gli imbecilli tuttologi contro il suo autismo
In fin dei conti è molto più semplice classificare l’altro come “diverso” piuttosto che rimboccarsi le maniche: sapere in partenza che tu sei socialmente percepito come mancante in qualcosa, come svantaggiato rispetto a me, è rassicurante e fa sentire più bravi e più capaci. Più giusti e al sicuro.
Raccomandata viziata illusa rompipalle inquietante e autistica. Letto così, tutto d’un fiato, come fossero insulti equidistanti tra loro. Sono solo alcune delle definizioni appioppate a Greta Thunberg da quando, negli ultimi mesi, la ragazzina ha scatenato un effetto domino di legioni di imbecilli tuttologi e scienziati-da-divano, subito pronti a riprodursi per scissione
come batteri per poi dividersi tra pro e contro.
Rattrista come a sollevare i pregiudizi più alti siano proprio le generazioni più vecchie, quelle con maggiori responsabilità sulle spalle circa il problema ambientale e l’apparente – ma neanche troppo – mancata volontà di trovare soluzioni e porre o proporre rimedi. Si scade dunque nel benaltrismo, che guai a mettersi in discussione una buona volta, gridando subito al complotto e alla moda, al personal branding di povera figlia “ritardata” burattina della fame dei genitori.
Si finisce coi poteri forti, che quelli non mancano mai come dessert. E con il marketing 2.0 perché adesso esce pure il libro e figurati se non usciva pure il libro che tanto mica l’ha scritto davvero lei il suo libro. Si diventa tutti economisti e editori, ma anche sociologi e ambientalisti, attivisti e missionari. Santi scesi miracolosamente in terra nonostante il manuale di biologia sotto braccio.
Desueti come stantia è la necessità di etichettare tutto,
in modo spasmodico, e infatti non trova scampo neanche la disabilità di Greta, la sua “sindrome di
Asperger” che diventa un pilastro di demerito anziché un valore aggiunto per il modo in cui,
tenacemente e senza distrazioni, sta cambiando la narrazione di un’esigenza universale. E lo sta
facendo lottando anche contro quello che lo spettro stesso del suo autismo le rende complicato, a
partire dalle cose per noi scontate e banali.
In fin dei conti è molto più semplice classificare l’altro come
“diverso” piuttosto che rimboccarsi le maniche: sapere in partenza che tu sei socialmente percepito
come mancante in qualcosa, come svantaggiato rispetto a me, è rassicurante e fa sentire più bravi e più capaci. Più giusti e al sicuro. Perché sì, è vero, a Greta milioni di persone hanno dato un salvagente per stare a galla, ma io so nuotare benissimo
e tanto i salvagenti prima o poi si forano sempre. No?
Se invece aveste speso le stesse energie consumate a screditare un messaggio così pulito, infangando il sorriso di Greta che poi è quello di mia sorella e di tutti i vostri figli, per imparare, magari, a fare finalmente la raccolta differenziata, forse vivremmo in un mondo più pulito e in armonia con ciò che ci circonda. E soprattutto con chi riteniamo tanto alieno e invece, a fatti avvenuti, è più presente di noi sulla realtà delle cose. Tutto il resto è il fascismo di chi si ostina a voltarsi dall’altra parte.
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