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Il muro di gomma in Calabria. Un'altra nave a Vibo?
Giuliano Santoro
Nonostante le grandi testate nazionali abbiano smesso di occuparsene, il mistero delle scorie affondate nei mari calabresi si intensifica giorno dopo giorno. Così, insieme alle strane manovre di insabbiamento di alcune procure e alla strategia del silenzio del governo nazionale, spuntano altri relitti...
Si infittisce il mistero attorno alle navi dei veleni affondate nei mari di Calabria, mentre le mobilitazioni e la rabbia montano di giorno in giorno. Ieri per la prima volta i pescatori di Cetraro, il comune di fronte al quale giace il relitto trovato grazie alle rivelazioni del pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti. I sindaci del Tirreno cosentino hanno costituito un «comitato permanente» che ha convocato i deputati e senatori eletti nella regione per martedì 20 ottobre a Roma «al fine di adempiere alla diffida con la quale i sindaci intimano al governo nazionale a rimuovere il relitto ritrovato a largo di Cetraro e coordinare azioni comuni che incalzino il Governo».
La notizia di oggi, però, arriva dal Quotidiano della Calabria, che la pubblica in esclusiva: è stato scoperto un altro relitto nel Vibonese. In seguito alle molte segnalazioni, scrive il giornale, «tra le tante verifiche compiute avrebbe dato esito positivo quella compiuta al largo della costa vibonese dove, con l’ausilio di un sonar, sarebbe stato individuato un altro relitto. Sugli esiti degli accertamenti viene mantenuto il massimo riservo e sono stati informati la magistratura e l’assessorato regionale all’ambiente».
«Il relitto potrebbe essere quello della Mikigan» afferma Legambiente sulla base della cartina della Oceanic Disposal Management Inc., «società creata dall’imprenditore Giorgio Comerio, per l’affondamento programmato di scorie radioattive nei fondali marini», agli atti della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti. La nave era stata affondata il 31 ottobre 1986 dopo essere partita dal porto di Massa Carrara con un suo carico protetto da granulato di marmo. Sempre dal porto toscano era partita la Rigel, poi affondata con analoghe caratteristiche nel 1987 a largo di Capo Spartivento.
Un altro giornale locale, «il Quotidiano della Basilicata», avrebbe offerto numerose rivelazioni sconcertanti, questa volta sull’aspetto giudiziario. Secondo il direttore Paride Leporace, il pentito Fonti vuole deporre ancora ma si starebbe verificando di nuovo uno scontro tra procure, come era avvenuto tempo fa a proposito delle indagini Luigi De Magistris. Il procuratore di Catanzaro, Vincenzo Lombardo ha affermato ad un’agenzia di stampa: «Non abbiamo certezza sul fatto che quella scoperta a Cetraro sia davvero la nave Cunsky, come riferito dal pentito Francesco Fonti». Ha replicato l’assessore all’ambiente calabrese, Silvio Greco: «Non c’interessa il nome ma il contenuto di quella nave, ci interessa la bonifica». Oggi Greco ja cercato di placare gli allarmismi ma ha tenuto la barra dritta sulla richiesta di bonifica: «Al largo della costa calabrese ci sono almeno 150 relitti risalenti all’ultimo conflitto mondiale – ha affermato l’assessore da Bruxelles – Non si può parlare di rifiuti tossici se non si hanno prima i riscontri scientifici. Non mi risulta che siano a disposizione sonar in grado di rilevare la presenza di navi affondate in quella zona. Fino a quando non avremo riscontri scientifici, rischiamo solo di fare allarmismo». Diverso, aggiunge Greco, è il caso della nave localizzata al largo di Cetraro. «Quella è una situazione realmente preoccupante, perché abbiamo i filmati del relitto – prosegue l’assessore – Occorre che la nave, che si chiami Cunsky come dice il pentito o in un altro modo, sia rimossa e la zona bonificata. Per il resto bisogna stare calmi, perché in Calabria ormai c’è la psicosi. Ieri mi hanno allertato perché qualcuno aveva segnalato la presenza di un bidone al largo di Diamante, poi si è verificato che si trattava di una boa». «Pochi mettono in evidenza che Francesco Fonti è gravemente ammalato – scrive Leporace – Chi ha avuto la possibilità di parlare con lui ci riferisce di un uomo deluso che è solito ripetere ‘non vogliono usare la logica. Vadano in fondo a quel mare. Basta recuperare un solo bidone per accertare la verità’».
Leporace racconta del muro di gomma delle istituzioni, che sarebbe stato bucato dal procuratore di Paola Bruno Giordano e dalla «variabile impazzita» di un assessore regionale all’ambiente esperto di mare e una società privata che con fondi pubblici ha trovato il relitto al largo di Cetraro. «Quel giorno carabinieri e guardia costiera erano in grande tensione per quelle ricerche. Uno stato di allerta generale senza muovere un dito per partecipare allo scandaglio delle acque», afferma ancora Leporace nella sua inchiesta.
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