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I «no Api» e gli operai
Zeno Leoni
Diritto alla salute e all’ambiente o diritto al lavoro? La raffineria di Falconara è il simbolo di un conflitto creato dal profitto e da un’industria arretrata, che inquina, fa ammalare e poi licenzia
Con l’annuncio della cassa integrazione per centoquaranta dipendenti fra turnisti e personale amministrativo e giornaliero, la raffineria Api di Falconara Marittima [Ancona] non è più solamente il simbolo di una battaglia ambientale, del grande male da sconfiggere. Da giovedì 30 settembre, le sorti di quell’eco-mostro italiano che avvelena il nostro habitat da oltre mezzo secolo, si incrocia nuovamente con la vita di molti uomini che ogni mattina si alzano per non essere inghiottiti da una becera «selezione naturale». E che di perdere il posto di lavoro, per quanto logorante esso sia, proprio non possono permetterselo. Così, a poche ore dalla decisione, gli operai si sono riversati in strada per bloccare il traffico, mentre lunedì scorso circa cento di loro si sono di nuovo mobilitati chiudendo l’accesso alla raffineria dalle quattro del mattino fino alle nove e trenta. L’azienda conta circa cinquecento dipendenti con un indotto di 2.000 persone: numeri che rendono l’idea dell’impatto. «E’ un momento difficile legato a basse performance», dice l’amministratore. «E’ colpa di chi ha impedito la costruzione delle due centrali termoelettriche, quelle avrebbero portato lavoro», gli fa eco qualche sindacalista scellerato.
La storia dell’Api comincia cinquantanove anni fa, nel 1950, quando l’impianto battezzato dal ministro dell’industria, Giuseppe Togni, è idoneo a produrre. E da quell’anno, come ricorda in tono celebrativo l’Api, è «un susseguirsi di ampliamenti territoriali». Si producono le nuove benzine Sprint 84/86 e Supersprint 92/94, oltre a distribuire Gpl e bitume. Oggi la raffineria è estesa su 70 ettari e raffina 3,9 milioni di tonnellate di greggio ogni anno grazie a 128 serbatoi. Il tutto corredato da una piattaforma fissa, a 16 chilometri dalla costa; isola con doppio attracco, a 4 chilometri; pontile connesso direttamente alla raffineria. Così la piovra estende sopra a Falconara i suoi tentacoli. Negli anni ‘80 e ‘90 sono i dirigenti territoriali dei Verdi a condurre una forte campagna di mobilitazione contro la centrale e il movimento riesce ad eleggere propri rappresentanti trascinati dall’onda della rabbia popolare. Un impegno pagato a caro prezzo, perché gli sgambetti sia da parte della segreteria nazionale che degli alleati negli enti locali non si contano. La svolta arriva il 25 agosto del ’99: l’esplosione di una pompa spinge Falconara e i comuni limitrofi sull’orlo di un’ecatombe, poi scongiurata. Il bilancio è di due lavoratori morti, centinaia di cittadini in fuga da due quartieri a ridosso della raffineria e dieci persone ricorse a cure mediche.
Comincia una sollevazione senza precedenti, che porta i cittadini a costituirsi parte civile e a ottenere il riconoscimento di parte lesa. Un altro punto di cesura, che ha il sapore di una nuova beffa, è il rinnovo nel 2003 della concessione all’Api, decisione shock decisa in anticipo di cinque anni [sarebbe dovuta avvenire nel 2008] da parte dell’assessore regionale ed esponente di
Rifondazione comunista. «Dal quel momento chiediamo, nel tavolo con i sindacati, di avviare un nuovo percorso – spiega Loris Calcina, dei Comitati di quartiere – che va verso l’energia alternativa, come Api Nòva fa da tempo nel sud Italia con l’eolico. Ci definirono utopistici, e così abbiamo perso sei anni». I test svolti da parte del fronte «no Api» sugli abitanti parlano di un aumento evidente degli attacchi al sistema linfatico, cioè leucemie. Nonostante il rinnovo dell’autorizzazione imponga norme di sicurezza più rigorose, Falconara assiste a una lunga serie di incidenti minori. Il più grave è nel 2007, quando la fuoriuscita in mare di olio combustibile porta al divieto di balneazione lungo il litorale. Un evento inedito. Per il prossimo lunedì, 12 ottobre, è fissato il primo sciopero annunciato, e gli operai incontreranno il sindaco Brandoni. Seguirà la mobilitazione del 19, la settimana successiva.
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