare italiana. Eludendo senza difficoltà la sorveglianza, è riuscito ad introdursi nello stabilimento con tre macchine fotografiche e a documentare quanto stava accadendo: «a smantellare la centrale c’erano dei camion della ECOGE s.r.l, con sede a Genova e di proprietà della famiglia Mamone. Dai rapporti della DIA (Direzione investigativa antimafia), a partire dall’anno 2002, risulta che i Mamone siano organici alla ‘Ndrangheta. Il loro compito era quello di trasportare fuori dagli impianti i rifiuti radioattivi». E quindi di far sparire in qualche modo quei rifiuti, magari proprio affondandoli nei nostri mari con quelle navi. «Aver scoperto nella più grande centrale nucleare italiana che lo smantellamento è stato affidato a una società mafiosa è inquietante. Queste navi, non sono state affondate perché lo hanno deciso le organizzazioni criminali, ma per decisione dei Governi. Io mi chiedo, quali sono le responsabilità?»
PROVE DIMENTICATE - Dopo le elezioni, perché questa vicenda non venga strumentalizzata, il pool di giornalisti presenterà il risultato dell’ultima inchiesta di Lannes e dei suoi collaboratori, prima a Roma, alla sede della stampa estera,e poi anche a Strasburgo al Parlamento europeo. Il dossier riguarda non soltanto le navi nel Tirreno, ma anche nel Mar Jonio, nell’Adriatico e lungo le coste della Sardegna. Attraverso la collaborazione di ingegneri navali, capitani di lungo corso ed ex ufficiali della marina militare italiana, si stanno valutando le prove e i riscontri raccolti. Sarà così possibile dimostrare la complicità degli Stati nel traffico transfrontaliero dei rifiuti pericolosi dall’Europa verso i paesi del terzo e quarto mondo. Non soltanto in Somalia, ma anche nel Mediterraneo e nelle nostre coste. Ma chi c’è dietro questi traffici? Le rotte seguite sono le stesse utilizzate per il trasporto illecito di armi fra Stati, spiega Lannes, e quello dei rifiuti tossici è un problema globale. Abbiamo una parte dell’economia occidentale che ha deciso di non pagare gli oneri legali e corretti per lo smaltimento delle scorie. Secondo l’OCSE non ci sono dati, nemmeno approssimativi, sulla produzione di rifiuti industriali in Europa. Non si sa che fine facciano, nonostante la convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti di rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione. Eppure le navi ci sono. «Attorno al Gargano –racconta Lannes- all’interno di un parco nazionale, abbiamo trovato migliaia di container imbottiti di rifiuti. Questa scoperta la dobbiamo soprattutto ai pescatori che hanno iniziato a mappare queste zone. E le evitano perché molti di loro ci hanno perso la vita. Cosimo Troiano aveva 26 anni quando la sua barca, l’Orca Marina, è affondata. Era il marzo del 1998, mare calma piatta, una serata ideale per la pesca a strascico. A 90 metri di profondità l’imbarcazione incappa in un ostacolo, la barca improvvisamente si capovolge e Cosimo Troiano rimane imprigionato all’interno. Il suo corpo verrà recuperato 4 mesi più tardi dalla marina militare. I sub girano anche un filmato, riprendono i container ma il video rimane dimenticato in un archivio».
DECISIONI - La decisione di riprendere in mano questa inchiesta, ha spiegato Lannes, l’ha presa dopo essere stato interpellato da alcune persone molto preoccupate. «Spesso erano medici e pediatri che mi hanno segnalato un anomalo aumento delle patologie tumorali e delle malformazioni, soprattutto nei bambini. Eppure in questo Paese non si fanno seriamente ricerche epidemiologiche che fornirebbero un quadro molto più preciso. Sono davvero preoccupato dello stato di degrado dell’informazione italiana sul problema delle navi dei veleni. Per dirla con Gandhi, alle parole devono seguire le azioni, quindi su la testa».
Debora Aru
16 febbraio 2010
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