L’allevamento intensivo, sopratutto quello dei bovini, ha un impatto ambientale sconcertante. Abbattimento di foreste, consumo d’acqua, emissione di gas serra, spargimento di prodotti chimici. Un danno gigante per la salute umana, e del pianeta.
Da una decina d’anni tutti i più grandi studi scientifici lo dicono, e continuano a confermarlo: la produzione di carne ha un impatto terrificante sull’ambiente. Un’analisi del 2013, comparsa su una delle più prestigiose riviste scientifiche, ha indicato l’allevamento intensivo di bestiame come l’attività umana probabilmente più impattante di tutte a livello ambientale.
Il 30% della superficie terrestre non coperta da ghiacci è utilizzata per allevare polli, maiali e bovini destinati al consumo alimentare umano. “Puoi pensare di vivere su un pianeta, in realtà vivi in una fattoria gigantesca, occasionalmente interrotta da città, foreste e oceani” esordiva la rivista americana Time nel presentare i dati .
Spazio ai pascoli!
E i dati sono questi: una grassa mucca occidentale consuma tra i 75 kg e i 300 kg di sostanza secca (foraggio, cereali, leguminose etc) per produrre 1 kg di proteine. Solo parlando di cereali, se ne producono 1,3 miliardi di tonnellate all’anno per nutrire gli animali da allevamento. Praticamente oltre la metà della produzione mondiale annua (2.5 miliardi di tonnellate).
Cosa significa questo? Che bisogna fare spazio per la loro coltivazione. Innanzitutto, abbattendo le foreste. E quelle pluviali non vengono certo risparmiate, anzi. Ogni anno a quello scopo ne vengono abbattuti sulla Terra migliaia e migliaia di ettari. Si calcola che per ogni hamburger importato dall’America Centrale siano stati abbattuti e trasformati a pascolo circa sei metri quadrati di foresta. L’88% della foresta amazzonica disboscata è diventata un pascolo. E quei terreni, senza più le radici degli alberi a tenerli insieme, sono soggetti a erosione (ossia a usura) e desertificazione (circa il 70% dei terreni adibiti a pascolo sono i via di desertificazione, secondo l’ONU).
Metti una mucca, ottieni una serra
Non solo: alle mucche si deve una quantità immensa di gas a effetto serra, quei gas che sono la causa prima del cambiamento climatico. Come? Durante il processo di digestione rilasciano metano - e protossido di azoto attraverso la decomposizione del letame. Chiamiamola pure flatulenza, il risultato è che i gas a effetto serra associati alla filiera produttiva equivalgono a ben il 14,5% per cento di tutte le emissioni di gas serra prodotte dagli esseri umani, secondo i dati della FAO del 2013. E, dal 1961 in avanti, queste emissioni animali non hanno fatto che aumentare, di oltre il 50%. Tra tutti, sono decisamente i bovini quelli che inquinano di più: con un 74% di emissioni che viene da loro, i bovini inquinano più delle auto, come hanno dimostrato i dati di uno studio californiano del 2012.
L’orma del cibo
Per questo si parla di “Foodprint”, ossia l’impatto ambientale della produzione di cibo, una parola che deriva dal termine inglese “carbon footprint”, l’indicatore che misura l’impatto delle attività umane sul cibo globale. La foodprint della carne è altissima. Un chilo di maiale produce 12,1 Kg di Co2 contro meno di u chilo per produrre 1 kg di lenticchie. Un chilo di agnello costa 39,2 kg di Co2 – come viaggiare i auto per circa 160 km. E per portare un semplice hamburger di manzo in tavola ci vogliono 2,5 Kg di anidride carbonica, oltre 2400 litri di acqua e 18 m2 di superficie terrestre. L’uso dell’acqua è un altro fattore-chiave: per mangiare carne se ne consuma da 5 a 10 volte di più di quella che mangiando vegetariano.
Per produrre 1 kg di carne bovina ce ne vogliono circa 15 mila litri, il che corrisponde più o meno a 110 vasche da bagno, e che vuol dire che per produrre una bistecca si sono consumati quasi 5000 litri di acqua. Per 1 kg di maiale ce ne vogliono 6000. Per 1 kg di riso poco più di 2.500.
Mica per niente la Danimarca, Paese civile per eccellenza, sta in questi tempi seriamente considerando d’introdurre una tassa per cercare di disincentivare il consumo di carne, considerato troppo inquinante. La tassa sulla carne rossa è caldeggiata dal Consiglio nazionale sull’etica, che considera un obbligo civile quello di minimizzare il proprio impatto sul clima.
Chimici e antibiotici
Non è solo una questione di clima: gli allevamenti intensivi inquinano aria e acqua, dato che vengono utilizzate enormi quantità di prodotti chimici, tra cui fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi, che penetrano nel terreno ed inquinano le acque (e il cibo stesso. Negli Stati Uniti, per esempio, l’80% degli erbicidi è utilizzato nelle coltivazioni di mais e soia destinate agli animali.
Anche lo smaltimento delle deiezioni animali, spandendo i liquami nel terreno, è fonte d’inquinamento: questo letame non può fare da concime, perché non è “sano” lui a monte. Inoltre non bisogna dimenticare l’abuso di antibiotici nel mangime del bestiame, anch’esso fonte di seri rischi per la salute umana. Forse è davvero il caso, se non di eliminare, almeno di ridurre all’osso il consumo di carne. Un animale allevato in modo non intensivo, nel rispetto dell'animale stesso, della natura e di noi stessi, ha certamente un impatto diverso, anche sul Pianeta. Consumare carne o meno è una scelta personale, certo salta all'occhio l'opportuniità di un consumo non esagerato e responsabile.
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