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Continua a crescere l’isola dei rifiuti
Allarme nell’Oceano Pacifico
Secondo alcuni studiosi, Il Pacific Trash Vortex ha raggiunto una
dimensione doppia a quella degli Stati Uniti. E' la discarica più grande
del pianeta e si è formata principalmente a causa dei sacchetti di
plastica usa e getta
Palloni da calcio e da football, mattoncini di Lego, scarpe, borse, kayak e milioni di sacchetti usa e getta. Sono questi gli ingredienti della “zuppa di plastica” che anno dopo anno si sta impossessando del Pacifico. Un quinto di essi, secondo gli studiosi, proviene da oggetti gettati da navi o piattaforme petrolifere, il resto dalla terraferma. Questo enorme vortice di rifiuti è però visibile solo da navi e barche, non dai satelliti. Esso si trova infatti al di sotto della superficie marina, fra i pochi centimetri e i 10 metri di profondità.
Scoperto alla fine degli anni ’80 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) ma reso noto soprattutto da Charles Moore, il Great Pacific Garbage Patch (altro nome del Trash Vortex) si divide in due grandi blocchi: “Uno a circa 500 miglia marine dalle coste californiane, ed uno al largo di quelle giapponesi – spiega il dottor Eriksen – connessi dalle correnti che ruotano in senso orario attorno ad essi”.
In quest’area del Pacifico settentrionale le correnti portano ogni anno ad accumularsi enormi quantità di rottami marini e rifiuti, composti per il 90% da plastica, di cui si ritrovano anche pezzi fabbricati negli anni ‘50. Le materie plastiche, infatti, fotodegradandosi possono disintegrarsi in pezzi molto piccoli, ma sostanzialmente non si biodegradano. I polimeri che le compongono possono così finire nella catena alimentare, in quanto queste briciole vengono scambiate per plancton o altri tipi di cibo da molti animali marini. Un problema comune anche al Mare Mediterraneo, che vede però nelle dimensioni raggiunte nel Pacifico un fenomeno decisamente allarmante.
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), già nel 2006 ogni miglio quadrato di oceano conteneva 46mila pezzi di plastica galleggiante. Oggi, secondo i calcoli più recenti, si è arrivati con il solo Trash Vortex ad un totale di 100 milioni di tonnellate. Per Charles Moore il problema è dovuto soprattutto all’enorme diffusione nel mondo dei sacchetti di plastica. Se non se ne ridurrà il consumo, avverte “Captain” Moore, “questa massa galleggiante potrebbe raddoppiare le sue dimensioni entro il prossimo decennio”.
Un fenomeno, quello dei sacchetti usa e getta, di cui si sta discutendo molto in Europa, ma che finora ha portato solo l’Italia a metterli definitivamente al bando. Nel Belpaese, una volta tanto all’avanguardia nella tutela dell’ambiente, la legge che dall’inizio del 2011 vieta la produzione e la commercializzazione di questi sacchetti è diventata infatti un esempio virtuoso per tutto il resto del vecchio continente. Tanto che, secondo una consultazione pubblica della Commissione europea sull’uso delle buste di plastica non biodegradabili, a cui hanno partecipato oltre 15mila cittadini dell’Ue e centinaia fra associazioni, Ong ed università, “il 70 per cento degli europei vuole che il bando italiano venga esteso al resto dei Paesi membri”.
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I sacchetti di plastica soffocano i mari
Anche il Mediterraneo è a rischio
Secondo un rapporto di Legambiente che sintetizza diversi studi
scientifici, 49 specie di mammiferi e 111 di uccelli sono a rischio.
Alte le concentrazioni di borse 'usa e getta' anche nel mare nostrum: al
largo dell'Isola d'Elba ci sono 862.000 mila frammenti per chilometro
quadrato
Secondo il documento, dal 60 all’80% di tutta l’immondizia trovata nelle acque marine è composto da plastica. Percentuale che, in alcune aree, raggiunge addirittura il 90-95% del totale. Gravi sono le conseguenze sulla fauna: secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) e l’Agenzia svedese della protezione ambientale, su 115 specie di mammiferi marini 49 rischiano quotidianamente di ingerire questi rifiuti, o di rimanerne intrappolate. Di 312 specie di uccelli, invece, 111 sono quelle a rischio, mentre sono quasi un milione i volatili marini uccisi ogni anno. Elefanti marini, delfini, capodogli e molte altre specie ingeriscono i sacchetti di plastica. Le tartarughe marine, che li scambiano per meduse, muoiono dopo una lenta agonia causata dal blocco totale del tratto digestivo, che ne causa il soffocamento.
Il fenomeno è noto da tempo. Già tre campagne oceanografiche eseguite negli anni 1994, 1995 e 1996 avevano evidenziato che sul tratto di Mediterraneo francese il 70% dei rifiuti marini era composto da sacchetti di plastica. L’International Coastal Cleanup, tra il 2002 e il 2006, aveva individuato le borse di cellophane come il rifiuto più presente in mare dopo mozziconi e bottiglie.
Le cose per l’Italia non vanno bene. Per Expedition Med, uno studio condotto dall’Istituto francese di ricerca sullo sfruttamento del mare e dall’Università belga di Liegi, nell’estate 2010 la concentrazione di plastica più alta nel Mediterraneo era infatti nel nord del Tirreno, al largo dell’Isola d’Elba: 892.000 frammenti per chilometro quadrato. Che, rispetto ad una media di 115.000, donano al nostro Paese un triste primato. “L’Italia è un Paese doppiamente esposto al problema della plastica e la dispersione dei sacchetti in mare – afferma Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente -. Lo è perché, prima del bando dei sacchetti ‘usa e getta’, commercializzava il 25% del totale degli shopper in tutta Europa. E perché le nostre coste sono affacciate sul Mediterraneo, coinvolto come i mari del resto del pianeta dall’inquinamento”. Per queste ragioni, secondo Ciafani, è assai positivo che in Italia dall’inizio di quest’anno sia entrato in vigore il bando degli shopper non biodegradabili.
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