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mercoledì 23 settembre 2015

Ambiente e Mafia in Lombardia il Primato della Corruzione



"Tangentopoli 2.0": in Lombardia la mafia fa affari sui rifiuti

Gli affari sporchi si fanno sul traffico dei rifiuti pericolosi e sugli appalti truccati o inesistenti, anche e soprattutto nel Nord Italia. I dati sulla "Green Corruption" diffusi dal Legambiente fotografano una situazione per nulla invidiabile e regalano alla nostra regione un poco ambito primato. Con 31 indagini, 325 arresti e 126 denunce la Lombardia è la regione più corrotta dello Stivale. Seguono a ruota la Sicilia e la Campania.

La criminalità organizzata punta sull' ecomafia e sull'ambiente, un fenomeno che l'associazione ambientalista definisce "Tangentopoli 2.0". La corruzione dilaga soprattutto nel settore degli appalti pubblici. I numeri fanno davvero impressione: quasi 2 miliardi di soldi pubblici sono finiti nelle tasche sbagliate e 1/3 degli appalti monitorati dalla Guardia di Finanza risultano irregolari.  

Ad approfindire l'indagine ci ha pensato l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione); stando a quanto riferito dal presidente Raffaele Cantone il 60% dei comuni non ricorrerebbe più al sistema dei bandi pubblici per l'assegnazione degli appalti. La burocrazia, ovviamente, si snellisce e i tempi si abbreviano, ma l'affidamento diretto dei lavori è più permeabile alla corruzione.

„Il quadro generale rispecchia quanto fin qui detto: i reati nel settore dei rifiuti segnano + 26%; in aumento anche le infrazioni nel settore agroalimentare e nel racket degli animali.“

I RIFIUTI IN ITALIA SONO UN DRAMMA
ALL'ESTERO LI TRASFORMANO IN ORO
LEGGI
http://cipiri6.blogspot.it/2013/10/i-rifiuti-allestero-sono-un-business-in.html



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I ''cacciatori'' preoccupati perchè...
qualche lupo ha mangiato un capriolo ed un cinghiale .
Ma come, non passa giorno che non vengano lanciati allarmismi sulla ''presenza eccessiva'' di cinghiali e caprioli ed adesso che un predatore (già ridotto ai limiti estremi della sua stessa sopravvivenza dalle attività umane) tenta di creare un qualche equilibrio naturale, i ''cacciatori'' protestano?
Addirittura si preoccupano per la presenza del lupo?
Il lupo uccide per nutrirsi e non per sport, divertimento o ''passione'' (l'irrefrenabile e travolgente passione di uccidere creature senzienti e sensibili incompresa dai più...a me personalmente questo ricorda gli impulsi di altri noti predatori: i serial killers), e mentre i cacciatori rappresentano un pericolo non solo per se stessi ma anche per gli altri (ogni anno le mattanze di persone rimaste uccise dall'attività venatoria degli amanti della doppietta ce lo ricordano impietosamente) non credo che i lupi potrebbero mai essere seriamente considerati come un concreto e preoccupante pericolo pubblico.
''In bocca al lupo.''



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giovedì 17 settembre 2015

India: Pianta 2 Miliardi di Alberi



India:  pianta 2 miliardi di alberi ripulendo l’aria e dando lavoro

Una boccata d’aria per il nostro pianeta e i nostri polmoni. Il governo indiano ha deciso di combattere la cattiva qualità dell’aria piantando 2 miliardi di alberi lungo le strade del Paese contrastando dando lavoro a moltissimi giovani.

Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità l’aria di Delhi sarebbe la più inquinata al mondo. Tra le cause principali l’enorme numero di automobili che sciamano per le strade della capitale e l’incuria degli spazi verdi, spesso sacrificati sull’altare dell’industrializzazione.

Il Ministero per lo sviluppo rurale dell’India ha trovato una soluzione per arginare due dei principali problemi che affliggono il Paese, l’inquinamento, appunto, e la crescente disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 10,2 per cento. Il piano è quello di assumere fino a 300mila giovani per piantare due miliardi di alberi lungo le strade del Paese.

«Stiamo studiando un progetto per piantare due miliardi di alberi lungo le strade e autostrade che attraversano l’India – ha dichiarato il ministro dei trasporti Nitin Jairam Gadkari – questa iniziativa è destinata a creare posti di lavoro per i disoccupati e a proteggere l’ambiente e la nostra salute».

In base a un recente studio condotto nel Regno Unito, si è potuto constatare che le foglie degli alberi riescono a catturare una gran quantità di polveri sottili, inoltre da uno studio condotto dall’US Forest Service e dall’Istituto Davey negli Stati Uniti è stato dimostrato che gli alberi sono in grado di salvare più di 850 vite umane all’anno e di prevenire circa 670.000 episodi di sintomi respiratori acuti.

Secondo le previsioni dei funzionari indiani, piantare due miliardi di alberi lungo l’autostrada nazionale porterebbe alla creazione di circa 300mila nuovi posti di lavoro.

Questo progetto non è l’unico volto a proteggere l’ambiente in India: il governo indiano sta investendo molto sull’energia solare per portare elettricità a milioni di famiglie, inoltre ha intenzione di raddoppiare la tassa sul carbone per incentivare lo sviluppo di energie alternative sostenibili.

Gli scienziati della NASA hanno scoperto delle piante particolarmente utili per assorbire i gas e pulire le aree particolarmente inquinate. Quindi anche noi nel nostro piccolo possiamo migliorare le nostre condizioni di vita: le piante da appartamento ossigenano l’ambiente, depurano l’aria, contrastano l’umidità, eliminano i cattivi odori e rendono la casa più accogliente ed elegante.




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martedì 15 settembre 2015

Cecilia Strada : Vent'Anni di Emergency


Cecilia Strada racconta i vent'anni di Emergency
"Tutto iniziò in cucina, da un'idea di papà" ricorda la figlia di Gino e presidente dell'associazione.

Sul computer, l’immagine di una radiografia: è il cranio di un bambino di Kabul, con una pallottola in fronte. «Aveva 8 mesi, purtroppo non siamo riusciti a salvarlo». Poi appare la foto di una neonata, nello stesso ospedale. «La madre era stata ferita all’addome, ora stanno bene entrambe». La giornata di Cecilia Strada, presidente di Emergency, è sempre così: emozioni forti, un lavoro senza ferie né
weekend ma che non cambierebbe mai, perché «fai la differenza tra la vita e la morte». Nel 2014
l’associazione compie 20 anni e la Mostra del Cinema di Venezia ha festeggiato l’anniversario con
Jaeger-LeCoultre, che dal 2011 è a fianco della Ong e dallo scorso anno sostiene il Centro chirurgico e pediatrico di Goderich, in Sierra Leone. Abbiamo incontrato Cecilia nel suo ufficio milanese, tra i
manifesti delle campagne di raccolta fondi e le carte geografiche dell’Asia e dell’Africa.

Partiamo dall’emergenza Ebola, in Sierra Leone. Come riuscite a fronteggiarla?
Di giorno in giorno diventa più difficile. Per fortuna il personale - 20 dello staff internazionale, 300 locali - è formato: nessuno è andato via, e stiamo rinforzando la struttura. Abbiamo avuto qualche caso positivo, ma il nostro è un centro chirurgico, non facciamo il trattamento. Ora stiamo valutando con il governo della Sierra Leone e con l’Organizzazione mondiale della sanità come essere più incisivi.
Il problema è che dagli ospedali pubblici i medici stanno scappando per paura del contagio e molti
ammalati, con la sanità al collasso, si rifugiano nella medicina tradizionale. Ci arrivano bambini con la setticemia procurata dagli impacchi di letame.
Oggi siete presenti con 45 strutture in 6 Paesi, avete curato 6 milioni di persone. Se lo immaginava?
No. Mi ricordo ancora quando Gino (il padre, lei lo chiama per nome, ndr) al ritorno da una missione di guerra ci disse che dovevamo fondare un’organizzazione umanitaria. Eravamo al tavolo della cucina, io e Teresa (Sarti, sua madre, scomparsa nel 2009, ndr), e pensammo che Kabul gli aveva dato alla testa. Invece cominciammo a parlarne con gli amici della Croce Rossa Internazionale. Tante persone si appassionarono subito all’idea semplice di curare le vittime delle guerre e delle mine.

Primi ricordi?
Gino tornato da Kigali, in Ruanda, dove era riuscito a riaprire l’ospedale. Aveva portato le punte delle lance che avevano ucciso i pazienti. Pensavo che non avrei più rivisto armi simili e invece, oggi, nella Repubblica Centrafricana i bambini vengono ammazzati a colpi di machete.

Il primo contatto con la guerra?
A 8 anni mio padre mi ha portato al campo medico di Quetta, in Pakistan, e là ho visto un bambino della mia età con una pallottola in testa. Mi è scattato qualcosa.

Non sarà stato facile crescere come “figlia di Emergency”.
Mi sento fortunatissima, ho avuto la possibilità di scoprire che il mondo non è come lo immaginavo e al tempo stesso di fare la mia parte. Questo lavoro mi dà più di quanto mi prenda.
Si sarà sentita diversa dai coetanei.
Certo. Vent’anni fa con un mio compagno di liceo, che ancora lavora con noi, portavamo in giro le
mostre sulle mine antiuomo. Diversi ci sentiamo tutti: un medico che sta sei mesi da solo in una valle
dell’Afghanistan, poi torna e si ritrova in un ospedale con troppi dottori e zero pazienti... Be’, è chiaro che si senta fuori posto.

Le altre emergenze di oggi, per voi?
L’Afghanistan, dove a luglio abbiamo avuto il record di ricoveri, in 15 anni.
Eppure non se ne parla.
Se i militari se ne vanno, non è il caso di raccontare che ci sono ancora vittime. Invece ci sono.
L’Afghanistan è anche il Paese dove la presenza di Emergency è più articolata, perché le donne
devono chiedere al marito il permesso per farsi curare. Noi nel centro maternità abbiamo solo personale femminile. Il mio cuore è là.

In Italia avete poliambulatori a Palermo, Marghera, Polistena. La sanità pubblica non basta?
Diamo una mano a quelli che al pubblico non si rivolgono, perché non conoscono i loro diritti: stranieri irregolari e regolari, ma anche italiani. A settembre cominciamo i lavori per un nuovo poliambulatorio a
Ponticelli, vicino a Napoli.

I rapporti con la politica?
Invitiamo sempre i politici a conoscere le nostre strutture. Ma solo il presidente della Camera, Laura
Boldrini, ha visitato il nostro centro mobile a Siracusa. Con pochi altri.

Dov’è suo padre, adesso?
In Sudan, al centro di cardiochirurgia che è uno dei nostri fiori all’occhiello. L’idea era quella di portare la chirurgia d’eccellenza in Africa, perché non è vero che là si devono curare solo la diarrea o le infezioni.

Ha mai avuto paura per lui?
Mio padre ha visto da vicino parecchie guerre. E' rientrato in Afghanistan a cavallo quando le frontiere erano chiuse superando un passo a 4500 metri, e aveva già 4 bypass. Ho paura per tutti: qualche settimana fa è morto un nostro soccorritore in Afghanistan, il primo ucciso in servizio. Ho avuto paura per me nel ’94. Ero a Falluja, stavamo portando un camion di aiuti quando un uomo ci aggredì urlando “Berlusconi”: non voleva gli aiuti da un Paese che in Iraq aveva mandato i soldati.

Prossimo obiettivo?
Un centro di eccellenza di chirurgia pediatrica in Uganda. E' appena partito il primo cantiere di test,
servono i fondi. Il progetto c’è, firmato da Renzo Piano. Ci ha fatto un bel regalo.

Suo figlio crescerà come lei?
Ha 5 anni: per ora l’ho portato a trovare il nonno, in Sudan. Spero che faccia quel che vuole e sia felice.

LEGGI ANCHE


Gino Strada: «Il Califfato non produce mine antiuomo, gliele vendiamo noi»
Il fondatore di Emergency: «L'80-90% delle armi sono prodotte 
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domenica 13 settembre 2015

Vende ARMI in Tutto il Mondo e Prega DIO


Sempre più armi italiane vendute ai paesi in guerra

Sono passati 25 anni dall’approvazione della legge 185/90 sul controllo delle armi, che vieta l’esportazione di armi in paesi in cui è in corso un conflitto armato. Eppure ancora oggi l’Italia vende pistole e fucili in 123 paesi al mondo per 54 miliardi di euro di autorizzazioni e 36 miliardi di controvalore per effettive consegne di sistemi d’arma. Sono i dati presentati il 9 luglio dalla Rete italiana per il disarmo.

La legge 185/90 prevede non solo il divieto di esportazione di armamenti verso paesi in guerra ma anche verso paesi in cui sono violati i diritti umani. Nei primi anni di applicazione i principi innovativi della legge e il controllo, esercitato anche tramite una relazione al parlamento da parte del governo, hanno permesso la diminuzione delle vendite verso i paesi in conflitto.

Ma dal 2009 questa tendenza virtuosa si è invertita. Giorgio Beretta, analista di Opal Brescia, ha spiegato: “I numeri non mentono: l’Italia ha venduto armi soprattutto in Medio Oriente e nel Nordafrica, regioni tra le più turbolente e le autorizzazioni del parlamento sono aumentate. Sapere con precisione a quale paese vendiamo riguarda in primo luogo la nostra stessa sicurezza”. Nel complesso esportiamo pistole, fucili, carabine italiane negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti, ma anche Germania, Turchia, Francia e Spagna. Le nostre armi finiscono anche in Malesia, Algeria, India, Pakistan.

Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo, ha detto: “La nostra legge nata in modo egregio e che ha ispirato la legislazione internazionale è stata applicata nel modo peggiore”. Con le modifiche più recenti alla legge, sarà più difficile capire dove finiscono le nostre armi.

“Chiediamo la trasparenza dei documenti. L’export militare italiano dovrebbe essere in linea con la politica estera del nostro paese, ma negli ultimi anni la direzione è stata principalmente quella degli affari”, afferma Vignarca, presidente di Rete disarmo.

“La perdita di trasparenza avvenuta soprattutto negli ultimi anni mina alla base un controllo che invece, su un tema delicato come quello dell’export militare, è fondamentale per la nostra politica estera e per la responsabilità dell’Italia nei confitti”.

Secondo i dati dell’Istat, nel 2014 le esportazioni italiane di questi micidiali strumenti sono state pari a 453 milioni, leggermente inferiori a quelle dell’anno precedente, ma superiori alla media delle esportazioni del decennio.

L’industria italiana delle armi sembra non soffrire i colpi della crisi. La produzione di armi dà lavoro a migliaia di operai nella zona della Val Trompia (provincia di Brescia). Purtroppo però, nonostante, le leggi italiane e internazionali, pistole e fucili finiscono in paesi dove infuria la guerra o dove i diritti umani non sono garantiti come in Ucraina, Russia, Colombia e Messico. Al primo posto tra i paesi importatori di armi leggere italiane ci sono gli Stati Uniti con il 42 per cento del totale. Fino all’anno scorso i soldati statunitensi avevano in dotazione una pistola Beretta, la famosa M9. Negli Stati Uniti il possesso di armi per uso di difesa personale è un diritto garantito dalla costituzione.

guarda il film  completo di
ALBERTO SORDI
FINCHE' C'E' GUERRA C'E' SPERANZA




GLI  ITALIANI FANNO TANTO GLI ANGIOLETTI E SI STUPISCONO DELLE PERSONE CHE SCAPPANO DAL PROPRIO PAESE , PER COLPA DELLA GUERRA 




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Nuova Specie Umana Vissuta 3 Milioni di Anni Fa



Trovati in Sudafrica i resti di una specie umana vissuta tre milioni d’anni fa.

All’interno dell’ insieme di grotte, Rising Star, in Sudafrica, ad un’ora di macchina da Johannesburg,  è stata ritrovata una camera mortuaria con resti di scheletri appartenenti a quindici individui di  una nuova specie umana...





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