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Copenhagen: il Mondo vi guarda
Alberto Zoratti Fair
«Tenete in considerazione gli impatti che potrebbero avere le tempeste di sabbia che potrebbero colpire gli Stati del Nord Africa e dell’Europa meridionale». E’ la conclusione dell’intervento del delegato dell’Egitto alla prima plenaria alla Conferenza delle Parti di Copenhagen sui cambiamenti climatici: dieci giorni per cambiare rotta, per mettere in gioco seri e concreti strumenti per mitigare le emissioni e sviluppare politiche di adattamento per gli impatti di un clima oramai impazzito.
Copenhagen è oramai diventata Hopenhagen, il porto della speranza. Oltre 35mila delegati al posto dei 15mila previsti hanno mandato in tilt il giorno dell’inaugurazione il sistema di accreditamento. E’ una città oramai al centro del mondo, centinaia i giornalisti presenti, migliaia gli attivisti e le organizzazioni di base che hanno visto in questo appuntamento il «last call» per cambiare realmente il passo. Ma tutto ciò rischia di non bastare se assieme all’impegno specifico sul clima non si decide di cambiare radicalmente anche il sistema economico. Su un rapporto fatto circolare a Ginevra in occasione della ministeriale Wto, Olivier De Schutter, rapporteur delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, chiarisce come le liberalizzazioni e l’apertura dei mercati non siano lo strumento più adatto per combattere realmente la povertà, la fame del mondo e il cambiamento climatico.
Vanno modificate le regole globali, ed il sistema commerciale e finanziario deve essere riportato all’interno di una cornice regolamentare che faccia i conti con i limiti dello sviluppo ed i diritti umani e dell’ambiente.
Buona parte dei movimenti sociali qui presenti erano in prima linea pochi giorni fa a Ginevra per la ministeriale Wto. Una carovana di contadini, pescatori ed attivisti è partita dalla Svizzera per raggiungere la Danimarca, perché ora più che mai è necessario esserci.
I giochi sono ancora molto aperti. Cina e G77 saranno l’altro attore di questa Conferenza, assieme agli Stati Uniti che in seguito alla presa di posizione dell’Environmental Protection Agency di ieri, secondo cui le emissioni di gas serra sono realmente rischiose, dovrà prendere una posizione più chiara sulla volontà di chiudere un accordo. Nonostante il Congresso.
Ma anche gli altri Paesi non faranno la parte degli spettatori: i Paesi più poveri come il Bangladesh; i Paesi insulari come Grenada; i Paesi africani come il Lesotho chiedono con chiarezza una nuova politica di gestione delle foreste, che blocchi la deforestazione e la degradazione delle foreste, rispettando le comunità locali ed i popoli indigeni.
La COP15 sarà un’arena fino al 18 dicembre. Ed i movimenti sociali hanno molto da dire. A cominciare dalla strategia inside-outside, cioè quella di unire il lavoro di lobbying all’interno e a fianco delle delegazioni governative con le mobilitazioni che ogni giorno salgono di intensità, in attesa dell’appuntamento del 12 dicembre.
C’è una parola d’ordine, qui a Copenhagen, rivolta ai delegati: «The World is watching», «il mondo vi guarda». Per questo è venuto il momento per i movimenti sociali, per tutti noi, di non rimanere più alla finestra.
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mercoledì 9 dicembre 2009
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